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Le banche italiane rotolano a Piazza Affari come tutte quelle europee, ma non hanno colpe. La Silicon Valley Bank (Svb) fa come vuole sui tassi, stabilisce che la finanza digitale non ha regole e gioca con le criptovalute senza che un solo sceriffo americano veda o faccia qualcosa. La verità è che gli americani non sorvegliarono su Lehman Brothers e nemmeno oggi perché i loro debiti li paghiamo noi. Non è tollerabile che le banche europee arcivigilate dalla Bce sopportino un costo che non hanno prodotto e quelle italiane più di tutte. Il Covid viene da Est e la pestilenza finanziaria da Ovest: in mezzo c’è l’Europa vaso di coccio e un’Italia più vaso di coccio ancora. Forse avevano proprio ragione Obama e Trump che erano all’opposto su tutto, ma su una cosa erano d’accordo. Prima l’uno poi l’altro hanno detto: a noi servirebbe un Draghi. Sì, hanno proprio ragione. All’America serve oggi più che mai un banchiere centrale con la visione e il pragmatismo di Draghi

Le banche italiane rotolano a Piazza Affari e quelle tedesche che sono sicuramente meno solide delle nostre fanno altrettanto a Francoforte, ma né le prime né le seconde hanno una sola responsabilità di questa caduta. Il caos finanziario come sempre arriva dall’America ed è ora di dire basta. Perché queste grandi cose avvengono sempre in America. Perché di fatto le grandi banche operano senza sorveglianza o per lo meno senza una sorveglianza all’altezza della complicazione del quadro attuale e della delicatezza degli squilibri finanziari, industriali, sociali americani e globali. È sempre tutto possibile, anche ciò che non lo è, tanto il conto lo paga qualcun altro. Anche quello delle porcherie che sono appunto le cosiddette grandi cose. Perché parliamo della Silicon Valley Bank (Svb) che faceva di testa sua sui tassi nonostante a farli alzare fosse stato proprio l’elicottero monetario americano.

Perché parliamo della stessa banca che aveva la presunzione di ritenere che le regole non valgono per la finanza digitale, ma anche della medesima banca che giocava con le criptovalute senza che nessuno sceriffo americano vedesse o dicesse qualcosa nel primo come nel secondo e nel terzo caso. Una vergogna assoluta. Ebbene queste stesse grandi cose americane che sono porcherie, sì avete capito bene porcherie assolute, in Europa non avvengono più perché noi siamo molto più attenti e facciamo valere le regole.

Chiariamoci con qualche domanda retorica che aiuta a capire. Di grazia, la prima grande crisi finanziaria del 2008 che ha portato la prima grande recessione da dove è venuta e chi è stato a “regalarla” al mondo? Come è successo? C’è qualcuno che ancora oggi è in grado di dire come si può arrivare a fare fallire Lehman Brothers senza neppure accorgersene e poi correre ai ripari dopo avere creato sconquassi a tutti? Parliamo, per capirci, di una società americana simbolo della grande finanza le cui attività spaziavano dall’investment banking all’equity fino alle intermediazioni nel settore del reddito fisso e al trading con una posizione di primo attore come operatore del mercato dei titoli di stato statunitensi.

Il 15 settembre 2008 questa banca d’affari fondata dal figlio di un mercante di bestiami e allora tra le più blasonate della finanza mondiale ha annunciato l’intenzione di avvalersi del Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense, che non è null’altro che una procedura che si attua in caso di fallimento. Il blasone viene bruciato dalla comunicazione di debiti bancari per 613 miliardi di dollari, debiti obbligazionari per 155 miliardi e attività per un valore di 639 miliardi. Stiamo parlando della più grande bancarotta nella storia degli Stati Uniti che evidentemente non è neppure servita come lezione.

La verità è che gli americani non avevano sorvegliato allora su Lehman Brothers e non hanno sorvegliato ancora oggi sulla banca della Silicon Valley che ha raccolto soldi all’infinito e non si è voluta ostinatamente adattare al cambio dei tassi e si è messa perfino a fare azzardi ripetuti con le criptovalute. Perché loro sono sempre più furbi di tutti. Invece la Banca centrale europea (Bce) ha ammonito da mattina a sera, ha imposto alle banche di capitalizzarsi, ha rotto allo spasimo su coefficienti di capitalizzazione e stress test, ma il risultato è che oggi le banche europee sono più solide di quelle americane e più strutturata è la resilienza dell’economia europea, in particolare di quella esportatrice italiana.

Tutto questo è stato possibile certo per il tasso di fiducia internazionale assicurato alla nostra economia dalla stagione del governo Draghi e dalla capacità di investire in ricerca e innovazione delle nostre imprese intelligentemente incentivate, ma è evidente che soprattutto per il Made in Italy distribuito su un patrimonio industriale così frazionato e diffuso è stato decisivo potere contare nella sua operatività su un sistema finanziario più vigilato e, di conseguenza, più solido.

Quello che proprio non va giù, non sarebbe dovuto accadere ancora e mai più dovrà accadere, è che noi europei paghiamo il conto degli americani che fanno gli americani, concepiscono e realizzano allegramente le loro operazioni aumentando il loro debito. Non possiamo essere più noi a pagare il conto degli americani che fanno i loro errori riempiendo di soldi le imprese cosiddette innovative e mettendo in crisi le loro banche, regionali o meno che siano. Oppure, ancora peggio, riempiono di soldi gli americani e accendono la miccia dell’inflazione mondiale che pagano gli altri. Vogliamo essere molto chiari. Tutti questi debiti sono loro e non è più possibile che a pagare il conto in generale siano gli europei che sono costretti a saldare non i loro debiti ma quelli americani. Non è più tollerabile che le banche europee siano costrette a pagare un costo che non hanno prodotto loro, ma che addirittura le banche italiane paghino poi il costo più alto di tutti perché sono la quota più importante del nostro listino azionario in termini di capitalizzazione. Francamente è davvero un po’ troppo.

È molto amaro essere costretti a prendere atto che il Covid viene da Est e la pestilenza finanziaria viene da Ovest e in mezzo c’è l’Europa vaso di coccio e un’Italia più vaso di coccio ancora. Le parole non servono più. Bisogna agire insieme a livello europeo intorno al tavolo del nuovo ordine mondiale riscrivendo le regole della finanza come quelle della difesa. Se si fosse prestato ascolto agli ammonimenti di Carlo Azeglio Ciampi e di Romani Prodi che parlavano dell’esigenza di una nuova Bretton Woods in tempi non sospetti non ci saremmo trovati in questa situazione. Se si riuscisse almeno oggi a dare seguito all’idea fondante dell’Europa federale con l’Italia al centro di Mario Draghi che ha salvato l’euro staremmo tutti meglio. Non è mai troppo tardi per mettersi a posto e recuperare il cammino perduto.

È importante almeno non continuare a sbagliare strada in casa nostra. Perché le assicurazioni di Biden sui depositi americani che sono al sicuro, sui manager che saranno licenziati e sulle beghe che riguardano l’atteggiamento regolatorio e di vigilanza di questa o quella amministrazione statunitense non annullano gli ingiustificati costi collaterali giganteschi che noi europei continuiamo a pagare. Forse avevano proprio ragione Obama e Trump che erano all’opposto su tutto, ma su una sola cosa erano d’accordo. Prima l’uno poi l’altro, in momenti diversi, hanno detto: a noi servirebbe un Draghi. Sì, hanno proprio ragione. Un banchiere centrale con la visione e il pragmatismo di Draghi serviva allora e servirebbe ancora di più oggi.


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