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Enrico Mentana e Gianni Minoli

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A prua la politica del nulla sovranista e populista con le sue figurine del mondo della irrealtà. A poppa gli orchestrali del talk italiano che nulla hanno a che fare con la televisione, che hanno messo su un “teatrino” permanente con una compagnia di giro di politicanti e di giornalisti, a volte a gettone a volte no, che vanno tutti in televisione senza conoscerla e senza rispettarla. Con il Covid, però, è successo qualcosa che ha fatto impazzire il quadro clinico. Perché non si è più svenduta la reputazione di un Paese, cosa gravissima, ma la vita delle persone, cosa imperdonabile. Si è arrivati a decidere che 47 e passa milioni di vaccinati valgono come qualche migliaio di no vax che manifestano. Siamo arrivati all’abisso senza fine confondendo scienziati con stregoni, con conduttrici e conduttori che a volte annuiscono e a volte fanno finta di dissentire, che sembrano non accorgersi che stanno giocando con la vita delle persone a casa,  distribuendo  panico e insicurezza

L’ORCHESTRINA del talk italiano ha smesso di suonare o per lo meno si interroga su come fare a smettere. Comincia a capire di averla fatta grossa. Cerca una via di uscita. Siamo contenti di questo parziale ravvedimento e ancora di più del fatto che tutti hanno avviato una riflessione. A loro diciamo: andate avanti. Perché si può, anzi si deve, cambiare, ma senza la filosofia del Gattopardo che è quella di cambiare tutto perché tutto resti come prima. Evitiamo, per favore, l’ultima sceneggiata degli orchestrali della commedia italiana del nulla dove il grande ballo delle maschere dell’incompetenza recita a soggetto e semina morte. Dimostrino di avere almeno gli elementi culturali minimi per capire il danno che hanno arrecato alla società. Chiedano scusa pubblicamente e se ne sono capaci adottino un registro che è l’esatto opposto. Altrimenti tolgano il disturbo.

Questo giornale è più di un anno che parla di loro. Abbiamo usato un’espressione, Titanic Italia, per raccontare la nostra grande crisi, civile e morale prima che economica, dalla quale sta cercando di risollevarci il governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi. A prua la politica del nulla sovranista e populista con le sue figurine del mondo della irrealtà. A poppa gli orchestrali del talk italiano che nulla hanno a che fare con la televisione, che hanno messo su un “teatrino” permanente di puro politichese con una compagnia di giro di politicanti che non hanno mai avuto un mestiere e giornalisti della carta stampata. A volte a gettone a volte no, a volte di qualità a volte di quarta serie, che vanno tutti in televisione senza conoscerla e senza rispettarla. Rifiutano a priori gli orchestrali televisivi del Titanic Italia, abbiamo scritto più volte, la fatica di studiare qualsiasi tipo di contenuto o di confrontarsi con chiunque ne è portatore. Non fanno più televisione che è programmi, immagini, reportage, inchieste/documentari e molto altro. Che è fatica. Loro sanno solo “ballare e cantare” lo spartito del mondo della irrealtà. Rappresentano insieme i primi e i secondi il circolo più autoreferenziale della storia politica e mediatica di questo Paese che ignora i bisogni delle persone e svende la reputazione di una nazione e il futuro dei suoi giovani in cambio di mezzo punto in più nei sondaggi o nello share.

Con il Covid, però, è successo qualcosa che ha fatto impazzire il quadro clinico. Perché non si è più svenduta la reputazione, cosa gravissima, ma la vita delle persone, cosa imperdonabile. La doppia malattia ha registrato temperature da fare saltare il termometro. Si è arrivati a decidere che 47 e passa milioni di vaccinati valgono come qualche migliaio di no vax che manifestano.  

Non siamo più nemmeno all’uno vale uno, siamo scesi molto sotto i gradini della dignità cronistica oltre che di quelli della realtà. Si è fatto di più. Siamo arrivati all’abisso senza fine di confondere scienziati con stregoni, chiedendo e ripetutamente chiedendo a camionisti e ristoratori non qual è la strada più breve per raggiungere il nostro indirizzo o come si fa la carbonara o la matriciana, ma se il vaccino funziona oppure no, perché non sono d’accordo, quali sono le loro ragioni scientifiche. Inciampando in lunghissime conversazioni televisive piene di pensosi apprezzamenti con chi aveva sulla fronte scritto “Io apro” e il giorno dopo faceva parte del commando che assaltava la sede della Cgil a Roma. Tutto questo con conduttrici e conduttori che a volte annuiscono, a volte fanno finta di dissentire, che sembrano non accorgersi che stanno giocando con la vita delle persone a casa, distribuendo comunque panico e insicurezza. Che esclamano a metà tra il mesto indignato e il sorridente complice: fermiamoci, vi prego, così scadiamo nel macchiettistico. Senza mai rendersi conto che la macchietta regina sono loro.

Le voci più autorevoli del giornalismo televisivo italiano, Enrico Mentana e Giovanni Minoli, uomini che hanno fatto la storia della televisione pubblica e privata, hanno detto: basta. Il primo ha scritto un post su Instagram: “Mi onoro di non avere mai ospitato nei tg che dirigo nessun esponente dei no vax. A chi mi dice che così impongo una dittatura informativa, rispondo che adotto la stessa linea rispetto ai negazionisti dell’Olocausto, ai cospirazionisti dell’11 settembre, ai terrapiattisti, a chi non crede allo sbarco sulla luna e a chiunque sostiene posizioni controfattuali, come lo sono quelle di chi associa i vaccini al 5G o alla sostituzione etnica, al Grande Reset, a Soros e Gates o scempiaggini varie. Per me mettere a confronto uno scienziato e uno stregone, sul Covid come su qualsiasi altra materia che riguarda la salute collettiva, non è informazione, è come allestire un faccia a faccia tra chi lotta contro la mafia e chi dice che non esiste, tra chi è per la parità tra uomo e donna e chi è contro, tra chi vuole la democrazia e chi sostiene la dittatura”. Parole da sottoscrivere a una a una.

Giovanni Minoli fa un’analisi che viene da lontano, perché ne parla inascoltato da tempo, ma la ripete e fa male perché dice la verità: “Il servizio pubblico è il racconto delle radici del Paese. In un mondo globalizzato è l’identità a fare la differenza. L’errore della Rai è stato quello di puntare alla massimizzazione degli ascolti: un obiettivo che finisce per giustificare qualsiasi tipo di prodotto. La Rai invece dovrebbe puntare a distinguersi, scommettendo su format funzionali a raccontare l’identità italiana. Per dirla più semplicemente: la tv commerciale ha come utente il consumatore, mentre la tv pubblica parla al cittadino (…) La7 è identitaria perché ha trasformato la tv in radio. Inoltre, ricicla i giornalisti a gettone che non lavorano più. I giornali falliscono e le firme più brave vengono prese a fare i talk, insieme alla solita compagnia di giro di colleghi (…) la responsabilità dei giornalisti non viene mai tirata in ballo, mentre è giusto che lo sia. L’avvocato Agnelli disse che Mieli aveva messo le minigonne alle notizie, ecco questo ha portato alla dietrologia. Oggi il dietro le quinte, e il gossip, sono assurte allo status di notizie. A mio avviso i giornalisti hanno una responsabilità sia negli ospiti che invitano, sia nel loro stile di conduzione. Inoltre è fondamentale anche la preparazione dei conduttori: che studi hanno fatto? Dove hanno studiato?”.

Diciamo la verità. Una roba così, anche qui dobbiamo ripeterci, non si era mai vista e ha conquistato un capitolo importante nel racconto della decadenza italiana di questo scorcio di secolo del nuovo millennio. La politica dei partiti più debole della lunga stagione repubblicana già malata di fatto insegue quotidianamente la televisione malatissima che si ciba solo di talk e di opinioni quasi sempre noiose, regolarmente prolisse, fuori da qualsiasi copione della grande televisione. Siamo arrivati allegramente al punto più basso. Siamo precipitati alla televisione che ti fa solo vedere ma non dice più niente. Siamo alla televisione che si fa radio che è anche sexy ma lo è se è radio, cioè voce, non se è televisione, cioè immagine. Siamo arrivati, insomma, al punto finale.

Bisogna cambiare stagione e dare spazio all’informazione vera. Bisogna che la scena venga restituita al dibattito sano perché ormai tanti si sono accorti dei danni che produce questo dibattito malato. È sotto gli occhi di tutti che il Paese offre intelligenze diffuse superiori a quelle dei vari clan che hanno monopolizzato le scelte televisive fino a oggi. Questo Paese ha bisogno di gente che faccia riflettere, che usi criteri comparativi-competitivi per valutare i fatti, che abbia le cognizioni di base o le acquisisca in fretta. Non si può più andare avanti con il teatrino in maschera, carnevalate e buffonate. Il dibattito della pubblica opinione deve uscire dal cono d’ombra del paradigma malato del talk show politico in crisi verticale di ascolto sulle reti pubbliche e private (cfr Marco Mele, il Quotidiano del Sud 14 novembre 2021, “i talk show politici si avviano al capolinea, continua senza freni la caduta di ascolti”) sia perché si deve arrivare all’appuntamento importantissimo dell’elezione del presidente della Repubblica in un contesto di serietà sia perché questo contesto è vitale in un Paese che vuole fare la seconda Ricostruzione Nazionale chiunque lo governi. È necessario sempre.

Non ci sono esempi di talk show di questo tipo o sono una minoranza in Francia come in Germania, in Inghilterra come negli Stati Uniti, negli stessi Paesi del Sud Europa, e anche questo fa la differenza tra una democrazia moderna che vuole essere normale o che non lo è. Questo tipo di talk all’italiana nei giorni senza fine del Covid ha distrutto la politica tanto è vero che non ci vanno più i politici, se ne trovano sempre meno disponibili, e si vedono sempre più giornalisti pagati per andarci. Altri pezzi dello Stato si sono autodistrutti da soli. La resa dei conti oggi è sull’informazione perché senza un dibattito pubblico delle idee sano i problemi di rappresentanza si acuiscono in modo preoccupante e diventa sempre più difficile trovare il punto di equilibrio tra il potere di rappresentanza che è il sale della democrazia e il potere decisionale che è il motore intelligente dei Paesi democratici che funzionano.

L’assenza di questo motore è proprio ciò che ha segnato i venti anni di crescita zero dell’Italia. La Lega è servita a parlamentarizzare un certo tipo di protesta. I Cinque stelle hanno parlamentarizzato una rivoluzione. Entrambi hanno abbassato il tasso di qualità del pensiero della classe dirigente italiana. Nel sessanta per cento che non va più a votare c’è il fuoco della rivolta sociale perché in aree sempre più vaste del Paese l’occupazione che aumenta è una schiavitù ben pagata e perché si assiste inerti al suicidio volontario del sindacato che ha perso i contatti con la realtà e arriva a promuovere uno sciopero generale con la manovra più espansiva e solidale della storia recente. Avere parlamentarizzato protesta e rivoluzione è l’aspetto positivo della storia, ma il prezzo che abbiamo pagato a tutto ciò è altissimo. È la distruzione del valore del sapere e, cioè, della competenza facendo sempre vincere l’ignoranza delle cose sempre litigiosa, meglio se urlante. Gli orchestrali del concerto della morte facciano i conti con la realtà invece di autoassolversi dicendo che se in Italia si è vaccinato più dell’80% della popolazione vuol dire che l’informazione ha fatto il suo dovere magari aggiungendo, come fanno spesso, che senza green pass Spagna e Portogallo hanno più vaccinati di noi. Perché la prima cosa che viene in mente a chi li ascolta da casa è che in Spagna e in Portogallo non c’è chi mette sullo stesso piano scienziati e stregoni se non i secondi avanti ai primi come hanno fatto loro per mesi e come in parte continuano a fare. In Spagna e in Portogallo non c’è stato bisogno del green pass perché lì non c’è il dominio del peggiore talk show politico europeo, come è quello italiano, che si nutre delle balle del mondo dell’irrealtà e semina panico.

Meno male che chi ci governa conosce bene i polli della nostra arena televisiva e ha fatto il green pass. Sapeva con chi doveva fare i conti e ha fatto quello che si doveva fare per salvare il Paese. Meno male.


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