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Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, durante la conferenza stampa dello scorso 6 aprile

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Le attività economiche non possono competere con questi prezzi delle materie prime, e ancora di più con la loro mancanza. Siamo alle prese con una stretta monetaria mondiale e il rischio concreto di tornare nel ciclone dei mercati con un rendimento decennale del Btp che è arrivato al 2,3 partendo dallo 0,67 dell’anno scorso ma che molti prefigurano a breve sopra il 4. Numeri da brividi. Noi dobbiamo prima di tutto dare a tutto il mondo la certezza che il nostro sistema è stabile ed è in mani responsabili. Se non facciamo questo siamo morti. Primo lo capiamo meglio è. Chi pensa a una nuova rumba della politica italiana con manovre e manovrette e sistemazioni di comodo non fa i conti con la drammaticità dello scenario dell’economia di guerra e con l’urgenza di mettere su, comunque sia, una legge di bilancio che faccia da ponte tra l’Italia e l’Europa prima che il doppio cigno nero del mondo rada al suolo la nostra l’economia

Non avremmo mai pensato di doverci applicare per capire se effettivamente a ottobre salta tutto il quadro del governo di unità nazionale. Eppure mascherata da grande preoccupazione la discussione politica italiana nei giorni della grande guerra, del caro bollette e del rischio recessione, è segnata quotidianamente da questo tipo di ragionamenti. Lo scollamento tra la società produttiva e civile e il mondo dei partiti delimita il perimetro dell’anomalia italiana in un’Europa che ha proprio nel nostro Draghi un leader riconosciuto. Siamo al paradosso dei paradossi.

La gente dice: ma questi sono matti? Draghi è l’unica carta che possiamo ancora giocare sul tavolo della grande crisi. Se ci passa solo per la mente di fare saltare il governo di unità nazionale guidato da Draghi mentre dobbiamo fare la legge di bilancio e dobbiamo scrivere le regole della nuova Europa, vuol dire che abbiamo tutti pericolosamente perso la testa. Di sicuro si è smarrita la bussola delle priorità. Perché tutti aspettano di vedere come andranno le amministrative che non significano assolutamente niente e ignorano che siamo alle prese con due cigni neri mondiali e un’economia di guerra che non accenna a finire.

Stiamo ballando sul filo del rasoio perché, da un lato, c’è un’implosione in atto delle attività economiche che non possono poi competere con questi prezzi delle materie prime, e ancora di più con la loro mancanza. Dall’altra parte siamo alle prese con una stretta monetaria mondiale e il rischio concreto di tornare nel ciclone dei mercati con un rendimento decennale del Btp che è arrivato al 2,3 partendo dallo 0,67 dell’anno scorso ma che molti prefigurano a breve sopra il 4.

Sono numeri da brividi e è un fatto che i nuovi massimi dei titoli di stato americani preannunciano la grande recessione. La Banca centrale europea non potrà non ridurre ulteriormente, come già sta facendo, gli acquisti di titoli di Stato italiani e la spirale inflazionistica da caro materie prime pesa come una spada di Damocle sull’economia europea, anche se in modo diseguale, dopo avere già pesato tantissimo su quella americana.

In questo quadro il sentiero stretto sul quale si deve muovere la politica economica italiana è compatibile solo con un grande intervento europeo che prenda coscienza che lo shock è comune e, per una volta, sorvoli sulla situazione di base di grandi differenze tra un’economia europea e l’altra. Bisogna costruire le condizioni per cominciare a camminare tutti insieme sulla sicurezza come sulla politica estera, sulla spesa per la difesa come sulla legge di bilancio comune.

Quello che è veramente inaccettabile è il balletto politico italiano che passa il tempo a parlare di tasse sui Bot o sugli affitti o sul sistema di elezioni del Csm senza rendersi conto che oggi è il momento di ritrovare unità e compattezza per ricostituire lo spirito del dopoguerra dei governi de Gasperi e di uomini del calibro di Costa come leader degli industriali, e di Peppino Di Vittorio, bracciante figlio di bracciante come leader della Cgil. Possibile che si continui a parlare solo di tenere basse le tasse oppure in modo propagandistico di dare quello che abbiamo e quello che non abbiamo alle famiglie per il caro bollette?

Noi ci dobbiamo almeno rendere conto che non possiamo sopravvivere da soli, soprattutto se di sanzione in sanzione alla Russia di Putin si toccherà prima il petrolio e poi addirittura il gas, e che se gli altri ci abbandonano siamo fregati perché siamo sempre più dipendenti da chi ci potrà salvare e i nostri concorrenti interni europei avranno sempre buon gioco a dire “questi soldi dateli a noi e non agli italiani che sono le solite cicale e hanno la solita instabilità”.

La partita della nuova Europa dentro lo scenario di guerra è più complicato di quanto lo è stata la partita della nuova Europa dentro la grande crisi globale del covid. Perché nel secondo caso eravamo tutti fermi, tutti chiusi, e ci muovevamo tutti nella stessa situazione. Nel caso della guerra di Putin allo stato sovrano libero dell’Ucraina ogni economia si presenta con un tasso di solidità o, se volete, di fragilità molto differenti tra di loro per cui gli interessi rischiano di tornare a divaricarsi.

Per questo noi dobbiamo prima di tutto dare a tutti nel mondo la certezza che il nostro sistema è stabile ed è in mani responsabili. Se non facciamo questo siamo morti. Primo lo capiamo meglio è. Chi pensa a una nuova rumba della politica italiana con manovre e manovrette e sistemazioni di comodo per chi invece serve ancora in prima linea, non fa i conti con la drammaticità dello scenario dell’economia di guerra e con l’urgenza di mettere su comunque sia una legge di bilancio che faccia da ponte tra l’Italia e l’Europa prima che il doppio cigno nero del mondo rada al suolo la nostra economia. Perché comunque sia la spaccatura tra Occidente e Oriente è ripartita e non verrà ricomposta rapidamente. Le ferite alla coscienza civile del mondo hanno toccato vette mai raggiunte, ma la guerra lunga fa correre le rotte della vecchia geopolitica che torna a dividere il mondo tra autarchie e grandi democrazie. E questo non fa il bene né dei popoli occidentali né di quelli orientali.


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