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Il punto è quanto l’azione militare riuscirà a progredire sulla base della resistenza russa al fallimento dello Stato sovrano e alla povertà dei suoi cittadini. Quanto tempo serve perché le sanzioni economiche che hanno fatto perdere alla Russia la guerra finanziaria la costringano anche alla resa militare. Non sappiamo qual è il tasso di sopportazione della popolazione russa e qual è il tasso di accondiscendenza a Putin dei suoi tecnocrati più avveduti e degli oligarchi più infidi colpiti nei portafogli. Confidiamo che il default finanziario e sociale già in atto in Russia gli permetta di comprendere l’errore storico e di dare ascolto alla governatrice della banca centrale russa e alla nomenclatura cinese che vogliono il cessate il fuoco. Perché il genocidio di un popolo libero come quello ucraino rientrerebbe in quei crimini di guerra che macchiano la coscienza del mondo. Perché l’apocalisse energetica italiana certa con la guerra lunga che farebbe sparire il gas russo, impedirebbe agli italiani di avere una vita normale e costringerebbe la nostra economia appena risollevatasi a tornare in recessione

Le sanzioni economiche equivalgono a una dichiarazione di guerra. Sono le parole di Vladimir Putin, l’autocrate russo che si è macchiato dell’orrore della guerra in Ucraina ed è riuscito con i suoi carri armati a ferire le coscienze, riunire i popoli del mondo libero, riarmare la Germania e l’Europa. Sono le parole che suggellano ufficialmente la sconfitta della Russia nella guerra finanziaria di cui questo giornale parla da giorni in assoluta solitudine.

Il tempo è la questione cruciale. Quanto serve per produrre uno stato irreversibile tale da fermare l’azione militare. Quanto pesa la fame dei russi che hanno uno stipendio che non vale più niente perché il rublo è crollato nel cambio con il dollaro e l’euro. Che vanno al supermercato e non trovano quello che cercano e se lo trovano non sanno se riescono a pagarlo. Quanto vale la fuga dei capitali inarrestabile perché non c’è un russo che non prelevi i suoi soldi dalle banche russe. Quanto valgono i titoli sovrani russi che sono carta straccia e la nuova cortina di ferro che isola dal mondo produttivo e finanziario l’intero Paese.

Quanto invece, a fronte di tutto ciò, l’azione militare riuscirà a progredire sulla base della resistenza russa al fallimento dello Stato sovrano e alla povertà dei suoi cittadini. Quanto tempo serve perché le sanzioni economiche che hanno fatto perdere alla Russia la guerra finanziaria la costringano invece alla resa sui campi di combattimento. Quanto tempo serve a Putin per rendersi conto che la rivolta dei russi contro il suo regime sarà l’effetto combinato del congelamento delle riserve all’estero della banca centrale russa e dell’isolamento finanziario dal mondo con l’appoggio determinato dell’Occidente all’Ucraina sul piano militare. Quanto tempo serve a Putin per rendersi conto che il mondo unito non scherza più e che le sanzioni già gravissime potranno ancora essere peggiorate coinvolgendo tutte le banche sovietiche e anche il canale finanziario del gas. Che tutto ciò sarà possibile se necessario per fermarlo nonostante i danni incalcolabili che economie come quella italiana subirebbero di sicuro. Perché di questo, non di altro, stanno discutendo i capi del mondo occidentale per bloccare la guerra di Putin.

Sono giorni che mettiamo in guardia dalla gravità di quello che sta accadendo sul fronte della guerra finanziaria in Russia e in Italia che sono i due versanti più caldi del nuovo conflitto mondiale economico. Perché la Borsa russa è stata chiusa all’istante e nessuno si azzarda a dire quando riaprirà, ma la Borsa italiana dall’inizio della guerra a oggi ha perso il 13% di capitalizzazione con una pioggia di vendite sui titoli bancari e le esposizioni russe di UniCredit e di IntesaSanPaolo che i mercati considerano perdite. Perché il fallimento sovrano della Russia stimato al 70% è nei fatti già avvenuto in quanto le cedole dei titoli in scadenza non sono state pagate e quelle di nuova scadenza ugualmente non lo saranno al punto che non c’è una sola agenzia di rating internazionale che non li classifichi come spazzatura.

Perché il sistema delle materie prime energetiche e alimentari per effetto delle sacrosante sanzioni economiche alla Russia ha portato come effetto collaterale il gas a 208 dollari che è dieci volte di più di quanto pagavano le imprese italiane prima della guerra, il petrolio Brent sopra i 112 dollari, perfino il combustibile dei poveri che è il carbone è arrivato a superare il tetto mai visto dei 400 dollari.

Si parla molto a vanvera di gas algerino come fonte sostitutiva, ma nessuno si degna di chiarire che il gas in Algeria non c’è e che bisogna andarlo a prendere sotto terra scavando in profondità come non avviene da tempo e che, quindi, i tempi non sono brevissimi. I prezzi stellari di grano tenero e mais completano il bollettino di guerra delle materie prime italiane. Il combinato dei doppi rincari produce danni di decine di miliardi per le nostre imprese manifatturiere, a partire da quelle energivore, e per le imprese agro-alimentari. Sul turismo il sacrosanto congelamento dei beni degli oligarchi contribuisce alla caduta di un settore già fortemente stressato dalla pandemia e dalla crisi della domanda internazionale. Pezzi vitali di economia italiana si sono già fermati, interi distretti produttivi sono ormai alla canna del gas. Se si dovesse arrivare “all’arma nucleare” della finanza dello Swift su tutte le banche russe e, di conseguenza, per noi al blocco delle forniture di gas e petrolio russe l’effetto sull’Italia sarebbe quello di una nuova crisi pandemica che vuole dire 8/9 punti di prodotto interno lordo (Pil). Siamo ovviamente dentro un teatro economico di guerra che riguarda tutti e, quindi, bilancio pubblico italiano e bilancio pubblico europeo dovranno fare la loro parte, ma che la situazione sia estremamente delicata e che bisogna intervenire da subito è evidente a tutti.

Torniamo, dunque, all’interrogativo principale. Quanto tempo serve per produrre alla Russia uno stato irreversibile dell’economia tale da costringere Putin alla resa militare. La governatrice della banca centrale russa, Elvira Nabiullina, è una persona con la testa sulle spalle e che non ha mai sfigurato in tutti gli appuntamenti internazionali. Fosse per lei la presa d’atto della irreversibilità dello stato finanziario del Paese sarebbe già scattata se non altro per gestirla al meglio, ma le logiche di uno stato di polizia non coincidono con le nostre categorie. Noi non siamo in grado di capire fino in fondo qual è il tasso di sopportazione della popolazione russa e qual è il tasso di accondiscendenza a Putin dei suoi tecnocrati più avveduti e degli oligarchi più infidi colpiti nei portafogli. C’è il precedente del default russo del ’98 dove la popolazione ha sofferto da pazzi ma non si è ribellata alla morsa finanziaria. Oggi l’obiettivo dichiarato è quello di togliere il terreno sotto i piedi di Putin facendo anche terra bruciata sugli oligarchi che gli stanno intorno e qualcosa, da questo punto vista, deve essere accaduto se l’autocrate russo per due giorni di seguito prima ha chiesto di “non esacerbare il clima con le sanzioni economiche” poi è arrivato a dire che “le sanzioni economiche equivalgono a un atto di guerra”.

È una questione di tempi, dunque. Per loro e anche per noi a causa dei rilevantissimi effetti collaterali che ne subiamo. Il punto nevralgico è per quanto tempo i russi sono capaci di sopportare una situazione di autarchia. Anche se dovrebbero almeno capire che questa lunga agonia li conduce a isolarli e a essere poi tutti dipendenti della Cina che dialoga e vuole continuare a dialogare con il mondo occidentale. C’è, in questo caso, una gigantesca diffidenza dell’Occidente per i metodi asiatici di spionaggio industriale e cibernetico, ma né Cina, né Europa, né Stati Uniti pensano o comunque possono pensare di non dialogare tra di loro perché a differenza della Russia sono interconnessi e in competizione globale sulle tecnologie, sull’industria del futuro e della ricerca. Anche il mondo pazzo di Trump che voleva far fallire il multilateralismo è stato spazzato via dalla pandemia.

Piuttosto oggi siamo tutti costretti a fare i conti con il dramma straordinario di una pandemia che ha fatto fuori cinesi e russi dalla partecipazione in presenza a ogni tipo di vertice internazionale da due anni in qua. Si rimane colpiti dal fatto che non si percepisce una linea di comunicazione informale con la Cina che aiuti a capire le cose e a prevenire gli eventi. Si era già visto con il G20 quando ci si è dovuti misurare con improvvisi irrigidimenti sulla lotta al cambiamento climatico e, in parte, anche sui discorsi sanitari globali. Un tema che non ha riguardato solo la Cina, ma anche l’India, il Brasile, la Russia. Tutti Paesi anche in contrasto tra di loro, ma che farebbero fatica a sostituire con partnership occidentali i legami commerciali tra di loro.

Putin ha sottovalutato la resistenza ucraina sul campo e non aveva proprio nel radar la mobilitazione europea. Che invece ora c’è. Come ci sono le sanzioni economiche che hanno fatto fallire la sua Russia e possono fare ancora più male ai suoi cittadini e all’economia del Paese. Come c’è una Cina che si porta dietro anche l’India e un po’ di autocrati sparsi che sono tutti insieme un pezzo rilevante del commercio mondiale, ma è la stessa Cina che chiede a Putin “il cessate il fuoco”. Noi confidiamo che il default finanziario e sociale già in atto in Russia gli permetta di comprendere l’errore storico commesso e lo costringa a dare retta ai consigli dei suoi nuovi padroni che sono i cinesi. Ce lo auguriamo fortemente perché il genocidio di un popolo libero come quello ucraino rientrerebbe in quei crimini di guerra che macchiano la coscienza del mondo. Ce lo auguriamo perché l’apocalisse energetica italiana certa con la guerra lunga che farebbe sparire il gas russo, impedirebbe agli italiani di avere una vita normale e costringerebbe la nostra economia appena risollevatasi a tornare in recessione. Questi sono i fatti. Il resto sono chiacchiere o penose bugie.


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