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Fabio Panetta

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Visto che non si può andare a produrre in Russia, in Cina, in India, eccetera eccetera eccetera, perché non si deve andare a produrre nel Mezzogiorno d’Italia? Perché non deve accadere ora, subito, tanto più che i capitali che prima finanziavano progetti in quei Paesi sono alla ricerca di altre occasioni di investimento? Le parole di Fabio Panetta, membro del comitato esecutivo della Bce, vanno sottoscritte e tradotte in fatti: “La pandemia e la guerra ci hanno aperto gli occhi sui rischi oltre che sui benefici di delocalizzare in aree lontane da noi, e ci devono far riflettere sui vantaggi di investire al Sud. Il Mezzogiorno d’Italia è un’area più sicura e competitiva di altre parti del mondo.” Noi come Paese di sicuro non abbiamo più tempo da sprecare

Fabio Panetta, membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea con deleghe pesanti, appartiene a quella classe europeista di banchieri centrali italiani che hanno la capacità di anticipare le cose e la credibilità per indirizzare la politica monetaria. Partendo tutti da un’idea forte di Europa federale e coesa che è la sola risposta pragmatica possibile alla grande guerra delle materie prime e al conflitto di civiltà in atto tra mondo autocratico e mondo democratico che si combatte nel cuore dell’Europa con l’aggressione della Russia di Putin allo Stato sovrano libero dell’Ucraina. Alla testa di questa classe europeista di banchieri centrali italiani c’è ovviamente Mario Draghi che appartiene alla storia perché ha salvato l’euro e perché è l’architetto politico della nuova Europa riconosciuto come tale nel mondo.

Perché nella vita è importante fare le cose, ma altrettanto lo è vedere riconosciuto dagli altri tale lavoro. Questo moltiplicatore di legittimazione è indispensabile nelle stagioni di grandi cambiamenti, ce ne avvantaggeremmo tutti se il pollaio della politica italiana se ne rendesse almeno un poco conto e ne prendesse atto una volta per tutte. Nel mondo più che in Italia questo moltiplicatore funziona alla grande per il Draghi banchiere centrale, per il Draghi stratega con Macron della nuova Europa, per il Draghi capo del governo italiano di unità nazionale che ha condotto il Paese fuori dalle secche della pandemia con il record di crescita in Europa (+6,6%) dovuto all’ostinazione con cui ha imposto la politica del green pass e al tasso di fiducia riconquistato che ha determinato la crescita dei consumi. Non è così, purtroppo, in casa dove si discute in modo ozioso su armi difensive-offensive e in modo ancora più ozioso su termovalorizzatori rischiando di sciupare un grande capitale di fiducia internazionale.

Dobbiamo renderci conto che l’Italia riconquisterà stabilmente la guida della nuova Europa quando potrà contare su una classe politica europea capace di condividere la nuova sovranità comune come soggetto attivo e partecipe del cambiamento. Che dovrà condurre i popoli europei a capire che i problemi giganteschi posti dal doppio cigno nero della pandemia e della guerra nel cuore dell’Europa o si affrontano tutti insieme o saranno loro, i problemi tutti insieme, a stritolare ognuno di noi, uno alla volta. Dalla Germania alla Grecia, nessuno escluso.

Questa volta, però, vogliamo parlarvi di Panetta che anticipa le cose su un tema che appartiene ai tratti costitutivi di questo giornale. Che rientrano nel solco della storica visione meridionalista della Banca d’Italia che va dal Menichella che vince l’oscar mondiale delle monete con la lira e concepisce la prima Cassa delle grandi opere che consentì all’Italia di raddoppiare il prestito Marshall nel Dopoguerra fino alla coerenza meridionalista degasperiana del governo Draghi, all’asse strategico geopolitico verso il Sud del mondo, e all’idea di un’Europa che deve partire dal Mezzogiorno italiano se vuole mettere in sicurezza le sue filiere produttive e assicurarsi gli approvvigionamenti energetici necessari dall’Africa e dal Medio Oriente.

Ecco, nella bella intervista rilasciata a Marco Zatterin su La Stampa di ieri, Panetta torna a ripetere un messaggio che lancia da tre anni in compagnia di questo giornale in assoluta solitudine, ma che ha il merito di centrare la priorità delle priorità della politica economica italiana di sviluppo e ora, dopo il doppio shock globale, addirittura europea. Visto che non si può andare a produrre in Russia, in Cina, in India, eccetera eccetera eccetera, perché non si deve andare a produrre nel Mezzogiorno d’Italia? Perché non deve accadere ora, subito, tanto più che i capitali che prima finanziavano progetti in quei Paesi sono alla ricerca spasmodica di altre occasioni di investimento? Perché non deve accadere ora, subito, tanto più che il primo di una serie di scudi europei – si chiama Next Generation Eu – che l’Europa dovrà mettere in campo se non vorrà finire ai margini del mondo riducendosi a terra di conquista tra America e Cina, è stato concepito e finanziato proprio per riunire le due Italie e restituire all’Europa la forza dell’economia del terzo dei suoi Paesi fondatori?

Voglio riprodurre testualmente le parole di Panetta che illustrano come meglio non si potrebbe la vera questione industriale italiana: “La pandemia e la guerra ci hanno aperto gli occhi sui rischi oltre che sui benefici di delocalizzare in aree lontane da noi, e ci devono far riflettere sui vantaggi di investire al Sud. Il Mezzogiorno d’Italia è un’area più sicura e competitiva di altre parti del mondo. Soprattutto se gli interventi avvenissero all’interno di un progetto europeo volto a stimolare la creazione di filiere produttive regionali”.

Queste parole vanno sottoscritte dalla prima all’ultima, ma soprattutto vanno tradotte in fatti. I capi dei partiti populisti che fanno parte della maggioranza di governo, al posto di litigare sull’ennesimo sussidio da aggiungere ad un altro sussidio, farebbero bene a battersi perché si investa sul capitale umano che unisca intelligenza universitaria, impresa e ricerca nei territori meridionali e crei lavoro vero spezzando il circolo perverso dei sussidi. Chi ha responsabilità di governo, e bisogna dire che ci sta provando, investa tutte le sue risorse per restituire capacità amministrativa agli enti locali meridionali e un’agenzia centrale di tecnici di valore e di carattere che siano capaci di attuare gli investimenti, ma ci risparmi le kermesse di chi arriva al Mezzogiorno per fare finta di studiare tutto ciò che è già stato studiato e anticipato. Non abbiamo più tempo da sprecare. Non abbiamo più bisogno di fare per conoscere, ma di conoscere per fare. Quello che si deve fare oggi lo sanno tutti, la sfida da vincere è quella di essere capaci di farlo.


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