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Kiev devastata dai bombardamenti

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Il default russo incide sui prezzi energetici e alimentari a causa delle loro manovre, della nostra spropositata dipendenza e della inevitabile incertezza che accompagna questi mercati e, di conseguenza, rade al suolo i pezzi più vitali del nostro mondo produttivo, mette in ginocchio l’agricoltura, obbliga a rifare tutte le gare del Piano nazionale di ripresa e di Resilienza, prepara per l’inverno prossimo il nuovo ’73 energetico di certo più duro di quello di mezzo secolo fa. Siamo al bivio con la storia. Abbiamo scelto giustamente la strada delle sanzioni finanziarie alla Russia e non ci resta che sperare che la rabbia dei ricchi (Lukoil) e dei poveri faccia rinsavire Putin. Noi che di nostro già tremiamo evitiamo almeno sceneggiate in Parlamento sulla riforma del catasto. Fare cadere un governo apprezzato nel mondo in piena guerra per evitare un’operazione di mera trasparenza appartiene alle cose ignobili che vengono prima delle biasimevoli schifezze della politica

Oh, perbacco! Con qualche imbarazzo nel sacrosanto ininterrotto racconto televisivo della guerra in Ucraina qualcuno riesce anche a porre la domanda: ma allora queste sanzioni europee e americane ai russi qualche effetto lo producono?

Oh, perbacco! Come facciamo a spiegare a intervistatore e intervistati che il titolo sovrano russo è spazzatura (Fitch e Moody’s ), che il rublo non esiste più, che i tassi sono più che raddoppiati in un giorno (dal 9,5 al 20%) e si avviano a salire sempre più su verso livelli argentini. Che la fuga dei capitali è ininterrotta, come dimostrano le file dei cittadini russi per prelevare i loro soldi, che il default tecnico è di fatto già sovrano perché la banca centrale russa non ha pagato e non pagherà le cedole in scadenza.

Che è vero che il debito pubblico russo è pari al 17% del prodotto interno lordo e che bisogna capire se sono in default perché con le riserve estere congelate non hanno più i soldi per pagare le cedole in scadenza sui mercati occidentali o se non pagano perché sono già stati cacciati da quei mercati, ma è un fatto certo che la svalutazione del rublo è di circa il 60%, sì, avete capito bene, più che dimezzato, e che per un Paese che ha già un’inflazione alta, tra il 9 e il 10%, il crollo del rublo annienta il potere d’acquisto delle donne e degli uomini russi, che non possono più comprare quello che compravano prima perché il loro reddito reale è stato falcidiato. Che la stessa cosa succede per le tesorerie delle imprese e di chiunque svolga un’attività economica.

Come facciamo a spiegare a tutti questi signori che anche la dichiarazione ufficiale di default sovrano della Repubblica russa è quasi inutile visto che per loro i mercati finanziari sono chiusi, che sono stati tagliati fuori dai commerci internazionali e dai pagamenti finanziari. Che sono state congelate o vietate le negoziazioni dei titoli russi sui mercati occidentali e che tutti i titoli russi quotati sono stati sospesi a tempo indeterminato. Oh perbacco, riusciremo almeno a dire che la Russia ha già perso la guerra finanziaria nonostante l’arma letale della finanza, lo Swift, non sia stata usata per Gazprombank, l’istituto di credito con cui italiani e tedeschi pagano le forniture di gas ai russi, e per la Sberbank, la prima banca russa, che ha già visto fallire il suo ramo europeo con sede a Vienna.

Una volta che saremo riusciti a capire questa terribile elementare notizia che riguarda l’economia russa, ce la faremo a renderci conto che piovono contemporaneamente missili sulla nostra economia? Che siamo in guerra per la nostra economia e occupiamo la prima linea degli sconfitti.

Perché il default russo incide sui prezzi energetici a causa delle loro manovre, della nostra spropositata dipendenza e della inevitabile incertezza che accompagna questi mercati e, di conseguenza, rade al suolo i pezzi più vitali del nostro mondo produttivo, mette in ginocchio l’agricoltura, obbliga a rifare tutte le gare del Piano nazionale di ripresa e di resilienza, prepara per l’inverno prossimo il nuovo ’73 energetico di certo più duro di quello di mezzo secolo fa.

Tutto questo senza avere usato l’arma letale della finanza, lo Swift atomico diciamo così, per cui formalmente il canale gas-finanza con la Russia resta aperto, ma la paura fa novanta, la speculazione finanziaria fa cento e la nostra dipendenza energetica al 95% dall’estero fa il resto moltiplicando al cubo i danni. Per cui il gas si infiamma fino a superare i 200 euro a megawattora che è il record della storia per poi ridiscendere a 165 ripetendo lo stesso film dell’orrore del giorno prima a livelli ancora più tragici.

C’è di più: dopo un drastico calo nelle ultime ore, sono stati interrotti i flussi di gas russo attraverso il gasdotto Yamal-Europa diretto in Germania attraverso la Polonia. Yamal è uno dei tre gasdotti che la società russa monopolista Gazprom utilizza per convogliare il suo gas naturale verso l’Europa. Attraverso di esso passa circa il 10% delle forniture totali di gas proveniente dalla Russia. Pensate che decisioni simili non aggravino la situazione?

Poiché non c’è solo il gas è bene ricordarsi che il petrolio Brent sale fino a 114 dollari a conferma che nessuno si fida più di nessuno. Diciamo la verità: qui nessuno si fida più di nulla. Pensate per un attimo che cosa potrebbe succedere se invece di dovere pagare molto di più il gas e il petrolio russi addirittura sparissero dalla sera alla mattina le forniture russe delle due materie prime e dovessimo prendere atto, come è inevitabile, che non abbiamo nel breve termine come e dove sostituirle visto che in gioco c’è il 45% della nostra domanda energetica. Perché questa, non altre, è la situazione.

La catastrofe comunque è già in atto.

Secondo l’Osservatorio conti pubblici italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore la spesa aggiuntiva per l’import italiano a causa del caro materie prime è di 66,4 miliardi rispetto al 2019. Sono 35 miliardi per il gas, 16 per il petrolio e i restanti 15 per l’aumento di prezzo di alluminio, rame e cereali. Dal grano per il pane, al legno, al nichel ai prodotti metallurgici fino alla carta l’emergenza prezzi stellari coinvolge tutte le filiere. L’automotive, che viene da due anni durissimi per il Covid, dipende dalle importazioni a partire dal nichel di cui la Russia è il principale fornitore. Ma c’è anche l’alluminio che ha segnato un balzo del 20% e il palladio (+27%).

Insomma, la strada è sempre la stessa e sempre strettissima: o il prodotto manca o è reperibile a costi insostenibili. Così come il legno e la carta che con aumenti già rilevanti (fino al 70%) prima della guerra ora si avviano a mettere in ginocchio l’editoria e il settore dei mobili che, tra l’altro, perde un mercato importante di esportazione come quello russo. Qui come in altri casi sono a rischio interi pezzi del nostro Made in Italy che continuano ad essere l’unica voce all’attivo della nostra bilancia dei pagamenti. In fortissima sofferenza è poi il mondo delle costruzioni. E in questo caso a rischiare non è solo il futuro delle imprese, ma lo sviluppo del Piano nazionale di ripresa e di resilienza dove bandi e aggiudicazioni vanno tutti fermati e riaperti perché con questo rincaro delle materie prime nessuna impresa ci sta più dentro.

Il dieci marzo avremo le stime di crescita per l’Europa e poi avremo anche quelle per l’Italia. Dal consensus generalizzato si continua a parlare di meno 0,4/ 0,5. Per l’Italia partendo da una previsione del 4,2% e avendo una crescita acquisita del 2,4 si potrebbe dire che le cose vanno ancora bene. Non ci sarebbe nulla di più irresponsabile.

Perché se la crisi sistemica, il default sovrano russo, la rabbia di poveri e ricchi non portano a miti consigli Putin spingendolo a fermare la guerra, i missili in arrivo sulla testa degli italiani dal cielo della guerra finanziaria stellare in atto produrranno effetti devastanti che hanno le sembianze quantitative e qualitative di una nuova pandemia esattamente come è accaduto nel 2020. Qualcosa per capirsi che vale 8/9 punti di Pil in Italia e 5 punti di media di Pil in Europa. L’intreccio tra economia e finanza di Russia e Italia è tale da non consentire scappatoie.

Se la Sberbank austriaca è andata a gambe all’aria e la copertura europea scatta per i depositi sotto i 100 mila euro, gli effetti collaterali per l’intero sistema creditizio europeo non sono da sottovalutare. Prendiamo il caso di Unicredit e chiariamo che le sue esposizioni in Russia sono pari al 2,6% del totale degli asset e che la situazione è ovviamente completamente sotto controllo e nemmeno lontanamente paragonabile a quella di Sberbank.

Resta, però, il fatto che le esposizioni in Russia sono pari a 14 miliardi, 8 da una società di diritto russo, altri 6/7 dall’Europa e dall’Italia. Se hai dato soldi a soggetti russi che non potranno pagare più, questi soldi li perdi. La Russia la guerra finanziaria la ha già persa e questo pesa anche sul rientro dei soldi dati ai russi. Non ci sarà bisogno di un aumento di capitale per le cifre in gioco, ma è evidente che per Unicredit come per IntesaSanPaolo – che ha l’1,1% dei suoi asset in Russia e valuta l’uscita – il rallentamento dell’economia italiana da missili da guerra si fa sentire di sicuro.

Siamo al bivio con la storia. Abbiamo scelto giustamente la strada delle sanzioni finanziarie alla Russia e non ci resta che sperare in un rinsavimento di Putin. Lui dice che non si ferma, il consiglio di amministrazione della Lukoil, il colosso sovietico del gas, gli chiede di cessare le armi. Noi che di nostro tremiamo alla grande per il caro bolletta e molto altro evitiamo almeno sceneggiate in Parlamento sulla riforma del catasto. Onorare gli impegni con la storia vuol dire abbatte i tabù che ci hanno portato a venti anni di crescita zero e alla deriva di sistema al declino. Fare cadere un governo apprezzato nel mondo in piena guerra per evitare un’operazione di mera trasparenza appartiene alle cose ignobili che vengono prima delle biasimevoli schifezze della politica. Si impegnino piuttosto le stesse energie per avere dall’Europa quello che è giusto che venga dato all’economia Italiana e si proceda spediti all’interno con le riforme di sistema e le necessarie manovre di finanza pubblica.


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