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Mario Draghi

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Se a gennaio dell’anno prossimo avremo costruito tutto ciò che riesce a mettere in esecuzione il cambiamento disposto nelle riforme, l’Italia sarà messa in salvo e soprattutto il Mezzogiorno ne beneficerà così tanto da consentire finalmente all’intero Paese una crescita da anni di miracolo economico. Altrimenti non sarà così, non avremo la nuova Europa della coesione sociale e il declino strutturale dell’intera Italia sarà irreversibile

L’immagine che Mario Draghi ha nel mondo è cruciale perché consente all’Italia di avere un’accoglienza internazionale che i politici italiani non hanno mai avuto e, quindi, tanto meno hanno potuto trasferire al loro Paese. Il racconto internazionale dell’Europa ha riguardato sempre la cancelliera Merkel, in determinate stagioni l’inquilino dell’Eliseo Macron, insomma la forza della Germania e della Francia.

Il racconto dell’Italia era quasi sempre di derisione per la sua classe politica o semplicemente nullo perché si ignora ciò che non interessa. Questo Paese, che è molto meglio di quello che su di esso viene raccontato, ha oggi recuperato grazie al credito di cui gode Draghi la dignità del racconto di una grande economia che ha deciso di mettersi in discussione e di ripartire.

Questo racconto si basa sui risultati raggiunti nella campagna di vaccinazione e sulla ostinazione positiva con cui Draghi è riuscito fino a oggi a rispettare sempre il cronoprogramma delle riforme di struttura concordato con l’Europa. Il solo fatto, dopo decenni, di tornare a rispettare le scadenze è metà dell’opera. Il resto sono un Piano nazionale di Ripresa e di Resilienza messo in sicurezza con le riforme e il riproporzionamento degli investimenti ponendo il recupero dei divari territoriali come la prima delle disparità da sanare.

Una rivoluzione in termini di risorse che fa tremare vene e polsi per la quantità abnorme messa in gioco e la parallela sfida che pone al Mezzogiorno sulla sua capacità di utilizzare e bene questa dote straordinaria. Il resto sono la riforma della pubblica amministrazione, della nuova governance del Recovery Plan, dei nuovi reclutamenti per la pubblica amministrazione, e dopo i primi due passaggi parlamentari anche della giustizia che è a sua volta la madre di tutte le riforme per lo stato comatoso in cui versa da troppo tempo. Decidere, mediare, decidere.

Il metodo Draghi produce i suoi frutti, ovviamente ci sono i segni al ribasso dei singoli compromessi, ma un’Italia che fa le cose in tre mesi non è l’Italia che non le fa da vent’anni.

Questo è il dato politico del cambiamento di oggi e l’accoglienza internazionale di cui gode Draghi consente che la comunità globale degli investitori percepisca questo dato d’insieme. Perché in questa società globale alle prese con il nuovo ’29 mondiale non basta fare le cose, bisogna che almeno gli altri se ne accorgano.

Tutto bene, allora? No, siamo all’inizio del cammino e la rivoluzione si nutre di dettagli quotidiani che danno sostanza alle scelte e di una fiducia contagiosa che sconta le frenate di chi rema contro che sono poi gli stessi identici personaggi pronti a saltare come sempre sul carro del vincitore appena saranno certi che il vincitore ha vinto.

Per questo vogliamo sottolineare alcuni dei punti di frizione che non hanno nulla a che vedere con il semestre bianco del Presidente della Repubblica di cui si parla molto a vanvera, ma dalla soluzione dei quali dipende se si supererà il banco di prova del trimestre decisivo che va da ottobre a dicembre.

Si è parlato molto, ad esempio, della giustizia penale un po’ a briglia sciolta a volte in modi stravaganti, ma si continua a parlare poco di giustizia civile che dà risultati non stravaganti e ci mette veramente così tanto per chi voglia intraprendere e/o svolgere un’attività imprenditoriale di tipo commerciale-artigianale o industriale. Si parla ancora troppo poco di che cosa si sta facendo per informatizzare tutti i processi e di quali sono i problemi da risolvere per mettere insieme tutele diverse rispetto a aspettative diverse.

Che cosa si sta facendo per attuare la riforma dei tribunali e per la digitalizzazione di tutte le procedure che sono uno dei tre/quattro capisaldi del Piano di ripresa? Capisco bene la concentrazione sul penale per il carico di rischi enormi che ci sono, da un lato, e per gli interessi in gioco, dall’altro, ma il problema italiano è sveltire tutta la macchina esecutiva del Paese. Il problema è davvero manageriale per avere progetti ben definiti pur avendo ognuno opinioni diverse.

Questo è il primo punto per compiere un salto di innovazione dell’intero Paese e convincere i privati a investire. Se ci sono finalmente le infrastrutture e una chiara idea di progresso con regole più semplici, meno ripetitive, arrivano anche da noi grandi capitali privati nazionali e internazionali. Invece che impedire l’iniziativa pubblica come si è troppo spesso fatto in passato, si devono trovare le persone che si occupano dei progetti nella amministrazione pubblica in modo professionale.

La sfida più grossa sono i tempi, il monitoraggio sulla qualità e sulla capacità di attuare in tempi molto rapidi il salto di tecnologia, di innovazione digitale e di tutta la componente di aggiustamenti ecologici e di trasporto materiale e immateriale.

Il set di governo è oggi il migliore possibile, ma non so se abbiamo fatto il salto di qualità nel set intermedio. Se a gennaio dell’anno prossimo avremo costruito tutto ciò che riesce a mettere in esecuzione il cambiamento disposto nelle riforme, l’Italia sarà messa in salvo e soprattutto il Mezzogiorno ne beneficerà così tanto da consentire finalmente all’intero Paese una crescita da anni di miracolo economico.

Altrimenti non sarà così, non avremo la nuova Europa della coesione sociale e il declino strutturale dell’intera Italia sarà irreversibile. Consigliamo ai partiti del rumore di concentrarsi su questi scenari reali, non su quelli fantasiosi del semestre bianco.


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