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Il Piano nazionale di resistenza e resilienza

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Per la prima volta dopo oltre un decennio di federalismo dissolutore ci si è occupati delle periferie urbane del Mezzogiorno. Per la prima volta i Comuni del Sud hanno fatto progetti buoni ed è bello cogliere i piccoli segnali dei cambiamenti in atto. Se vogliamo riunire il Paese e uscire salvi dalla tempesta perfetta del nuovo ’29 mondiale abbiamo bisogno che al Quirinale vada una personalità che ricordi la figura di Ciampi e sappia fare un discorso rispettato sulla fiducia collettiva e sul collante sociale. Serve una personalità che abbia la credibilità in casa e fuori avendo in casa il rispetto dei cittadini e fuori quello dei mercati e dei governi europei. Questa credibilità Draghi ce l’ha. Il suo problema è che agli occhi dei partiti ne ha troppa. Sanno che scegliendolo nominano il protettore della nazione che metterà le cose a posto. Quello che loro non vogliono perché vivono di caos ma che è decisivo per la loro sopravvivenza

Si riscopre un grande desiderio di etica e emerge finalmente la stanchezza verso i fenomeni deteriori della politica. La prematura scomparsa di David Sassoli ha compiuto il miracolo. Sarà stato lo spirito educatore da cattolico di sinistra di un presidente del Parlamento europeo che non c’è più che lo rendeva così diverso dalle ambiguità individuali e dalla doppia morale della sinistra laica. Sarà stato il garbo e un tratto gentile che lo portavano a mettere naturalmente i deboli al primo posto. Sarà stato questo o altro, ma la settimana che si chiude oggi registra il miracolo della resurrezione di una parola ritenuta impronunciabile: cattolicesimo democratico.

La resurrezione ha riguardato anche persone a cui non ne è mai fregato nulla. Perché è improvvisamente riemerso un nucleo di valori che non sono religiosi in senso stretto, che costituiscono la base dell’etica sociale. Sono valori portatori del collante politico delle grandi democrazie moderne che è la solidarietà sociale.

Il collante che questo Paese ha smarrito da almeno due decenni in preda a un regionalismo assistenzialista dei ricchi tanto miope quanto irresponsabile. In preda a un’ubriacatura di diritti individuali che ha abolito il dovere collettivo e smarrito l’identità comune della coscienza nazionale. Si è perso il senso della crescita solidale e le ragioni di lungo termine che la sostengono per poveri e ricchi. Ne volete la prova? Prendete il bando di rigenerazione urbana da 3,4 miliardi del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr). Che cosa succede di così strano da fare gridare allo scandalo i sindaci della Lombardia e del Veneto? Che, per la prima volta, si è adottato come criterio di ripartizione delle risorse in gara l’indice di vulnerabilità sociale e materiale dell’Istat e non quello della quota capitaria di accesso. Che vuol dire spesa storica. Che, a sua volta, vuol dire che chi ha di più prende di più.

Per la prima volta dopo oltre un decennio di federalismo dissolutore ci si è occupati delle periferie urbane del Mezzogiorno. Dove il disagio sociale taglia fisicamente l’aria che si respira. Dove il verde è asfalto pieno di buche. Dove i trasporti sono un sogno. Dove c’è bisogno ancora di tutto. Dove peraltro l’Europa vuole che si spendano i soldi del Pnrr. Per la prima volta i Comuni del Sud hanno fatto progetti buoni ed è bello cogliere i piccoli segnali dei cambiamenti in atto. Risultato: alla Campania è andato il 14,3% delle domande finanziate, in Puglia l’11,5, in Sicilia il 12,3 contro il 5,1 della Lombardia e lo 0,9% del Veneto. Dei quasi duemila progetti presentati dai Comuni ne restano fuori 544, il 94% dei quali sono al Nord.

Avere per una volta deciso di non rifare arredi e panchine in qualche periferia ricca di qualche comune ricco del Veneto e del Friuli Venezia Giulia e avere scelto di investire per la prima volta nelle periferie a cui i soldi europei sono destinati perché è lì che si avverte il morso del disagio sociale è stato considerato lesa maestà. Si è scatenato il mondo intero. Si è aperta una polemica durissima con il presidente dell’associazione dei Comuni (Anci) che è il sindaco di Bari, Antonio Decaro.

Ragioneria generale dello Stato e ministero dell’Economia sono sotto assedio perché bisogna trovare i 900 milioni per finanziare i progetti delle autonomie speciali più finanziate d’Europa rimasti fuori dal bando. Più o meno è lo stesso miope atteggiamento che conduce a fare in massa le moratorie delle aziende tecnicamente già fallite del Nord e a negare qualsivoglia aiuto alle imprese del Sud messe anche meno male sull’altare del pregiudizio territoriale di una classe di uomini del credito che condannano se stessi e il Paese al più vergognoso dei disonori.

In questo contesto culturale può addirittura accadere che il sindaco di Milano di centrosinistra, Giuseppe Sala, per il quale abbiamo più volte espresso stima, arrivi alla aberrazione di candidare la sua città per utilizzare i fondi che i Comuni del Sud non sanno spendere dicendo tutto ciò in pubblico in occasione della tappa in Lombardia del road show del governo per l’attuazione del Pnrr. Nemmeno una minima valutazione di opportunità ha attraversato le sue parole in una manifestazione pubblica che schiera in prima linea gli uomini del governo di unità nazionale che ha la responsabilità dell’attuazione del Piano Italia, non della Lombardia o del Friuli Venezia Giulia.

Guardiamoci in faccia e diciamoci le cose come stanno. Se vogliamo riunire il Paese e uscire salvi dalla tempesta perfetta del nuovo ’29 mondiale abbiamo bisogno che al Quirinale vada una personalità che ricordi la figura di Ciampi e sappia fare un discorso rispettato sulla fiducia collettiva e sul collante sociale. Serve una personalità che abbia la credibilità in casa e fuori per fare sì che questo discorso si traduca in scelte concrete di solidarietà sociale e di sviluppo competitivo avendo in casa il rispetto dei cittadini e fuori quello dei mercati e dei governi europei. Questa credibilità Draghi ce l’ha. Il suo problema è che agli occhi dei partiti ne ha troppa. Sanno che scegliendolo nominano il protettore della nazione che non farà nessuna rivoluzione ma metterà le cose a posto. Quello che loro non vogliono perché abbiamo un ceto politico che vive di caos. Sanno che se c’è caos hanno spazio, ma se il caos finisce anche lo spazio loro finisce.
Cambiare mentalità e costruire un futuro senza caos significa capire per questo ceto politico che la Nuova Ricostruzione è la sfida della loro sopravvivenza e della rinascita dell’Italia. Significa soprattutto capire tutti che l’unità nazionale è l’unica speranza che si ha per vincere entrambe le sfide.


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