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Di questo dato certo per tutto il 2021 e fino a giugno 2022 non parlerà quasi nessuno, perché sarà sommerso dal rumore del solito piagnisteo che si affretta a prevedere il rischio  di recessione nel 2023 per il solo Sud, non per il Centro-Nord, che  tutti racconteranno come fatto accaduto. Il numero sul quale si basa la previsione ruota intorno a un differenziale di crescita sfavorevole di 0,8 punti percentuali. Un numerino irrilevante rispetto ai 10 punti di Pil legati all’attuazione dei 120 miliardi di investimenti pubblici del Pnrr per non parlare di ciò che potrebbe derivare da programmazione e capacità di spesa effettive dei fondi di coesione e sviluppo che valgono più o meno altrettanti miliardi se sottratti alle clientele regionali e ministeriali.  Piuttosto che fare volare i soliti corvi nel cielo meridionale, mi batterei sulla terra perché si attui operativamente lo sforzo strategico di riunire competenze e risorse ribaltando logiche di frammentazione fuori dalla storia che tutelano solo rendite private 

L’economia del Mezzogiorno italiano per tutto il 2021 e fino a giugno del 2022 è cresciuta più della media europea. Gli investimenti privati del nostro Sud dopo un’eternità sono stati superiori a quelli del Centro-Nord. Dal primo cigno nero globale della storia (Covid) i territori meridionali sono “riemersi” tutti fornendo prove straordinarie di resilienza e reattività sfruttando le politiche espansive pubbliche e il sostegno ai redditi, ma soprattutto capitalizzando in alcune aree di eccellenza come mai prima il tasso di fiducia che il governo di unità nazionale è riuscito a trasmettere a consumatori, imprese, investitori globali. Per tutto il 2021 e fino a giugno del 2022 è avvenuto l’esatto contrario di quanto è accaduto all’uscita delle due grandi crisi internazionali, finanziaria e dei debiti sovrani, in un arco di tempo che va complessivamente dal 2008 al 2014.

Non è una previsione, è quello che è accaduto. Sono fatti e grandezze macroeconomiche che rappresentano alcune delle tante facce del miracolo nascosto di Mario Draghi che ha ridato reputazione all’Italia nel mondo e ha ripetuto nei comportamenti la coerenza meridionalista degasperiana. Perché ha dato al Mezzogiorno la priorità nei programmi del Piano nazionale di ripresa e di resilienza e ha varato i primi livelli essenziali di prestazioni sociali (Leps) che parificano i diritti di cittadinanza tra le due Italie nel welfare per giovani e anziani. Questo miracolo tutto meridionale, che è la base dalla quale non si può prescindere per qualsiasi disegno di rinascita, è descritto come meglio non si potrebbe dal Rapporto Svimez 2022 in una slide che lo accompagna e ne è l’espressione più fedele. Il grafico titolato “Dalla doppia recessione post-crisi finanziaria 2008 alla ripresa post Covid” Fig.2 andamento del prodotto interno lordo (2007=100) lo riproduciamo a pagina 2 e indica con la forza visiva di una linea che si rialza quasi verticalmente che l’Italia ha registrato nel biennio 2021-2022 un differenziale di crescita positivo rispetto alla media dell’Unione europea e che questa discontinuità ha riguardato anche il Mezzogiorno per tutto il 2021 e fino a giugno del 2022.

Di questo dato fattuale, certo, documentato, avvenuto, state sicuri che non parlerà quasi nessuno, perché sarà sommerso dal rumore assordante del solito piagnisteo che si affretta a prevedere il rischio, dico rischio, ripeto rischio, che però tutti racconteranno ovviamente come fatto accaduto, di recessione per il solo Mezzogiorno non per il Centro-Nord. Il numero chiave sul quale si basa questa previsione ruota intorno a uno scenario sfavorevole di 0,8 punti percentuali. Un numerino del tutto irrilevante rispetto ai dieci punti di Pil legati all’attuazione dei 120 miliardi di investimenti pubblici del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) per non parlare di tutto quello che potrebbe derivare da una effettiva programmazione e una effettiva capacità di spesa dei fondi di coesione e sviluppo che valgono più o meno altrettanti miliardi se sottratti alle clientele regionali e ministeriali. Un numerino, dunque, del tutto irrilevante rispetto al volume di capitali privati interni e internazionali che il Mezzogiorno italiano, avvantaggiato dalla storia e dal nuovo quadro geopolitico che ridisegnerà l’ordine mondiale dopo la guerra russa in Ucraina, potrà cominciare stabilmente ad attrarre se verrà aiutato a non rompere il clima di fiducia instaurato dal miracolo nascosto di Draghi o, meglio ancora, se fortemente da solo vorrà sostenere questo nuovo corso spazzando il campo da gufi e catastrofisti assortiti.

Questo è il mood che avremmo voluto respirare alla presentazione del rapporto annuale della Svimez sull’economia e sulla società meridionali con un titolo inequivoco “Rimettere in gioco il Mezzogiorno” qual è quello scelto dai suoi bravi curatori. Soprattutto, lo avremmo voluto perché siamo in presenza di un governo Meloni che ha fatto la sua scelta politica strategica più rilevante proprio sul Mezzogiorno decidendo di affidare nelle mani esperte di Raffaele Fitto la gestione unitaria degli affari europei, del Pnrr, del Piano Complementare e di tutti i fondi europei a partire da quelli di coesione e sviluppo. Confermando, quindi, anzi esaltando la coerenza meridionalista degasperiana come motore della crescita economica italiana. Si è deciso, dico deciso, di fare quel tavolo unico con le sue solide quattro gambe (Pnrr, Piano Complementare, coesione e sviluppo, fondi strutturali) di cui chi scrive si è fatto promotore in tutte le sedi che è la premessa indispensabile perché la nuova cassa europea del Mezzogiorno assomigli a quella del primo miracolo economico italiano.

Quando la Cassa, guidata all’epoca da Gabriele Pescatore, era la lepre nell’utilizzo dei fondi europei perché non annunciava ma faceva le opere e, di conseguenza, sia il tasso di crescita delle regioni meridionali era superiore a quello delle regioni settentrionali sia la forbice del reddito pro capite tra le due Italie si restringeva, non si allargava. Questa degli investimenti produttivi, a partire dal capitale umano e affiancata da una politica generosa ma trasparente di sostegno ai poveri e a tutti coloro che hanno bisogno, è la sfida cruciale da vincere oggi partendo dall’operazione verità che senza polemiche e in modo costruttivo sta portando a termine il ministro Fitto in un quadro di costante e leale collaborazione con le strutture europee.

Piuttosto che fare volare i soliti corvi nel cielo meridionale, mi batterei sulla terra perché prevalga armoniosamente lo sforzo strategico di riunire competenze e risorse ribaltando logiche di frammentazione fuori dalla storia che tutelano solo rendite private. Mi batterei perché si uniscano gli sforzi per individuare chi è il nuovo Figliuolo che ripeta per gli investimenti lo stesso miracolo che ha realizzato il generale facendosi uscire prima delle altre grandi economie dalla crisi del Covid e consentendo a Nord e Sud, per una volta uniti, di fare meglio della media europea dopo una lunga storia di segno opposto. Bisogna trovare il nuovo Pescatore e fare una squadra di capi tecnici che realizzino la terza missione, come dice Giannola, che noi riteniamo sia addirittura la prima visto che il nuovo Nord dell’Europa è il Mezzogiorno italiano e il nostro Paese non può fallire l’appuntamento con l’ultima grande occasione che la storia gli fornisce.


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