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Il ministro per la Sanità Roberto Speranza

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Bisogna rifare la prima Cassa del Mezzogiorno, quella di 300 ingegneri che apriva e chiudeva i cantieri, che non rubò una lira e consentì all’Italia di raddoppiare il prestito Marshall. Allora vedrete che il Sud avrà i suoi bandi internazionali e i suoi treni veloci. Altrimenti sono solo chiacchiere

Vorremmo occuparci di quello che accade non di quello che si dice accadrà. Soprattutto, cerchiamo di spiegare perché accade l’esatto contrario di quello che si dice e come fare per uscire non a parole da questa contraddizione. Assistiamo a una nobile gara tra il ministro della Sanità, Speranza, che stimiamo, e il ministro delle Infrastrutture, De Micheli, che non ne ha indovinata una e non stimiamo, a chi fa prima a annunciare che il Sud avrà finalmente più risorse pubbliche per la sua sanità e per gli investimenti infrastrutturali, che le cose cambieranno, che tutto è pronto perché si volti pagina rispetto al passato.

Non è vero, purtroppo. Perché il mostro spesa storica non ha perso in rapacità e rischia di spostare un altro miliardo dal Sud al Nord per la sanità e se non cambiano le regole i cantieri si apriranno al centronord entro un anno e se tutto va bene tra quattro anni al Sud.

Tutto nasce da un’anomalia solo italiana che si chiama Conferenza Stato-Regioni. Ha avuto il sopravvento perché ai governi italiani alle prese con i famosi vincoli europei di bilancio è convenuto: fate voi, decidete voi, e loro hanno fatto e deciso come volevano loro, spesso non rispettando i vincoli sempre a favore di alcuni e a spese di altri. Il controllo della spesa pubblica sociale e infrastrutturale è finito nelle mani di un oligopolio di potentati regionali, anzi meglio in quelle del duopolio lombardo e emiliano-romagnolo che ha gestito di fatto la ripartizione delle risorse e lo ha fatto a suo uso e consumo.

Uno speciale ministero composto di due Regioni ha fatto il bello e il cattivo tempo. Praticamente la Regione Lombardia fa i calcoli per tutti e l’unico punto di mediazione è con l’Emilia-Romagna. I funzionari delle altre Regioni neppure vanno più perché non hanno strumenti per opporsi e non sono messi politicamente nelle condizioni di farlo. Non si è mai neppure pensato di fare un servizio studi per le regioni composto da enti indipendenti che inserisse nei parametri di valutazione i valori della cosiddetta deprivazione sociale. Per carità, si dovesse mai tenere conto nella ripartizione dei trasferimenti del tasso di disoccupazione o del tasso di povertà di questa o quella regione! Benché raccomandato più volte da vari governi di questo non si è nemmeno parlato, si è sempre scelto senza discutere che a guidare fosse il criterio della età per cui le regioni del Nord dove ci sono più anziani e dove le speranze di vita sono superiori fanno bottino pieno e la Campania, ad esempio, che è piena di giovani senza lavoro e senza reddito e di poveri si arrangi, si prenda i tagli, e non disturbi il manovratore.

Dite che, forse, ci vorrebbe una commissione di scienziati indipendenti? No, vi sbagliate! I soldi sono quelli che sono e, quindi, non si cambia nulla: l’Emilia-Romagna si conferma un modello di sottrazione di risorse altrui, ma molto attento al territorio e alla sua popolazione con tassi riconosciuti di efficienza. Il modello lombardo di sottrazione di risorse altrui si conferma capace di fare quattrini, soprattutto a Milano, con alti tassi di specializzazione e di ricerca, ma molto meno presente nei territori e troppo poco attento agli ospedali pubblici.

Entrambi i modelli hanno una priorità: portare l’acqua al proprio mulino e evitare che regioni come la Campania e la Puglia abbiano le risorse per attrezzarsi meglio e ridurre di conseguenza il turismo sanitario di cui loro sono beneficiarie nette. Per queste ragioni, a prescindere dai primati indiscutibili emiliani e lombardi, non si è mai fatto il fondo di perequazione sanitario e tanto meno quello infrastrutturale, entrambi previsti dalla legge del federalismo fiscale approvata e mai attuata violando i diritti costituzionali di cittadinanza.

Sono arrivate in compenso le mille Basilee per le università di modo che gli atenei del Sud pagassero pegno come gli ospedali e le scuole. Con questo quadro può succedere solo che le regioni del Sud perdano un altro miliardo in più nella ripartizione dei fondi sanitari, che si aprano i cantieri al Nord e si continuino a buttare i soldi in studi di fattibilità al Sud. Servono decisioni coraggiose.

Primo. Abolire la Conferenza Stato-Regioni.

Secondo. Ricostituire il servizio sanitario nazionale che rispetti i diritti di tutti e favorisca l’efficienza complessiva del Paese.

Terzo. Rifare la prima Cassa del Mezzogiorno, quella fatta di 300 ingegneri che apriva e chiudeva i cantieri, non rubò una lira, e consentì all’Italia di raddoppiare il prestito Marshall. Allora vedrete che il Sud avrà i suoi bandi di gara internazionali, i suoi concessionari e i suoi treni veloci. Se si vuole fare sul serio, si fa così. Se no si prosegue con gli annunci delle interviste ministeriali e si continua a spargere benzina intorno ai mille focolai della polveriera sociale italiana. Prima o poi ci scappa l’incendio.


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