X
<
>

Condividi:
7 minuti per la lettura

Nemmeno l’Istituto di statistica del Paese è immune dalla malattia nazionale dell’autoflagellazione. La realtà della super crescita europea italiana e la leadership economica nel G7 ci riportano al boom del Dopoguerra (altro che rimbalzo!), ma vengono liquidate con pochi numeri e si distrugge tutto con un fiume di parole su un mondo che non può esistere. Si pretende che il cielo della terra non sia attraversato da nuvole o i mari da burrasche. Pil, export, turismo, occupazione, riduzione dei divari e del debito in termini di punti di Pil, avanzo primario, facciamo meglio di tutti, ma si ha paura a dirlo. Questi previsori hanno il coraggio dei conigli e invece farebbero bene a dire la verità e a occuparsi in modo serio della questione salariale.

Tutti si aspettano il mondo che non c’è. Perché un mondo senza incognite non esiste. Svalutiamo quello che stiamo facendo di enorme in economia e demotiviamo tutti quelli che possono e vogliono fare senza nemmeno accorgercene. Lo facciamo perché pretendiamo l’impossibile. Che significa la certezza matematica che il cielo del mondo da qui ai prossimi dieci anni non sia attraversato da nuvole, non arrivino temporali. Come i mari dovrebbero abolire le burrasche e le montagne lo scioglimento dei ghiacciai.

Neppure l’Istat, l’istituto di statistica del Paese, è immune da questa malattia nazionale. Tutti, o quasi, gli analisti e i previsori economici si foderano gli occhi di prosciutto perché hanno sempre il timore di sbagliare. Sono terrorizzati dall’idea di fare previsioni che si rivelino sbagliate e allora che fanno? Ti dicono: i numeri certificano che andiamo bene, molto bene, ma lasciano spazio all’immaginazione e si inventano l’altra faccia della medaglia piena di incognite che sono congenite con la storia dell’uomo e del mondo. La solita autoflagellazione. Il ragionamento è: teniamoci le mani libere. Per cui se va bene un po’ lo avevamo detto e un po’ ci ha aiutato la fortuna. Se invece le cose vanno male possiamo rivendicare a voce alta “noi lo avevamo detto”.

Visto che, in ottima compagnia del solo Marco Fortis che dimostra ogni giorno di più di conoscere la realtà, ripetiamo che da tre anni in qua stiamo vivendo il secondo grande miracolo economico italiano, allora oggi vogliamo chiederci a voce alta che cosa ci si deve ancora inventare per farlo capire prima di tutto a noi.

Che cosa dobbiamo fare perché lo capiscano i soloni vecchi e nuovi dell’inquietudine del nulla? Che cosa dobbiamo fare perché entri nelle loro teste che il problema non è evitare il peggio, ma stabilizzare il meglio che si è raggiunto? Che cosa si deve fare per evitare questi confronti di dettaglio anno su anno o mese su mese sempre devianti e la coda di previsioni sempre meno rosee della realtà che poi puntualmente arriva e dimostra ostinatamente di non tenere conto di tanto congenito pessimismo?

Il dato di fatto reale è che dalla pandemia a oggi l’economia italiana è quella che continua a crescere di più tra le grandi economie europee. Che ha avuto la migliore performance di nuovi occupati a tempo indeterminato e che, per la prima volta, oltre il 50% di questi nuovi occupati riguardano il Mezzogiorno. Dobbiamo prendere atto una volta per tutte che il miracolo economico italiano gode ancora dell’effetto credibilità garantito al Paese da Draghi nel mondo e, soprattutto, in quello americano che è il principale motore del boom di pernottamenti esteri in Italia.

Dobbiamo prendere atto che il governo di Giorgia Meloni non ha sciupato questa occasione storica preservando in Italia e in Europa, ovviamente con differenziazioni e sensibilità differenti, il capitale sufficiente di credibilità necessario per non perdere attrattività internazionale e fiducia in casa. Due risultati affatto scontati. Dobbiamo prendere atto che le riforme di incentivazione fiscale agli investimenti privati del duo Renzi- Calenda nella loro stagione governativa ha consentito alle imprese italiane di modernizzare i loro prodotti e i processi produttivi, di ridurre l’indebitamento e di accrescere flessibilità e capacità competitiva su tutti i mercati del mondo.

Dobbiamo prendere atto che, mantenendoci molto prudenti, si viaggia verso almeno 100 miliardi di surplus commerciale, al netto dell’energia, di esportazioni italiane sui paesi extraeuropei che permettono di compensare l’effetto della caduta della domanda interna tedesca. La verità è che, sulla base dei dati definitivi del 2022 e utilizzando le previsioni sul 2023 dell’ultimo World Economic Outlook dell’Ocse, nel biennio 2022-2023 l’Italia metterà a segno la più forte crescita economica tra i paesi del G7, con un aumento del Pil del 5 per cento in due anni.

Capite da soli che si tratta di dati assolutamente straordinari perché vengono dopo il +6,7% inarrivabile del 2021 e, cumulandoli tenendo conto delle nuove basi annuali, emerge un dato gigantesco tra i 12 e i 13 punti di Pil che sgretola senza possibilità di appello la credibilità di chi pontificava in televisione sul cosiddetto rimbalzo del 2021 a fronte della pesante recessione del 2020.

A questi signori andrebbe riservato il trattamento che si deve a chi non conosce la storia di questo Paese (altro che rimbalzo… dopo la crisi dei debiti sovrani del 2011 si andò giù di oltre 5 punti di Pil!) e bisognerebbe fare presente che nell’Italia di oggi degli ultimi tre anni siamo di fronte a una crescita davvero vigorosa. Al punto che a fine 2023 l’economia del nostro Paese sarà già del 2,2 per cento in termini reali sopra i livelli precrisi del 2019. La Francia sarà solo a più 1,5 per cento, mentre Germania, Giappone e Regno Unito saranno a malapena agli stessi livelli di quattro anni fa. Per capirci nel G7 solo Stati Uniti e Canada, che tuttavia non hanno effettuato lockdown paragonabili a quelli europei nel 2020, si troveranno a fine 2023 con una crescita cumulata quadriennale superiore a quella dell’Italia.

C’è soprattutto da sottolineare che nel biennio 2022-2023 l’Italia è il Paese che va meglio di tutti nella crescita degli investimenti in macchinari e impianti e dell’export di beni e servizi mettendo a segno performance (rispettivamente +12,7 e +12%) che nessuna delle economie del G7 può vantare. Questi sono i fatti. Dobbiamo prendere atto che in termini di riduzione dell’indebitamento pubblico e di avanzo primario siamo il Paese che ha fatto le migliori performance e che, cumulando debito pubblico e debiti privati, siamo tra i Paesi più solidi per esposizione complessiva e forza della sua economia. Per la precisione abbiamo il più basso debito di famiglie e imprese tra i Paesi del G7 e il nostro debito aggregato, dopo quello tedesco, è il meno elevato di tutti.

C’è ancora di più. Secondo il Fondo monetario internazionale, a parte la Germania, nel 2023 tutti gli altri Paesi del G7 avranno un debito pubblico superiore al cento per cento del Pil. Il nostro è di sicuro molto elevato, ma è anche il debito che è cresciuto di meno nel decennio 2014-2023 in termini di punti di Pil. Perché è storia, ovviamente dimenticata da tutti, che ciò è stato possibile grazie a sette anni di avanzo pubblico primario su dieci così come nessuno si permette di sottolineare che nel 2023 l’Italia sarà l’unico paese del G7 con i conti dello Stato in surplus primario. Che vuol dire un surplus al netto della spesa per gli interessi. Dobbiamo prendere atto che il reddito delle famiglie nel primo trimestre di quest’anno, nel pieno cioè dei cosiddetti venti di recessione, è aumentato del 3,6% e anche i consumi interni continuano a crescere dopo due anni di super boom.

È evidente a tutti che esiste un forte problema salariale italiano a causa dell’inflazione e una sperequazione strutturale tra aree territoriali metropolitane e interne del Nord come del Sud e ovviamente a livello di macro aree tra Nord e Sud del Paese. Non cogliere, però, i segnali di netto miglioramento in corso e investire su questi risultati è l’atto più masochista che si possa compiere se si vogliono davvero combattere le diseguaglianze. Soprattutto in un momento come questo in cui il nuovo desiderio di Italia del mondo coincide come non mai con un desiderio di Napoli e del Mezzogiorno e i cambiamenti geopolitici pongono al centro l’asse Sud-Nord e offrono ai territori meridionali l’opportunità storica di essere il nuovo grande hub energetico e manifatturiero dell’Europa intera


La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE