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Emmanuel Macron e Mario Draghi

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I rapporti di forza di questa guerra finanziaria con una Russia allo stremo sono l’unica speranza concreta affinché la guerra di Putin in Ucraina abbia almeno una battuta d’arresto. Lo scenario europeo di lungo termine, pero, cambierà per davvero solo se si utilizzerà il tempo guadagnato con l’inevitabile prolungamento del sostegno monetario espansivo e con l’ulteriore congelamento del patto di stabilità per costruire una politica fiscale comune europea. Bisogna costruirla con nuove regole di investimenti compatibili con le ambizioni che sono quelle del patto Draghi-Macron e bisogna che il processo di cambiamento si muova con la stessa velocità mostrata per la politica comune di sicurezza. Perché solo con la crescita sostenuta dagli investimenti pubblici si esce dalle guerre. Così come solo con la crescita l’Italia potrà ridurre il suo debito. Un motivo in più per non perdere la battaglia in Europa delle nuove regole fiscali comuni e per fare in casa quelle riforme che possono restituire fiducia a imprese/famiglie e chiudere con il ventennio della demagogia e degli ideologismi. Questo in Italia e in Europa significa fare i conti con la storia

Siamo sulle montagne russe con il gas che inizia la giornata con una fiammata record da 190 euro. Il petrolio sale sino a 112 dollari al barile raggiungendo i livelli top del 2011 per poi ridiscendere a 108. Senza avere messo fuori mercato Gazprombank, la banca russa per le transazioni finanziarie del gas, siamo a uno scenario peggiore della crisi energetica del ’73. Dobbiamo sporcarci le mani riaprendo in casa tutto il carbone e la capacità di olio possibile. Dobbiamo riaprire i rigassificatori di Porto Empedocle e Brindisi. Dobbiamo comprare e/o estrarre gas ovunque: in Algeria, in Libia, in tutto il Nord Africa e poi in tutta l’Africa, ma anche in Egitto, in Olanda, nei mari del nord e nel nostro Adriatico, in Azerbaijan, in Iran, in Qatar.

Se poi dovesse scattare “l’arma nucleare” della finanza dello Swift anche sulla banca del gas russa dovremmo chiudere in uno sgabuzzino senza chiave tutti i burocrati d’Italia. Perché si possano finalmente installare i pannelli solari, l’eolico e tutti i tipi di produzioni rinnovabili e si possa anche liberamente cominciare a trivellare tutto il trivellabile, a mettere in funzione muovi rigassificatori, a riaprire carbone e olio. Dobbiamo fare tutto questo senza distinguo e polemicuzze ben sapendo che ci vorrebbero anni, dico anni, per recuperare la situazione precedente di dipendenza dal lazzarone monopolista russo. Intanto per non farci mancare nulla i prezzi del grano tenero sono al massimo da 14 anni e noi per fare il pane ne importiamo il 64% in gran parte dall’Ucraina. Per il mais che è fondamentale per alimentare gli animali siamo dipendenti dall’estero per il 50% e, in particolare, per il 20% dall’Ucraina.

Siamo alle prese insomma con una spirale inflazionistica da deficit energetico e alimentare che non si può più considerare temporanea e ci muoviamo tra due scenari complicati. Quello senza la “bomba nucleare” dello Swift sui canali finanziari del gas che produce danni considerevoli su produzione, fiducia e consumi. Perché l’incertezza fa schizzare comunque i prezzi e sono quindi umoristiche le previsioni di perdita di Prodotto interno lordo (Pil) europeo dello 0,4/0,5%. Lo scenario della “bomba nucleare” della finanza è invece addirittura apocalittico perché parliamo di una nuova pandemia con effetti sul Pil italiano di 8/9 punti e di almeno 5 punti sulla media europea.

Peggio di noi c’è solo la Russia che vede la sua moneta, il Rublo, scendere ancora più giù rispetto a dollaro e euro dopo avere perso il 30% e dopo avere raddoppiato i tassi dal 9,5 al 20%. Questa superpotenza militare sotto attacco finanziario dell’Occidente, Europa e Stati Uniti, si scopre in default tecnico con la sua banca centrale che non paga la cedola in scadenza. Si scopre fragile con un Pil inferiore del 20% a quello italiano e, soprattutto, molto vulnerabile perché ha perso metà del suo arsenale finanziario, vede fallire ogni giorno pezzi di banche, è attraversata da una crisi valutaria in piena regola scandita da una fuga di capitali senza precedenti. I rapporti di forza di questa guerra finanziaria con una Russia fortemente indebolita e sospettosa dei pelosi aiuti commerciali – non di alleanza strategica – del colosso cinese sono l’unica speranza concreta affinché la guerra di Putin abbia almeno una battuta d’arresto e le forze della negoziazione diplomatica hanno il dovere morale di sfruttare ogni margine per il bene del mondo libero e delle popolazioni del mondo autocrate-dittatoriale.

Allo stesso tempo, però, deve essere chiaro a tutti che abbiamo guadagnato in Europa del tempo prezioso da utilizzare bene per fare la difesa comune, ma ancora prima per favorire le nuove regole di investimenti nelle aree di maggiore importanza per il futuro dell’Europa come la sicurezza, la difesa, l’ambiente. Imprese e famiglie europee saranno investite comunque dal ciclone energetico-alimentare e qualunque sia la sua dimensione la nuova Europa non può sottrarsi al nuovo appuntamento con la storia per ristorare i soggetti imprenditoriali e familiari se no saltano economia e società. Siamo dentro fino al collo in una brutta guerra europea, la guerra di Putin in Ucraina che chiama l’intero mondo libero alla mobilitazione, e dunque si reagisce con armi da guerra per fronteggiare le emergenze economiche. Non esistono altre vie.

Attenzione, però, a un punto dirimente: lo scenario europeo di lungo termine cambierà per davvero solo se si utilizzerà questo intervallo di tempo, che ci viene accordato dall’inevitabile prolungamento del sostegno monetario espansivo e dall’ulteriore congelamento del patto di stabilità, per costruire una politica fiscale comune europea. Bisogna costruirla con nuove regole di investimenti compatibili con le ambizioni che abbiamo per l’Europa, che sono quelle del patto Draghi-Macron, e bisogna che il processo di cambiamento abbia il passo e la velocità che si sono dimostrati per costruire la politica comune di sicurezza.

Perché la guerra, esattamente come è stato con la pandemia per le nuove ragioni di solidarietà finanziaria comune, impone la visione strategica e il senso operativo della scelta italo-francese di valorizzare i beni comuni della transizione energetica e digitale con mano larga negli investimenti pubblici. Perché solo con la crescita sostenuta dagli investimenti pubblici si esce dalle guerre in generale e da questa odiosa in particolare. Così come solo con la crescita l’Italia potrà ridurre il suo debito. I dati dell’Istat di ieri ci dicono che l’obiettivo di riduzione del debito del 2022 è già stato raggiunto nel 2021. Puntavamo a fine 2022 a stabilizzarci con un debito pubblico al 149,5% del Pil e siamo al 150,4% un anno prima. Che vuol dire che ci siamo già.

Per capire la portata del risultato si deve leggere il Documento di economia e finanza (Def) di aprile del 2021 dove è scritto che il debito sarebbe stato sopra il 152% nel triennio 2022/2024. La verità è che siamo 9 punti di debito/Pil sotto le previsioni di un anno fa perché siamo stati capaci di fare una crescita-record del 6,7% nel peggiore anno della storia repubblicana italiana. Questo risultato è stato possibile quasi esclusivamente grazie ai consumi interni. Un motivo in più per non perdere la battaglia in Europa delle nuove regole fiscali comuni e per fare in casa quelle riforme che possono restituire fiducia a imprese/famiglie e chiudere con il ventennio della demagogia e degli ideologismi. Questo in Italia e in Europa significa fare i conti con la storia.


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