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Giuseppe Conte prima della conferenza stampa

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Lo sfaldamento dei Cinque stelle fa sì che l’unico punto vero di stabilità forte del Paese è il governo di unità nazionale. Non solo è senza alternative,  ma è addirittura l’unico elemento possibile di stabilità. Abbiamo detto e lo ripetiamo: Grillo non ha più niente da dire, Conte ha molto da dire e ancora di più da fare. Può dargli una mano importante Di Maio che ha superato molte prove e non è più quello dell’inizio. Entrambi debbono traghettare il Movimento Cinque stelle fuori dal mondo dell’irrealtà.  Siamo davanti a un Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) cadenzato sulla capacità di dare risposte ogni tre mesi verificabili sul campo e, rispetto alla realizzazione del quale, non sono ammesse discontinuità o défaillance  di sorta.   Questo governo ha impresso al cambiamento un ritmo bestiale, Draghi lo impersonifica in casa e fuori, la squadra dei ministri lavora bene insieme. Uscire dal circuito infernale del regionalismo all’italiana è la precondizione della Nuova Ricostruzione e della ricucitura delle due Italie

LO SFALDAMENTO dei Cinque stelle fa sì che l’unico punto vero di stabilità forte del Paese è il governo di unità nazionale. Non solo è senza alternative,  ma è addirittura l’unico elemento possibile di stabilità. Abbiamo detto e lo ripetiamo: Grillo non ha più niente da dire, Conte ha molto da dire e ancora di più da fare. Può dargli una mano importante Di Maio che ha superato molte prove e non è più quello dell’inizio. Entrambi debbono traghettare il Movimento Cinque stelle fuori dal mondo dell’irrealtà.

I parlamentari grillini, donne e uomini, devono dimostrare con le loro scelte che non sono quei “burattini” nelle mani di Grillo e di Casaleggio padre come lui stesso mi spiegò riservatamente la sera prima dell’unica apparizione pubblica da me moderata a Cernobbio.

Facendomi sobbalzare sulla sedia, cito a mente, Gianroberto Casaleggio si espresse in modo diretto più o meno così: direttore, si dimentichi i loro nomi, non contano, sono lì per realizzare la rivoluzione che io e Grillo abbiamo in testa, uno vale uno di questi parlamentari perché la rivoluzione è una e vale per tutti, loro devono premere il bottone e fare in parlamento quello che noi di volta in volta decidiamo.

Questo spirito di una rivoluzione sbagliata non deve fare buttare via anche il seme del disagio sociale e della crescente diseguaglianza su cui è cresciuto l’albero della più numerosa rappresentanza parlamentare del Paese. Il seme va preservato per sfrondare l’albero dai  rami del nulla e della persistente irrealtà alla Di Battista e fare crescere i rami del duro governare misurandosi con i problemi crescenti di cui in modo diverso sono stati alfieri Conte e Di Maio e di cui il governo di unità nazionale guidato da Draghi è oggi l’ancoraggio ideale.

Per realizzare la Nuova Ricostruzione della coesione sociale e consentire al Movimento Cinque stelle che verrà di rivendicarne il dividendo politico. Questi sono i fatti nudi e crudi, il resto è il solito teatrino di comparse e figuranti del retrobottega della politica italiana. Siamo davanti a un Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) cadenzato sulla capacità di dare risposte ogni tre mesi verificabili sul campo e, rispetto alla realizzazione del quale, non sono ammesse discontinuità o défaillance  di sorta.  

Questo governo ha impresso al cambiamento un ritmo bestiale, Draghi lo impersonifica in casa e fuori, la squadra dei ministri lavora bene insieme. Questo operare sinergico mette a nudo la fragilità del sistema politico perché la crisi dei Cinque stelle tocca anche il Pd come la stessa Lega ha difficoltà a tenere insieme tutti i pezzi e i Fratelli d’Italia che hanno una leadership forte fanno, però, fatica a costruire una squadra di quadri politici all’altezza.

Questo spettacolo duale non omogeneo, tra l’azione del governo e la sua relazione sociale, da una parte, e lo sfaldamento di parti della rappresentanza politica, dall’altra, avviene mentre parallelamente parti sempre più numerose del Paese dimostrano di avere  voglia di ripartire – il successo del progetto scuola estate nel Mezzogiorno è un segnale bellissimo – e appaiono finalmente consapevoli  del default di una certa politica. Siamo arrivati a questo punto, siamo arrivati alla carta estrema Draghi, per tentare in extremis di porre un argine alla implosione della politica occidentale dopo la lunga stagione che va dal Dopoguerra fino alla caduta del muro di Berlino  e alla crisi italiana della Prima Repubblica del ’92 che avevano avuto nella questione comunista il corrispettivo politico nazionale della cortina di ferro e della divisione europea tra Est e Ovest.  

Abbiamo bisogno, ora più che mai, di un capo di governo con la visione lunga e la capacità  di portare la nave italiana  fuori dalle secche ricucendo il Paese. Per fortuna, lo abbiamo trovato. Si dovrà misurare con il problema fortissimo di alcune regioni del Mezzogiorno  che è ormai strutturale e con un tema che appartiene alla piattaforma democratica del Paese che è la sua scuola. Questo ministro della bassa ferrarese, Patrizio Bianchi, che noi conosciamo molto bene perché è stato editorialista del nostro giornale dal suo primo giorno di uscita, si sta battendo come un leone perché si restituisca nella scuola al Mezzogiorno la priorità di risorse e di investimenti che in modo miope è stata abolita per decenni.

Così come siamo convinti che nelle mani di Franco Bernabè verrà disinnescata la bomba sociale di Taranto. Bisogna fare uscire Arcelor Mittal dal suo mondo di finzioni e non avere paura di un ritorno temporaneo dello Stato imprenditore  perché lo sforzo richiesto per un progetto industriale di rigenerazione ambientale è nell’ordine di almeno due miliardi e non è nella portata di un soggetto privato. La partita Taranto è decisiva per la ricucitura del Paese e per vincere la sfida italiana della grande logistica e della grande portualità nel Mediterraneo. Non possiamo avere tentennamenti o esitazioni.

Così come lo è la grande battaglia per i reclutamenti di qualità nella pubblica amministrazione che sta combattendo come un leone il ministro Brunetta che si trova a fare i conti con un processo di modernizzazione che ha giocoforza una gamba nel passato e una nel futuro. La seconda vincerà sulla prima quanto più intensa sarà l’azione riformista moralizzatrice del governo di unità nazionale guidato da Draghi.  Che è incompatibile con le pretese del presidente del Friuli Venezia Giulia, Fedriga, per di più a capo della famigerata Conferenza Stato-Regioni, che spilla quattrini al bilancio pubblico italiano come nessun altro e ne vuole ancora di più e con le carnevalate quotidiane di un presidente della Regione Campania, De Luca, che non è capace di utilizzare i fondi europei per la sua comunità e assume quotidianamente atteggiamenti ingiustificatamente eversivi nei confronti delle istituzioni repubblicane.

Uscire dal circuito infernale del regionalismo all’italiana è la precondizione della Nuova Ricostruzione e della ricucitura delle due Italie.


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