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La foto di gruppo alla riunione del Consiglio europeo informale di Praga

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È bene prendere atto che la direzione di un intervento europeo a tre punte sul gas – tetto dinamico al prezzo, elemento di solidarietà comune, riforma del meccanismo di mercato – è segnata ed è esattamente la direzione indicata da Draghi almeno cinque o sei mesi fa. Quando vede i coccodrilli con la bocca spalancata e teme di finirci dentro, l’Europa si appalesa e fa quello che fino al giorno prima diceva di non potere fare. È successo esattamente così con il Recovery pandemico dove le cautele e le prese di distanza della Lagarde e della von der Leyen che continuavano a parlare di soluzioni nazionali sono sparite dalla sera alla mattina quando si è capito che era tutta l’economia europea che chiudeva e che rischiava di non riaprire più. Fu fatto perché la pandemia avrebbe travolto tutti, a partire dall’economia tedesca e francese. C’è stato certo un afflato di solidarietà, ma si è trovata la cassa perché stava cadendo il tetto della casa comune.

Siamo sull’orlo di un disastro nucleare perché le sconfitte di Putin sul campo militare in Ucraina e lo stato comatoso non più recuperabile della sua economia annientata dalle sanzioni occidentali determinano uno stato di allerta che non è ingiustificato. Perché la disperazione per un uomo come Putin può portare ovviamente a tutto e il rischio cosiddetto Armageddon non va sottovalutato, ma il tasso di contrasto interno alla sua azione che è ormai un sentiment molto diffuso e coinvolge un numero sempre più elevato di persone della cerchia ristretta di Putin deve indurre maggiore cautela nel disegnare scenari catastrofici.

In questo contesto geopolitico globale che determina un allarme anche sulla moltiplicazione delle pressioni propagandistiche dei russi nei singoli Paesi europei, è bene prendere atto che la direzione di un intervento europeo a tre punte sul gas – tetto dinamico al prezzo, elemento di solidarietà comune, riforma del meccanismo di mercato – è segnata ed è esattamente la direzione indicata da Draghi almeno cinque o sei mesi fa. È il classico momento dell’Europa che precede quello delle decisioni. Quando vede i coccodrilli con la bocca spalancata e teme di finirci dentro, l’Europa si appalesa e fa quello che fino al giorno prima diceva di non potere fare.

È successo esattamente così con il Recovery pandemico dove le cautele e le prese di distanza della Lagarde e della von der Leyen che continuavano a parlare di soluzioni nazionali sono sparite dalla sera alla mattina quando si è capito che era tutta l’economia europea che chiudeva e che rischiava di non riaprire più. Succederà a breve, con qualche residua lungaggine burocratica europea, la stessa cosa anche con il caro bollette. Ovviamente dopo che questo o quello dei politici italiani presenterà un giorno sì e l’altro pure la sua proposta di decine e decine di miliardi che volano, ma sono sempre gli stessi miliardi che non ci sono esattamente come quelli di Salvini della campagna elettorale.

L’Europa procede per salti, a volte proprio a scatti, e da questo punto di vista il piano da 200 miliardi in debito della Germania ha avuto l’effetto di una palla di cannone contro il muro di segregazione del mercato comune europeo. Produce effetti dirompenti e determina reazioni dirompenti. Obbliga a fare quello che fino a un attimo prima non si poteva o non si voleva fare. Perché se un’impresa tedesca paga il 40% in meno di costo delle materie prime rispetto a un’impresa italiana dato che il nostro Paese non ha gli spazi fiscali della Germania, allora è ufficiale che esistono solo mercati nazionali in competizione tra di loro e questo segna la disgregazione del mercato comune europeo e, quindi, la fine dell’Europa.

Sono proprio questi i momenti in cui diventano attuali le parole di Monnet sul rimbalzo quando la crisi è al punto massimo, perché i passi in avanti dell’Unione europea sono tutti figli delle crisi. E ora siamo entrati proprio nel punto massimo della crisi perché è un dato di fatto che chi ha i margini di bilancio aiuta le sue imprese e chi non li ha non le aiuta. Non può farlo perché la situazione monetaria di alti tassi non lo consente. Il punto massimo di rischio di disgregazione impone, quindi, il cambio di direzione. Che è il ritorno immediato alla logica del debito comune europeo, come avvenne nei giorni della pandemia, che vollero tedeschi e francesi solo quando capirono che anche loro sarebbero stati travolti e non fu frutto di nessuna iniziativa italiana come lunari racconti domestici continuano ad accreditare.

Quando la Germania prende coscienza, come sta accadendo in queste ore, che può salvare con i suoi soldi le sue imprese, ma se chiudono quelle italiane che non possono avere gli stessi aiuti nazionali, allora quelle stesse imprese tedesche saltano le cose evidentemente cambiano. Perché è evidente che senza i freni italiani e molto altro le macchine tedesche non possono essere messe sul mercato. Le economie sono così interconnesse da saltare insieme anche se la Germania comincia a fare maxi debiti pubblici come un’Italia qualsiasi che ora in questo intreccio sempre più intricato pieno di nidi di falchi monetari non può muoversi di un millimetro dal lato degli scostamenti. Anche un cancelliere come Scholz da settimane in uno stato personale di panico e, di conseguenza, nel pallone, riesce a prendere coscienza che la strategia solo nazionale è destinata al fallimento. Come esattamente fu con la pandemia, al netto di ogni retorica sulla solidarietà e le sue componenti effettive e inventate, a determinare il cambio di direzione è la prevalenza di interessi che in questo caso coincide con l’interesse del mercato comune europeo da salvare a fare intonare la nuova musica.

Perché le economie europee sono avvitate insieme da troppo tempo e, di fatto, si identificano in una strategia comune a livello globale proprio perché sono così integrate tra di loro. Per capirci, all’osso, non esiste un’industria tedesca che va se quella italiana è ferma, non può esistere un’impresa tedesca in salute se quella italiana è uccisa dalla bolletta. È poco più di un calcolo matematico che discende dalla integrazione tra le due manifatture e i riflessi che ne conseguono.

Il pericolo strutturale per l’Europa è oggi lo stesso dell’altra volta quando fu fatto debito comune e si varò il Next Generation Eu. Fu fatto perché la pandemia avrebbe travolto tutti, a partire dall’economia tedesca e francese, c’è stato certo un afflato di solidarietà, ma si è trovata la cassa perché stava cadendo il tetto della casa comune. Diciamo che fu più un fatto economico che poetico. Diciamo che con il caro bollette di oggi succederà la stessa cosa.


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