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Biden, Meloni e Zelensky al vertice Nato a Vilnius

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È andata come doveva andare sull’Ucraina e a Zelensky gli americani hanno detto ciò che era logico che dicessero. L’Europa paga il prezzo di un’azione a zig zag di Macron che ha difficoltà interne e non il ruolo internazionale a cui ambirebbe. Anche perché la furbizia di Giorgia Meloni gli ha sottratto il discorso chiave del futuro dell’Europa che è quello del Mediterraneo. C’è sul tema da Prodi, oltre venti anni fa, a Minniti e a Draghi fino alla Meloni di oggi una statura internazionale dell’Italia non predatoria nel rapporto con l’Africa che aspira a diventare patrimonio comune della nuova Europa. Dove una Germania che mette sul piatto della difesa 100 miliardi è contrastata dai radicalismi interni.

A VILNIUS è andata come doveva andare. Nella Nato comandano gli americani, l’Europa ha rinunciato al ruolo che potrebbe avere perché resta sparpagliata e, dunque, si fa quello che vogliono gli americani. Che, peraltro, in questa fase di guerra hanno detto a Zelensky ciò che era abbastanza logico che dicessero. Perché dare oggi il calendario di apertura delle porte della Nato all’Ucraina, che ha tutte le ragioni del mondo e con la quale l’Occidente è schierato economicamente e militarmente, significherebbe trasformare la guerra di invasione russa nel cuore dell’Europa in una guerra mondiale.

È abbastanza naturale che finisse così perché anche questo vertice ridimensiona le velleità di Macron. Che prima dice che la Nato ha il cervello piatto e non serve a niente, ma poi dice pure con la stessa disinvoltura quello che proprio non può dire e, cioè, “vogliamo un percorso accelerato per l’Ucraina nella Nato”. Non si passa da un estremo all’altro senza perdere credibilità inseguendo una voglia tutta francese di stupire sempre e tenendosi arbitrariamente stretta la rappresentanza europea della difesa nelle Nazioni unite. L’Europa sta pagando il prezzo di questa azione a zig zag della Francia che riflette anche le forti difficoltà interne di Macron. Che non riesce ad avere per il suo Paese il ruolo internazionale a cui ambirebbe e si trova a fare i conti con la furbizia della premier italiana, Giorgia Meloni, che gli ha sottratto la leadership del discorso chiave del futuro dell’Europa che è quello del Mediterraneo. Anche oggi non ha perso occasione. Per ribadire che questo tema lo porta ovunque e sarà al centro del prossimo G 7 a nostra guida, ma ha soprattutto insistito sull’approccio italiano non predatorio con l’Africa. Che non è un continente povero, ma un continente sfruttato e che deve invece essere al centro di un interesse europeo, guidato dall’Italia, che favorisca un processo di sviluppo alla pari per un territorio ricco di risorse strategiche e che tra un quarto di secolo avrà una popolazione di più di due miliardi di persone.

La carta italiana del Mediterraneo giocata dalla Meloni è quella di un Paese che è attore centrale non solo per posizione geografica, ma anche per l’approccio strategico di cui si fa portatore. Il senso della scommessa italiana è quello di trasferire agli altri Paesi europei la consapevolezza che bisogna capire come vivono e da che cosa partono gli altri per costruire una cooperazione seria e duratura che porti lì lo sviluppo. Perché è quello sviluppo lì che porta anche più democrazia. C’è da Prodi, oltre venti anni fa, a Minniti e a Draghi fino alla Meloni di oggi una statura internazionale dell’Italia sul tema che fa la differenza tra noi e i francesi e molti altri e che, soprattutto, dovrebbe diventare patrimonio strategico comune della nuova Europa. Si avvera per la Meloni quella che era stata una nostra previsione di una politica economica europea con la P maiuscola, di un allineamento strategico con gli Stati Uniti e di un’azione sistemica di acquisizione delle leve di controllo in casa con in più questo valore aggiunto del Mediterraneo che è insieme l’intuizione migliore e la sfida più complicata da vincere.

Il problema francese che discende dal protagonismo italiano nel Mediterraneo non va sottovalutato perché Macron non può più neppure giocarsi la carta di chi fa il discorso di fermare l’imperialismo russo a Nord Est perché è quello che fanno gli americani. Il tema dell’ingresso della Svezia nella Nato con il ruolo comune alla Finlandia di Paesi dell’Est che fanno da diga all’espansionismo sovietico rischia di fare perdere di vista a tutti il vero punto sul quale la Nato ha un deficit di intelligenze e di risorse che è proprio l’Africa. Per fortuna ora anche nella Nato si rendono conto che è importantissima sia perché custodisce la miccia accesa dell’esplosione demografica sia perché è un Paese pieno di risorse di materie prime di cui l’Occidente comincia a scarseggiare. Non a caso cinesi, russi e perfino i turchi, con armi, soldi e metodi autocratici da colonizzatori, si sono portati avanti e rappresentano oggi un problema per il disegno più importante che la nuova Europa deve realizzare. Si dovrà anche misurare, l’Europa, con un altro problema molto rilevante che è determinato dal fatto che fino ad ora non è emersa una leadership africana né dalle ex colonie francesi né dal blocco di quelle britanniche. Forse, bisognerebbe aiutare a fare un salto con un profilo di cambiamento più preciso il Sud Africa che strizza un po’ l’occhiolino a tutti.

Sotto la superficie del vertice della Nato di Vilnius bolle, dunque, tutto questo che, spesso, non viene presentato all’opinione pubblica per quello che è realmente: un tema vero per il futuro dell’Europa. Come lo è quello della difficoltà oggettiva della Germania che è a sua volta divisa perché, da un lato, si è convinta a riprendere un ruolo di potenza militare e, dall’altro, questa scelta incide sulla sua stabilità interna perché molto contrastata dai radicalismi e dagli estremismi che ha in casa. L’Europa è indebolita dal fatto che la Francia ondeggia e non ha i soldi e che la Germania ha già messo sul piatto 100 miliardi, ma è fermata dalle sue contraddizioni interne. Per questo alla fine l’Europa resta sparpagliata e comandano gli americani.


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