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Il problema del caro bolletta è serissimo per i settori energivori che sono siderurgia, ceramica, carta, vetro e qui non bisogna perdere un attimo nell’utilizzare tutti i margini residui derivanti dalla crescita delle entrate e per fare pagare le tasse dovute sugli extra profitti già maturati e su quelli che verranno per chi continua a sfruttare un meccanismo di prezzo sbagliato che consente di moltiplicare ingiustificatamente i suoi profitti. Tuttavia i consumatori italiani e le imprese commerciali, nonostante gli allarmi a getto continuo, hanno un indice di fiducia che migliora decisamente nel commercio al dettaglio (da 108,5 a 113,5) e aumenta di 4 punti per i consumatori restando ai livelli pre-pandemici del 2017-18. Contro una caduta della fiducia dei consumatori tedeschi di oltre 30 punti. Serve in casa la volontà politica di staccare il prezzo elettrico da quello del gas e in Europa di combattere e vincere la battaglia per il tetto massimo. Ecco perché ora occorre l’unità nazionale

Non vorremmo essere nei panni del presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, che non ha perso un giorno della settimana in corso per lanciare l’allarme di non so quante imprese commerciali stessero per chiudere. Sembrava, a sentirlo, che ogni secondo che passava ne chiudeva una. Sono usciti i dati sugli indici di fiducia dei consumatori e delle imprese di agosto di quest’anno, sì di questi giorni per capirci che sono quelli della tragedia vera dei prezzi stellari del gas del ricatto putiniano, e una cosa è apparsa chiara subito a tutti.

Consumatori italiani e imprese commerciali sono in netta controtendenza rispetto al mercato europeo con un indice di fiducia che migliora decisamente nel commercio al dettaglio (da 108,5 a 113,5), diciamo che praticamente vola e quello dei consumatori che passa da 94,8 a 98,3 e torna a salire dopo due mesi consecutivi di calo collocandosi allo stesso livello dello scorso giugno. I consumatori tedeschi segnalano una fiducia in picchiata di oltre 30 punti, noi segnaliamo una crescita di quattro punti.

La vicenda di Sangalli e della Confcommercio sembrano assomigliare molto da vicino a quella dei mesi della catastrofe produttiva del secondo trimestre dell’anno minuziosamente descritta dai centri studi delle imprese e rilanciata dall’intera informazione economica. Salvo scoprire che quel trimestre coincideva per le imprese italiane con il podio della crescita europea. Roba da altro mondo se non da attentato al bene comune perché di sicuro la veicolazione di messaggi in senso verticalmente opposto alla realtà non può non incidere sulle aspettative e togliere crescita e lavoro alla crescita reale in atto. Il punto, poi, decisamente più sorprendente degli indicatori di fiducia di agosto riguarda addirittura le stesse imprese.

Perché è vero che l’indice delle imprese diminuisce da 110,7 a 109,4, quindi di poco più di un punto, praticamente anche qui niente rispetto alla delicatezza del momento internazionale che stiamo vivendo, ma questo dato indica che se non altro la tenuta della fiducia c’è se si tratta, come si tratta, di un indice in linea o superiore a quello del 2017/2018 e, cioè, a prima del rallentamento europeo e della crisi pandemica da Covid 19. Stiamo entrando nel dettaglio dei numeri di agosto, deve essere chiarissimo, non per sminuire la gravità del problema energetico su cui occorre intervenire con prontezza.

Tanto meno per spingere a sottovalutare gli effetti del rischio politico che questa campagna elettorale assurda e fuori stagione sta già facendo pagare agli italiani in termini di surplus di ricatto sui prezzi del gas e sui rendimenti per collocare i titoli pubblici, ma perché questa storia tutta italiana che se c’è la siccità bisogna dare i soldi anche dove piove a dirotto deve finire e perché il Paese serio di cui ha parlato Draghi al meeting di Rimini che si nutre di fiducia e di credibilità esiste e persiste.

Vuol dire che si è davvero lavorato bene in profondità sul piano interno anche se è tecnicamente impossibile farlo capire ai partiti e ai media della catastrofe loro compari. Il problema del caro bolletta è serissimo per i settori energivori che sono siderurgia, ceramica, carta, vetro e qui non bisogna perdere un attimo nell’utilizzare tutti i margini residui derivanti dalla crescita delle entrate e per non lasciare nulla di intentato per fare pagare le tasse dovute sugli extraprofitti già maturati e su quelli che verranno per chi continua a sfruttare un meccanismo di prezzo sbagliato che consente di moltiplicare stratosfericamente e ingiustificatamente i suoi profitti. Qui, però, entriamo in un campo che non può essere coperto dal disbrigo degli affari correnti se non c’è la copertura politica dei partiti di governo.

Per cui al posto di fare facile ironia di cattivissimo gusto Salvini farebbe bene a seguire i consigli di Calenda e ad occuparsi seriamente del problema. Proprio come sta facendo la Meloni che pubblicamente e informalmente non manca di trasmettere messaggi di rispetto delle regole europee di finanza pubblica e di fiducia nell’operato di Draghi.

Che è esattamente quello che serve se si vuole prendere la decisione politica in casa di staccare finalmente dal gas la formazione del prezzo elettrico che non ha subìto nessun aumento da rincari di materia prima – energia di derivazione da eolico, idrogeno e in genere da fonti rinnovabili – e a livello europeo se si vuole non a parole combattere e vincere la battaglia del tetto massimo di prezzo alle importazioni di gas russo. Sono cose molto delicate che devono viaggiare con un piano ancora più pregnante di razionamento e stoccaggi e che non può essere assunto senza un avallo pieno e incondizionato delle forze politiche di governo e di opposizione.

Perché esattamente come scrivevamo ieri l’unità nazionale serve ora, non domani, per affrontare l’unico vero problema di derivazione bellica che pesa come un macigno sul futuro della nostra economia e per evitare che questo problema si mescoli con quello altrettanto reale della valutazione che fanno gli investitori globali sul rischio politico legato ai loro occhi all’incomprensibile defenestrazione anticipata del governo Draghi e al linguaggio elettorale di promesse di ogni tipo che vengono soprattutto dagli alleati della Meloni, Lega e Forza Italia, ma che appartengono pure alla cultura dello scostamento di bilancio a ogni costo che permea gli interventi di Cinque stelle e di Sinistra italiana che rivelano nei fatti una visione venezuelana della finanza pubblica italiana.

Questa miscela esplosiva va disinnescata sul nascere nonostante il carico davvero abnorme che continua a pesare sul bilancio pubblico italiano per la mole di crediti di imposta da prorogare e aumentare a favore delle imprese visto il raddoppio delle quotazioni del gas e la messe di tagli di iva, sconti sulla benzina e aiuti varii che sono già in atto ma scadono, oltre a tutti gli impegni già presi in termini di conferma del taglio del cuneo fiscale, della indicizzazione delle pensione e di rinnovo di alcuni contratti di categoria. Questa realtà incredibilmente complicata e quasi tutta di derivazione essenzialmente bellica, a causa del salto di qualità che Putin imprime ai suoi ricatti per la coincidenza dell’appuntamento elettorale e l’obiettivo di dividere gli europei, mette a nudo davanti agli italiani la distanza siderale tra chi fa politica governando concretamente le emergenze del Paese e chi fa politica con il solitometodo da invasati.

Questo è il crinale scivoloso sul quale non possiamo rotolare in questa coda agostana e nelle settimane di fuoco della campagna elettorale di settembre. Consumatori e imprese sono più avanti di chi li rappresenta e della politichetta italiana. Speriamo che loro se lo ricordino nell’urna e che prima si faccia tutto quello che si deve fare per tutelare l’interesse generale. Perché recuperare dopo è di sicuro molto complicato


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