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La sala del Consiglio europeo

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L’Europa decide se c’è o se non c’è al Consiglio europeo di questa settimana. Se decide ora, non domani. Se fanno solo la nuova deroga agli aiuti di stato, ma decidono che i soldi bisogna che ce li mettano gli Stati nazionali perché fanno un regolamento che ti dice puoi dare più aiuti, ma tu non loro, allora vuol dire che l’Europa non esiste. Se non avvia la discussione sul debito comune e la porta alle sue naturali conclusioni, significa che continua a dire “fate voi” invece di dire “facciamo noi” con un carico di ipocrisia che mette a nudo in radice la meschinità di fare finta di ignorare che i bilanci pubblici nazionali non sono tutti uguali e che invece gli extra costi a cui si deve fare fronte sono extra costi che vengono per tutti dalla guerra di Putin all’Ucraina non dai vizi di questo o quel Paese. Si rifletta sulla risposta di Draghi a Zelensky in Parlamento per capire il senso profondo della urgenza della nuova Europa se si vuole essere all’altezza della sfida che pone il crocevia della storia dove si intersecano pandemia globale, nuovo ’29 mondiale, guerra di Putin all’Ucraina

«L’Ucraina è il cancello per l’esercito russo e loro vogliono entrare in Europa, ma la barbarie non deve entrare». Il presidente ucraino Volodymyr Zelenski, accolto da una standing ovation dei parlamentari, parla da Kiev alle Camere italiane, riunite a Montecitorio, e tocca le corde sensibili di deputati e senatori. Bussa al cuore degli italiani. Mario Draghi gli risponde a stretto giro: «L’Italia vuole l’Ucraina nell’Unione europea». Parla con il linguaggio che ha la nettezza della storia il nostro premier. Rivela consapevolezza e passione: «Davanti a inciviltà non ci giriamo dall’altra parte. Oggi l’Ucraina non difende solo se stessa ma la nostra pace, libertà e sicurezza».

Si percepisce il senso di un disegno chiaro che è un percorso di maggiore vicinanza dell’Ucraina all’Europa. È un processo lungo, fatto di riforme necessarie, ma il nostro Paese è a fianco dell’Ucraina in questo processo. Perché «l’Italia vuole l’Ucraina nell’Unione europea» e perché Draghi ha nella testa la trama di un’Europa federale che riannoda il filo della storia. Mette insieme un esercito comune, una politica estera comune, una capacità comune di fare investimenti e debito. Questo è il senso profondo della nuova Europa se vuole essere all’altezza della sfida che pone il crocevia della storia dove si intersecano pandemia globale, nuovo ’29 mondiale, la guerra di Putin all’Ucraina.

In questi passaggi che fanno la storia si respira la percezione del senso dell’urgenza. Non la si respira nelle dichiarazioni del commissario europeo per l’economia, Paolo Gentiloni, quando dichiara «è improbabile che ci sia già ora una discussione sul debito comune a livello europeo. Penso che la vera discussione avrà luogo in poche settimane da ora, quando avremo una visione chiara dell’impatto della crisi, non ora». No, non è così, le cose non stanno messe in questo modo. L’Europa decide se c’è o se non c’è al Consiglio europeo di questa settimana. Se decide ora, non domani.

Perché ora, non domani, rischiamo di ripiombare in recessione e di non rialzarci più. Perché ora, non domani, capiremo se dopo due grandi crisi finanziarie, la pandemia e il nuovo ’29 mondiale, abbiamo capito la lezione dei nostri errori del passato e la applichiamo per affrontare gli sconvolgimenti da questa folle guerra russa nel cuore dell’Europa proteggendo le nostre economie e i nostri stati sociali.

Parliamoci chiaro. Se al Consiglio europeo fanno solo la nuova deroga agli aiuti di stato, ma decidono che i soldi bisogna che ce li mettano gli Stati nazionali perché loro cambiano solo un regolamento che ti dice puoi dare più aiuti, elevando il tetto di ogni singolo aiuto magari da 2 a 25 milioni, allora vuole dire che l’Europa non esiste.

Se l’Europa non avvia la discussione sul debito comune e la porta alle sue naturali conclusioni, significa che continua a dire “fate voi” invece di dire “facciamo noi” con un carico di ipocrisia che mette a nudo in radice la meschinità di fare finta di ignorare che i bilanci pubblici nazionali non sono tutti uguali e che invece gli extra costi a cui si deve fare fronte sono extra costi che vengono per tutti dalla guerra di Putin all’Ucraina, non dai capricci o dai vizi di questo o quel Paese.

“Fate voi” o “facciamo noi” è oggi il discrimine se l’Europa c’è o non c’è. Non abbiamo tantissimo tempo. Noi vogliamo l’Ucraina in Europa e possiamo sorvolare sui due o tre euro in meno a megawattora con cui pagano il gas i tedeschi, ma il prezzo che l’Europa divisa paga sul campo di battaglia di questa guerra non sono i due o tre euro di differenza. Stiamo parlando di un prezzo del petrolio quattro volte superiore a quello che paga l’India e di una botta senza precedenti su tutta la filiera delle materie prime energetiche e alimentari che rischiano di regalarci due trimestri a crescita zero o sotto zero. Anche se non entreremo in recessione, magari sarà solo tecnica, e comunque non avverrà solo grazie alla crescita acquisita del 2,3% come trascinamento della crescita record (6,6%) del 2021.

O si dimostra di avere capito che se ne esce solo tutti insieme facendo debito comune senza aspettare gli eventi ma guidando gli eventi o avremo la solita Europa dove ognuno andrà per i fatti suoi e tutti ne usciranno con le ossa rotte. La traiettoria in picchiata dell’indice della fiducia delle imprese tedesche assomiglia a quella di un aereo in caduta libera colpito da qualche missile nemico. Il sistema manifatturiero e agroalimentare italiani che avevano mostrato migliore dinamismo all’uscita dal Covid 19 vacillano pesantemente e tutti i numerini del quadro macroeconomico e, successivamente, del Documento di economia e finanza (Def) di finanza pubblica rischiano di risultare un esercizio di fantasia senza interventi immediati. Il debito comune europeo serve ora, non domani. Chiudere gli occhi e dire “fate voi” avrebbe il sapore della provocazione. L’Europa alla chiamata della guerra può rispondere in un solo modo: facciamo noi.


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