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Mario Draghi all'assemblea dell'Anci

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Serve un accordo pubblico di impegni reciproci tra la nuova classe dirigente del Mezzogiorno e lo Stato centrale. Il Comune di Milano ha progetti Pnrr già approvati per 280 milioni, il Comune di Roma per un importo pressoché analogo e l’amministrazione di Napoli per un importo pari a zero. In legge di bilancio per le sue difficoltà a Napoli sono assegnati 130 milioni largamente insufficienti a ristabilire condizioni di serenità finanziaria. Il predecessore del sindaco Manfredi, de Magistris, ha consegnato una amministrazione senza neppure un dirigente tecnico di ruolo, 4400 dipendenti che sono un terzo di quelli del Comune di Milano e che conteggiano al loro interno 1600 vigili, età media 58 anni. Sulla testa di questa organizzazione burocratica messa così pesa un fardello di 3,1 miliardi di debiti. La nuova gestione deve essere liberata dall’incubo del dissesto e avere le competenze giuste

Abbiamo apprezzato la consueta lucidità dell’intervento di Draghi all’assemblea dell’Associazione nazionale dei Comuni d’Italia (Anci) che il sindaco dei sindaci, Antonio Decaro, ha presentato tra gli applausi come Supermario. Ci piace questa sintonia tra il capo del governo e gli uomini della prima linea dello Stato italiano basata sulla reciproca fiducia. Crediamo che sia indispensabile per fare andare a pieni giri il primo motore della macchina che dovrà guidare la pianificazione e l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr).

Questo è lo spirito realizzativo del Dopoguerra che deve rinascere oggi per fare come allora la Ricostruzione. Dobbiamo ripetere al passo con i tempi la stagione delle grandi trasformazioni. Parliamo di qualcosa che vale 50 miliardi e dentro c’è un pezzo decisivo della questione sociale che ha nella riunificazione delle due Italie il suo test decisivo. Per questo ci sono piaciuti più di ogni altro i riferimenti espliciti del premier all’assistenza tecnica sul territorio e alla possibilità di reclutare personale per semplificare i processi. Questo serve per fare le cose. Per fare gli asili nido come le scuole. Per qualificare le città come per fare le mense scolastiche e le palestre che sono la base civile della rinascita dell’ambiente meridionale e della concreta possibilità di tornare a formare e investire sul suo capitale umano dall’infanzia.

Per quanto vi potrà sembrare spropositato qui inizia e qui si conclude la nuova questione meridionale italiana. O si recupera questa capacità di progettare e di spendere sul territorio o il processo di rinascita avrà vita breve. Perché senza di essa lo sforzo centrale su grandi infrastrutture immateriali e materiali come sulle università e sulla ricerca diretto alla convergenza tra le due aree del Paese perde l’alimentatore quotidiano più vicino ai cittadini che è indispensabile per l’oggi e per il domani.

Per tutte queste ragioni consigliamo al premier Draghi di occuparsi direttamente del problema Napoli. Perché vincere la sfida del Piano nazionale di ripresa e di resilienza della riunificazione delle due Italie senza avere in prima fila l’amministrazione della area metropolitana più importante del Mezzogiorno è semplicemente impossibile. Lo consigliamo perché conosciamo la coerenza meridionalista degasperiana di chi guida il governo di unità nazionale e perché noi ci fidiamo ciecamente del nuovo sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi. Sappiamo che ciò a cui è sicuramente allergico sono le clientele e che come ingegnere di valore, ex rettore e presidente dei rettori e come ex ministro ha messo sempre il capitale umano e la qualità della amministrazione al centro di ogni sua azione. Questo per ora ci basta.

Non starà di sicuro con le mani in mano Manfredi per fare progetti e recuperare sui bandi, ma quello che è certo è che al momento può operare solo con volontari. Perché il suo predecessore gli ha consegnato una amministrazione senza neppure un dirigente tecnico di ruolo, 4400 dipendenti che sono un terzo di quelli del Comune di Milano e che conteggiano al loro interno 1600 vigili, età media 58 anni, laureati il 18%. Sulla testa di questa organizzazione burocratica messa così pesano un fardello di 3,1 miliardi di debiti e una spada di Damocle della Corte dei conti che ci mette un attimo a fare uscire Napoli dal predissesto per entrare nel dissesto. Anche la squadra di amministratori di prim’ordine scelta da Manfredi non può riuscire a fare ripartire Napoli se non si libera la gestione dal peso del macigno finanziario.

Questo problema non va sottovalutato. Siamo stati durissimi e lo saremo sempre con tutti i sindaci che come De Magistris invece di chiedere soldi che non sanno spendere o di passare da un talk all’altro avrebbero dovuto chiedere aiuto per fare progetti buoni a qualunque costo. Non si possono avere su questo terreno complessi di inferiorità e bisogna uscire dai feudalesimi regionali che ulteriormente aggravano una situazione già molto difficile.

Non si può ignorare, però, che le condizioni di partenza nelle strutture amministrative proprio come organici e come competenze di tutte le amministrazioni territoriali meridionali sono sottodimensionate in maniera vistosa. Lo sono per errori propri ma anche per un sistema di ripartizione della spesa pubblica che con la foglia di fico del federalismo della irresponsabilità ha fatto figli e figliastri e ha danneggiato in modo miope il Mezzogiorno. Questo è un dato di fatto da cui non si può prescindere.

Serve un patto pubblico di impegni reciproci tra nuova classe dirigente del Sud, Manfredi e Decaro sono due esempi di assoluta affidabilità, e lo Stato centrale. Perché il sistema di riorganizzazione e di efficienza delle grandi amministrazioni meridionali come di quelle piccole venga messo in sicurezza, si riveli concreto e sia verificabile in tutti i suoi passaggi. Dalla capacità di misurarsi con questi passaggi apparentemente noiosi passa la grande politica. Che è quella che ha deciso di dare la priorità negli investimenti per le grandi reti immateriali e materiali al Mezzogiorno ma che ora deve superare il banco di prova più delicato nelle sue amministrazioni territoriali che hanno il dovere di cambiare per attuare il Piano nazionale di ripresa e di resilienza oggi ma anche per gestire i fondi di coesione e strutturali domani.

Il cambiamento passa attraverso riorganizzazione degli uffici e acquisto sul mercato delle competenze giuste e attraverso un nuovo modello di rapporti tra amministrazioni, università e aziende guadagnando sotto ogni aspetto da una osmosi contagiosa di buone pratiche. La prima delle quali deve assolutamente essere quella della riduzione dei ruoli impropriamente esercitati dalle Regioni e dalla organizzazione di un modello nazionale di supporto tecnico che ruoti intorno alla Cassa depositi e prestiti per costruire qualcosa che funzioni e che resti.


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