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Mario Draghi con il Ministro Franco

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Si sono tirati fuori 30 miliardi senza scostamento di bilancio. Raccomandiamo a ministri, burocrati, sindaci di non perdere più tempo con vecchi e nuovi libri bianchi, ma di impegnarsi in scelte fattuali urgentissime di capitale umano senza il quale è impossibile realizzare quelle scelte di governance centralizzata dei porti del Sud Europa, di logistica a sostegno dell’industria del mare e di ogni tipo di intervento infrastrutturale, ma anche educativo, formativo, di ricerca e di rete delle intelligenze, che sono il cuore della sfida competitiva del Pnrr e, quindi, del futuro dell’Italia stessa. Se non vogliamo rifare le “cattedrali nel deserto” del passato, preoccupiamoci di trovare i preti che andranno a fare messa ogni giorno in quelle cattedrali. Facciamolo seriamente e facciamolo bene. Soprattutto, facciamolo presto.

Non abbiamo paura dei concorrenti ma addirittura dell’ipotesi che ci siano dei concorrenti. In politica, quella della propaganda, come negli affari, il reticolo degli interessi, questa è la regola che comanda il gioco. Siamo un Paese fatto così dove l’invidia sociale e il giardinetto viziato dei fatti nostri e di quelli degli amici nostri sono il carburante di un motore malato che ha portato più volte il Paese sull’orlo della bancarotta di Stato e ne ha fatto il fanalino di coda ventennale della crescita europea.

Ora tutti, scopriamo, volevano fare quello che ha fatto Draghi per sostenere l’economia, ferita dalla guerra di Putin all’Ucraina e dai suoi genocidi nel cuore dell’Europa. Tutti si dimenticano di dire che volevano che si facessero quelle stesse cose (non tutte, peraltro, perché bisogna cambiare sempre in modo che si cambi poco) con il solito, ennesimo scostamento di bilancio e che invece Draghi e Franco lo hanno fatto senza fare lo scostamento di bilancio facendo esattamente quello che nessuno aveva fatto prima. Perché esistono problemi reali di sostenibilità del debito pubblico causati proprio da quella stessa classe politica italiana pasticciona e dai loro megafoni da talk televisivo che hanno nei decenni fatto accumulare al Paese un debito pubblico monstre che è la somma algebrica dei vizi privati di cui loro si sono fatti sempre portatori.

Soprattutto Draghi e Franco hanno fatto quello che serve per cercare di non togliere potere d’acquisto alle famiglie e di ridurre al massimo gli impatti del caro materie prime sul ciclo produttivo. Hanno tirato fuori 30 miliardi trovandoli nei margini di manovra che avevano saputo creare all’interno del bilancio pubblico e colpendo quegli extraprofitti figli del meccanismo distorsivo di formazione del prezzo del gas che, a sua volta, incide su quello dell’elettricità e sui moltiplicatori che la finanza su di esso a sua volta genera facendo il proprio mestiere.

Vogliamo essere molto chiari. L’economia italiana ha fatto nel 2021 un risultato storico e sta tenendo nel 2022 meglio del previsto perché la guida della politica economica è in mani salde che bandiscono l’improvvisazione e che collocano l’Italia alla guida del processo politico di formazione della nuova Europa e nell’avanguardia di quella alleanza atlantica che esprime il primato dei valori fondanti e indiscutibili del mondo libero nel nuovo conflitto di civiltà che non riguarda più la scelta tra il burqa e la minigonna.

Queste cose di base, per piacere, non facciamo finta di dimenticarcele. Perché i conti con la storia si fanno nel lungo termine, non nel breve, ma si orientano in un senso o in un altro a seconda delle scelte che facciamo oggi, non domani.

Per queste ragioni il discorso di ieri di Draghi a Strasburgo è il discorso del federalismo pragmatico della nuova Europa di cui è l’architetto politico dai tempi in cui ha salvato l’euro ma è anche portatore dei valori di solidarietà e del coraggio di cambiare, regole, governance, trattati che la sfida dei tempi impone.

C’è nelle parole di Draghi una visione a 360 gradi che parte dalla scelta del metodo pandemico europeo (Next Generation Eu) come esempio da ripetere oggi con lo stesso metodo di soluzioni strutturali per il tema energetico perché il problema non si può risolvere da soli, Paese per Paese, ma tutti insieme. La stessa visione che lo spinge a sottolineare come la politica energetica è un’area in cui i Paesi del Mediterraneo devono – e possono – giocare un ruolo fondamentale per il futuro dell’Europa. Un ragionamento che racconta il profondo riorientamento geopolitico destinato a spostare sempre di più il suo asse strategico verso il Sud.

C’è qualcosa di veramente importante, con riferimento ai combustibili di transizione ma ancora di più alle enormi opportunità offerte dalle rinnovabili in Africa e in Medio Oriente, nella sottolineatura di Draghi del ruolo dei Paesi del Sud Europa e dell’Italia in particolare che sono collocati in modo strategico per raccogliere questa produzione energetica e fare da ponte verso i Paesi del Nord. Anche qui la nostra centralità di domani passa dagli investimenti che sapremo fare oggi.

Questo giornale è nato tre anni fa nel segno di tali ragionamenti strategici sul piano geopolitico e volle sottolineare nel suo primo numero di uscita la coerenza meridionalista degasperiana delle analisi di Draghi sul piano interno. Ve ne è traccia tangibile in tutta l’azione del suo governo di unità nazionale a partire dal Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Ci permettiamo di suggerire uguale fermezza, come si è avuta nel perseguire le semplificazioni per favorire gli investimenti energetici, anzi ancora di più a tutto tondo per favorire l’attuazione degli investimenti del Piano nazionale di ripresa e di resilienza.

Raccomandando a tutti – ministri, burocrati, sindaci – di non perdere più tempo in convegni, dibattiti, vecchi e nuovi libri bianchi, li sforni Ambrosetti o chicchessia, ma di impegnarsi in scelte fattuali urgentissime che riguardano il capitale umano senza il quale è impossibile realizzare quelle scelte di governance centralizzata dei porti del Sud Europa, di logistica a sostegno dell’industria del mare, e di ogni tipo di intervento infrastrutturale immateriale e materiale, ma anche educativo, formativo, di ricerca e di rete delle intelligenze, che sono il cuore della sfida competitiva del Piano nazionale di ripresa e di resilienza e, quindi, dell’Italia stessa. Se non vogliamo rifare le “cattedrali nel deserto” del passato, preoccupiamoci di trovare i preti che andranno a fare messa ogni giorno in quelle cattedrali. Facciamolo seriamente e facciamolo bene. Soprattutto, facciamolo presto.


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