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Il confronto tra l’intervento minimo che si farà sterilizzando la quota di accise maggiorata e rateizzando i pagamenti, e quello giustamente monstre che si farà subito dopo il Def e le decisioni europee esecutive, misura la differenza tra ciò che può fare uno Stato come l’Italia, peraltro superindebitato, e quello che si può fare a livello europeo. Abbiamo la dimostrazione matematica della evidente distanza tra l’impotenza dei singoli Stati e le potenzialità di un’Europa che fa finalmente l’Europa a cominciare da extraprofitti e aiuti di Stato. Da una parte c’è uno sconto di 15 centesimi sul prezzo della benzina e la rateizzazione del pagamento dei rincari, dall’altra c’è l’opportunità unica di fare debito comune e di coprire con decine di miliardi gli extra costi legati alla guerra. È il colpo di grazia a ogni genere di sovranismo e di velleitarismi ideologici che puntualmente ritornano

Prendere atto della realtà appartiene alla responsabilità della grande politica. Questo vale sempre, ma è addirittura obbligatorio nei giorni terribili del nuovo ’29 mondiale. Quando agli effetti economici da guerra della grande crisi pandemica, segue la prima grande guerra sul campo e finanziaria nel cuore dell’Europa dopo la lunga pace occidentale. La prima grande guerra finanziaria vede l’Italia fortemente dipendente dallo Stato aggressore, la Russia, e dallo Stato aggredito, l’Ucraina, per le materie prime energetico-alimentari.

Per questo il default sovrano, ormai avvenuto, dell’economia dello zar-dittatore russo e il grande granaio ucraino sotto assedio mettono a nudo la fragilità italiana. Ci indicano con chiarezza che gli spazi di manovra di finanza pubblica ricambiano di nuovo integralmente. Ci indicano una road map che porta a discostarsi magari in modo non drammatico dal 5,6% di deficit previsto e, soprattutto, ci obbligano a attuare in due mosse la manovra di sostegno alle imprese colpite dal caro materie prime e alle famiglie per preservarne il potere di acquisto.

Ci trasferiscono in sostanza un messaggio chiarissimo: si potrà agire in due tappe perché sostanzialmente si potranno fare interventi grossi solo nella seconda fase a patto che si verifichino tre condizioni. 1) Il nuovo quadro di finanza pubblica contenuto nel Documento di economia e finanza (Def) anticipandone i tempi al 31 marzo e toccando al rialzo le stime già definite; 2) Il Consiglio europeo del 23/24 marzo dà il via libera alle nuove regole comuni a partire dalla tassazione degli extraprofitti energetici; 3) L’Antitrust completa in tempo reale il nuovo quadro temporaneo degli aiuti di stato in modo da ottenere il via libera della Commissione europea alle compensazioni finanziarie per i danni subiti da imprese e famiglie legati agli effetti collaterali delle sacrosante sanzioni economiche imposte alla Russia.

Quando tutte e tre queste condizioni si saranno pienamente attuate, avremo il maxi intervento: decine e decine di miliardi di aiuti a imprese e famiglie in parte ricavati dalla tassazione sugli extraprofitti energetici e in misura più rilevante dalle compensazioni finanziarie erogate dall’Europa in deroga al regime degli aiuti di stato, esattamente come fu con la pandemia. Il confronto tra l’intervento minimo che si farà sterilizzando la quota di accise maggiorata e rateizzando i pagamenti, e quello giustamente monstre che si farà subito dopo il Def e le decisioni europee esecutive, misura la differenza tra ciò che può fare uno Stato come l’Italia, peraltro superindebitato, e quello che si può fare a livello comunitario.

Abbiamo la dimostrazione matematica, direi quasi algebrica, della evidente distanza tra l’impotenza dei singoli stati e le potenzialità della politica economica comunitaria. La sproporzione di risorse disponibili tra il primo e il secondo intervento è anche la migliore dimostrazione che abbiamo un solo sviluppo possibile che è quello di un’altra Europa e del suo nuovo mercato unico. La differenza astronomica tra l’intervento possibile con la cassa italiana di uno Stato che ha 2700 e passa miliardi di debito pubblico e quello di dieci/venti volte superiore con la cassa europea di un’Europa che fa finalmente l’Europa, è il colpo di grazia a ogni genere di sovranismo e di velleitarismi ideologici che puntualmente ritornano.

Quello che resta dei sovranisti italiani deve almeno avere oggi l’onestà intellettuale di rendersi conto della differenza tra quello che possiamo fare oggi e quello che invece potremo fare domani. Da una parte c’è uno sconto di 15 centesimi sul prezzo della benzina e la rateizzazione del pagamento dei rincari, dall’altra c’è l’opportunità unica di fare debito comune e di coprire con decine di miliardi gli extra costi legati alla guerra.

Questa, non altre, è la realtà di contesto in cui ci muoviamo. Questa vale perché tiene conto della credibilità di un Paese, della sua reputazione sui mercati e della capacità di aggiornare i prezzi e finalmente aprire i cantieri del Next Generation Eu. Il resto è solo propaganda in termini politici sempre più scadente, sganciata dalla realtà e deleteria, perché alimenta aspettative che non possono essere soddisfatte e carica sulla comunità l’extra costo italiano del panico e della irresponsabilità.

Bisogna piuttosto ancora di più rafforzare la nostra capacità di influenza e di peso in Europa perché solo da lì per noi e per gli altri può ripartire tutto. Per questo bisogna bandire le sceneggiate della politica e della burocrazia italiane che minano la nostra credibilità e fare affidamento su una classe dirigente di livello. Bisogna prendere atto una volta per tutte che il nostro futuro si gioca qui in Europa, non altrove, e che dobbiamo muoverci uniti in questa direzione. Dobbiamo smetterla di essere e di essere visti come un Paese di guitti, ma piuttosto essere e presentarci come un Paese che offre classe dirigente per sé e per gli altri. Che è riconosciuto come affidabile.

Bisogna cambiare le nostre priorità mettendo prima di ogni altra la scelta di risorse umane all’altezza e l’impegno di prepararsi per il futuro a tirare su classi dirigenti sempre più agguerrite e di livello. Quello che dobbiamo evitare è di farci chiudere nel recinto di leader del Mediterraneo povero. La nostra missione non è quella di guidare il sindacato di chi soffre di più ma quella meritata di concorrere alla pari delle grandi economie europee nel ruolo di leadership e di classe dirigente della nuova Europa. Prima il problema era quello di trovare il compromesso per consentire a ognuno di fare i fatti suoi. Oggi il problema è trovare una leadership che allinei tutti nella capacità di concepire e di attuare una politica comune e di fare pesare l’Europa come soggetto collettivo nella nuova globalizzazione. Ottenendo la sua forza ripartendo dal mercato unico degli approvvigionamenti e degli investimenti allineando all’economia reale la finanza e la politica. Perché ormai lo hanno capito davvero tutti che l’Europa unita nella politica economica come nella difesa e nella politica estera esprime per tutti un valore infinitamente superiore alla somma degli addendi nazionali europei.

Questo ci dicono gli sconvolgimenti di ordine economico e geopolitico legati alla pandemia e quelli determinati dalla guerra finanziaria che sta consegnando la Russia alla povertà anche se nessuno lo dice. Lo zar condannato per sempre dalla coscienza collettiva a causa dei crimini di guerra di cui si è macchiato non ha capito che i disegni imperialisti mal si conciliano con la fragilità della sua economia. I mercati plaudono agli spiragli di pace nella guerra di Putin in Ucraina ma hanno capito prima di tutti che il nuovo ordine mondiale ha già i suoi vincitori e i suoi vinti. Guai se l’Europa commettesse l’errore di tornare a dividersi sul campo da gioco dell’economia che nel lungo termine resta il più delicato di tutti.

 


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