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Tutto dipenderà dalla capacità di organizzarsi e di fare buoni progetti delle classi dirigenti meridionali, dal governo e ancora di più dalle burocrazie locali di attuare con successo le riforme strutturali della pubblica amministrazione e della giustizia. Dica il sindacato che mai come questa volta il destino del Mezzogiorno dipende moltissimo da noi perché l’unica cosa che non mancano sono i soldi. Si faccia appello all’orgoglio del Sud per uscire dal ghetto aprendo al capitale umano che crea valore e per investire sui talenti del Mezzogiorno

L’Italia si farà se avrà il suo Mezzogiorno industrializzato. Ammoniva Morandi, partigiano, uomo del Nord e grande meridionalista, negli anni della prima Ricostruzione dopo la lunga stagione delle dittature e la seconda guerra mondiale.

La pensavano così anche Vanoni da Morbegno, provincia di Sondrio, il siculo-valtellinese Saraceno, l’irpino Pescatore, il foggiano Menichella, per la precisione di Biccari, grandi uomini del Nord e del Sud che appartengono al meridionalismo del pensiero e del fare del Dopoguerra nelle stagioni chiave del centrismo degasperiano e del primo centrosinistra a guida fanfaniana.

Siamo alla nuova Ricostruzione, è passato ben oltre mezzo secolo, e siamo ancora lì. Stiamo facendo i conti con la lunga stagione delle illusioni sovraniste e del populismo della menzogna che hanno prodotto il mondo della irrealtà e preparato un brusco risveglio. Il nuovo ’29 mondiale da pandemia globale che segna i nostri giorni e ha prodotto danni superiori a quelli cumulati dalle due Grandi Crisi internazionali mette a nudo fragilità, ipocrisie e gattopardismi vari.

Ci ricorda, moltiplicando al cubo danni economici e diseguaglianze, il cumulo trentennale di errori italiani che hanno nel federalismo regionale della irresponsabilità di sicuro la prima delle ragioni del declino strutturale del Paese e dell’abnorme crescita delle sue distorsioni territoriali tra Nord e Sud.

L’iniziativa lodevole di Cgil, Cisl e Uil nel cuore della Locride per porre domani il Mezzogiorno, e segnatamente la Calabria, al centro delle politiche economiche di sviluppo del Paese significa dare un segnale molto forte a favore della priorità delle priorità che è la riunificazione delle due Italie. A partire dall’industria ma ancora prima da quei fattori di contesto immateriali e materiali che sono le radici dell’albero sano della industrializzazione produttiva e della crescita del turismo, delle attività culturali, del commercio e dell’artigianato.

Perché l’iniziativa non rientri nella ritualità delle grandi occasioni, ci permettiamo di suggerire ai leader sindacali di non lisciare il pelo ai peggiori luoghi comuni e alle demagogie di ogni tipo che hanno nei capipopolo vecchi e nuovi i predicatori del vangelo della lamentazione che condanna il Mezzogiorno alla arretratezza e al mancato riscatto.

Se il sindacato vuole essere classe dirigente dica chiaro e tondo che dagli anni del miracolo economico del Dopoguerra non vi è stato nessun governo che più di quello di unità nazionale guidato da Draghi abbia destinato tante risorse pubbliche allo sviluppo e non al finanziamento dell’assistenzialismo del Mezzogiorno.

Dica chiaro e tondo che il meridionalismo della cattedra e il rivendicazionismo senza qualità sono il male peggiore da cui il Mezzogiorno deve guarire prima che quel male diventi incurabile.

Dica chiaro e tondo che non sono le clausole cosiddette di salvaguardia perfino nei bandi di gara a dare al Mezzogiorno lo sviluppo sano che merita e la occupazione di qualità che merita, ma che piuttosto tutto (o quasi) dipenderà dalla capacità di organizzarsi e di fare buoni progetti delle classi dirigenti meridionali e dalla capacità del governo e ancora di più delle burocrazie locali di attuare con successo le riforme strutturali della pubblica amministrazione e della giustizia.

Dica il sindacato in una parola che mai come questa volta dipende moltissimo da noi il destino del Mezzogiorno perché l’unica cosa che non mancano sono i soldi e il governo è consapevole che qui, non altrove, si perde o si vince la partita della crescita dell’Italia. Faccia appello il sindacato all’orgoglio del Sud e dimostri con i comportamenti di uscire esso stesso dal ghetto del rivendicazionismo senza merito per aprire al capitale umano che crea valore e per investire seriamente sui talenti del Mezzogiorno che determinano speranza e emulazione. Questa è la rivoluzione culturale che serve al Mezzogiorno per salvare se stesso e l’Italia.


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