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Matteo Zuppi

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La Chiesa non si pone più come maestra ma come partecipe di un processo indirizzato a quelli che lavorano alla coesione sociale e alla partecipazione collettiva nel mezzo di una crisi di tale portata per cui tutti dobbiamo rimetterci in gioco. C’è un grande bisogno di fare coesione sociale e, per ottenere questo difficilissimo, fondamentale risultato, la politica ha finalmente un interlocutore che non è più la Chiesa rivendicazionista di Ruini o quella meno aggressiva fino a sparire che è venuta dopo. Da Zuppi in questa fase politica arriva un messaggio forte: siamo pronti a camminare al vostro fianco senza pretendere alcun riconoscimento per noi, anzi proprio con la massima umiltà possibile ci rivolgiamo non alle autorità ma agli operatori concreti e, cioè, a tutti quelli che lavorano negli ospedali, nelle carceri, negli uffici postali e così via. Parla di diritti e di senso dei limiti, di qualità delle istituzioni e di centralità della persona. Una svolta vera e propria che fa a pugni con gli egoismi miopi illusori dell’autonomia differenziata

«Carissima, carissimo, la vedo operare negli uffici, nelle aule di università o delle scuole, in quelle di un tribunale o nelle stanze dove si difende la sicurezza delle persone, nelle corsie dove si cura o nel front office di uno sportello, nei laboratori o lungo le strade per renderle belle e proprie, nei ministeri o in qualche ufficio isolato dove non la nota nessuno, nei cortili delle caserme o nei bracci delle carceri. In realtà tanta parte del suo lavoro non si vede, ma questa lettera è per lei. Non ci conosciamo, ma il suo servizio è vicino alla mia vita e a quella dei miei amici, delle persone che mi sono care, di tanti, di tutti, miei e nostri compagni di viaggio e per questo ho pensato di scriverle. Istintivamente le darei del tu, ma preferisco cominciare dal Lei per il grande rispetto che nutro.»

Inizia così la lettera-articolo di Matteo Zuppi per la festa della Repubblica pubblicata ieri su Avvenire che andrebbe letta in tutte le scuole italiane diciamo per una settimana ogni mattina. È un testo molto denso che segna una svolta politica della Chiesa italiana, come ci eravamo permessi di prevedere, perché entra nello spirito e nel corpo delle persone che tengono in piedi un Paese ponendosi a fianco delle donne e degli uomini delle istituzioni e calandosi dentro il mondo di oggi che non è più quello di ieri anche se in troppi non lo hanno ancora capito.

Prima di tutto perché la Conferenza episcopale italiana (Cei) torna a parlare dopo un lungo tempo con un testo pregnante in cui la Chiesa non si pone più come maestra ma come partecipe di un processo indirizzato a quelli che lavorano alla coesione sociale e alla partecipazione collettiva nel mezzo di una crisi di tale portata per cui tutti dobbiamo rimetterci in gioco.

Non dice “se non seguite i nostri consigli siete finiti” ma piuttosto dice che ci vuole umiltà, che serve partecipazione, che bisogna sentirsi tutti fratelli. Parla di diritti e di senso dei limiti, di qualità delle istituzioni e di centralità della persona. È un testo, a suo modo francescano, che segna molto il ritorno sulla scena della Chiesa in questa fase politica per dare un messaggio forte che è “noi ci siamo e siamo pronti a darvi una mano” con umiltà, in quanto camminiamo al vostro fianco.

Perché dovrebbe essere letto nelle scuole e, magari, diventare oggetto di dibattito culturale e mediatico questo testo? Perché aiuterebbe a capire la gente, stordita da ogni genere di demagogia, populismo, egoismo e invidia sociale, che è la storia ad avere preteso Zuppi al vertice della Chiesa italiana. Perché c’è un grande bisogno di fare coesione sociale e, per ottenere questo difficilissimo, fondamentale risultato, la politica ha finalmente un interlocutore che non è più la Chiesa rivendicazionista di Ruini o quella meno aggressiva fino a sparire che è venuta dopo.

No, oggi c’è la Chiesa che propone un messaggio forte: siamo pronti a camminare al vostro fianco senza pretendere alcun riconoscimento particolare per noi, anzi proprio con la massima umiltà possibile ci rivolgiamo non alle autorità ma agli operatori concreti e, cioè, a tutti quelli che lavorano negli ospedali, nelle carceri, negli uffici postali e così via. Anzi, di più, questa Chiesa si rivolge a Lei che lavora in questi campi e che è il perno del successo sociale. Si rivolge ai cittadini, alla maggior parte di voi, chiedendo loro di fare il loro dovere perché facendolo si mette in piedi il futuro del Paese.

Anche nella parte finale della lettera dove Zuppi ricorda che questa è l’anima della Costituzione italiana, citando articolo per articolo, emerge una grande umiltà perché non c’è mai la rivendicazione del fatto che chi ha messo nella Costituzione questi principi fondanti sono i cattolici. Perché quegli articoli li hanno messi dentro i Dossetti, i Fanfani, ma non viene ricordato proprio per evitare che si dica “siamo noi i più importanti”. Quanta distanza siderale tra questo modo di porsi che ha la sua stella polare nella coesione sociale dell’intero Paese e la miope rivendicazione di tenersi una compartecipazione dell’IVA dei territori ricchi che esprime l’illusione che possa tornare all’infinito il mondo di ieri con i privilegi accresciuti di un’autonomia differenziata che già nei fatti esiste e già tanti danni ha prodotto.

Il mondo di ieri è finito per sempre e tutti questi progetti nascono già morti perché allora che c’era una situazione economica migliore i Livelli essenziali di prestazione (Lep) non si è voluto farli e ipotizzarli ora per la onerosità intrinseca senza che i ricchi rinuncino a qualcosa è impossibile.

Addirittura, al contrario, si continua a raccontare la favola dei Lep da fare dopo per prendersi subito nel mondo reale dei ricchi più di quello che ingiustamente si prendeva prima con la cosiddetta autonomia differenziata. Questo oggi è impossibile. Solo pensare di farlo senza rendersi conto che il sistema sociale ti si rivolgerebbe contro è espressione di follia o di miope egoismo. Bisognerebbe avere almeno l’intelligenza di capire che oggi, a differenza di ieri, la gente ha consapevolezza che il debito pubblico si può gonfiare fino al punto che ti sommerge e ti toglie il respiro e ovviamente non vuole che questa prospettiva si realizzi. Finiamola almeno di prenderci in giro.


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