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Il fattore tempo è cruciale. Era sbagliata la fanfara del governo, non la realtà del miracolo economico degli ultimi due anni e mezzo. È sbagliata la fanfara dell’opposizione sulla base di una stima preliminare di un dato trimestrale dove il turismo non compensa la caduta della manifattura, dovuta a suoi errori sulle scorte, che vede di nuovo correre gli ordini dai mercati. Come confermano le entrate fiscali di luglio molto buone e la crescita già acquisita dello 0.8%. Bisogna impegnarsi allo spasimo per evitare il rischio di bloccare cantieri e procedure operative chiudendo in tempo zero il giro di boa del Pnrr con Comuni e Regioni e accelerando sulle riforme come moltiplicatore della crescita.

La variazione acquisita per il 2023 è pari allo 0,8%. La crescita tendenziale anno su anno è dello 0,6% confrontandosi con uno dei due anni del biennio magico dell’economia italiana, costruito intorno alla fiducia interna e internazionale generata dal governo Draghi. La variazione congiunturale come stima preliminare del secondo trimestre è negativa dello 0,3%, rispetto al trimestre record del +0,6% precedente.

Questo segnale congiunturale sorprendentemente più accentuato dello 0,1% preventivato è frutto della miopia di una parte rilevante del sistema produttivo italiano che si è fatta influenzare dalla corrente dominante dei venti di recessione mondiale e non ha ricostituito per tempo le scorte determinando un tonfo della produzione industriale di aprile che ancora oggi si avverte perché le stesse imprese non riescono a soddisfare gli ordini che il mondo continua a fare alle imprese italiane.

Questo segnale congiunturale negativo sorprendentemente più accentuato del previsto è frutto del fatto che la crescita dei servizi ha solo parzialmente compensato la caduta di industria e agricoltura perché il boom del turismo è stato a macchia di leopardo ed è stato rallentato nei suo effetti da mancate riforme, come quella delle licenze dei taxi, che ne hanno fatto mancare un moltiplicatore importante.

I dati delle entrate di luglio in forte crescita indicano che le imprese hanno ripreso a fare quei profitti degli ultimi tre anni che hanno visto solo con il binocolo negli ultimi trenta e che hanno vissuto qualche mese di relativa battuta d’arresto solo a causa della loro miopia. Sopratutto questi dati indicano che il terzo trimestre darà soddisfazione e l’economia italiana continua a crescere più delle altre grandi economie. Restiamo il Paese europeo che è cresciuto di più rispetto ai livelli pre Covid (vedi grafico sotto il titolo) e il dato congiunturale francese di +0,5% è dovuto alla vendita straordinaria di un mega piroscafo, ma i consumi delle famiglie francesi sono cadute ancora una volta di più di quelle italiane.

Non va, infine, neppure sottovalutato il dato dell’inflazione in discesa La decelerazione del tasso dei prezzi a luglio dal 6,4 al 6% conferma l’andamento discendente e, quindi, aiuta il miglioramento del quadro anche se occorre non sottovalutare che la discesa è legata in modo marcato a trasporti-servizi e bene energetici, in misura minore agli alimentari lavorati e agli altri beni dove si intravede la manina nefasta dei profitti sussidiati non più tollerabili di un lavoro autonomo soprattutto commerciale, macro e micro, che continua a lucrare in modo indebito sulla pelle degli italiani.

Detto tutto questo, però, bisogna che il campanello d’allarme per Giorgia Meloni suoni forte e chiaro. Con questi dati del Pil del secondo trimestre si può dire finito l’effetto propulsivo ereditato dal biennio magico draghiano in un contesto europeo e globale difficile, reso ancora più critico dalle difficoltà ormai strutturali dell’economia tedesca e dal rallentamento continuo anche della manifattura cinese che incide sugli scambi globali. Tutti elementi che si aggiungono agli sconquassi determinati dalla guerra russa in Ucraina e dagli effetti perduranti sull’accorciamento delle catene della logistica globale. Da ieri Giorgia Meloni sa che non può più vivere in economia dell’eredità di Draghi e che non basta più non rompere il giocattolo.

Ora bisogna cominciare a fare qualcosa di nuovo nella nuova legge di stabilità. Occorre che la nuova legge di bilancio sia espressione

dell’autonomia di un nuovo governo politico totalmente autonomo che decide di fare delle cose senza guardare in faccia a nessuno a partire dalle liberalizzazioni rallentate, taxi e balneari in primis, a fronte di altre invece accelerate fino al testo unico delle rinnovabili, e dalla chiusura del cerchio della rimodulazione del Piano nazionale di ripresa e di Resilienza (Pnrr).

Prendere responsabilmente atto che è finita la lunga spinta di fiducia del governo Draghi, oltre 11 punti di Pil e più di mezzo milione di nuovi occupati stabili oltre la metà dei quali al Sud, significa acquisire la piena consapevolezza che il fattore tempo è cruciale per costruire ora le condizioni di una nuova, duratura crescita chiudendo in fretta il giro di boa del Pnrr e trovando immediatamente le risorse per Comuni e Regioni in modo da ripartire con l’attuazione a ottobre come promesso dallo stesso ministro Fitto.

Bisogna chiarire bene le cose. Primo. Le risorse che i Comuni stanno appaltando o spendendo in sede di attuazione del Pnrr non sarebbero state riconosciute per il livello di rendicontazione richiesto. Secondo, bisogna che senza interruzione di copertura neppure di un secondo per i progetti seri dei Comuni si provveda a sfilare i soldi alle marchette delle Regioni nel Fondo di coesione e sviluppo o nei fondi strutturali. Terzo, tutto questo deve avvenire prima che siano tolti i fondi del Pnrr e va costruito e concordato con Comuni e Regioni dentro una soluzione alternativa condivisa che supplisca la mancata conoscenza della realtà, soprattutto da parte del mondo comunale.

Bisogna che tutti restino tranquilli e che sia chiaro che la proposta di revisione non è in vigore e che i soldi comunque si trovano in tempo reale. Altrimenti l’impasse genera un’incertezza che come primo effetto determina che il ragioniere del Comune non firma più nulla, l’ufficio tecnico si ferma totalmente visto che si ferma già di suo, figuriamoci di fronte alla promessa di un pagherò.

Era sbagliata la fanfara politica della scorsa settimana da parte del governo, non la realtà assoluta del miracolo economico italiano degli ultimi due anni e mezzo. Oggi è sbagliata la fanfara dell’opposizione sulla base di una stima preliminare di un dato trimestrale dove il turismo non è riuscito a compensare una caduta della manifattura dovuta a errori di valutazione del nostro sistema imprenditoriale che continua invece a correre sui mercati mondiali dopo la pausa che si è autoimposta.

Dobbiamo piuttosto renderci conto che invece di ripetere frasi roboanti sulla nostra reale crescita superiore a quelle francese e tedesca, che è frutto del passato recente, bisogna impegnarsi allo spasimo per evitare il rischio di bloccare cantieri e procedure operative chiudendo in tempo zero il giro di boa del Pnrr e accelerando sulle riforme come moltiplicatore della crescita esattamente come avrebbe provato a fare draghi.

Bisogna impedire che il solito giro del fumo delle polemiche italiane reso ancora più bollente dalla calura estiva, blocchi l’azione di chi deve firmare gli atti di spesa. Siamo davanti alla sfida cruciale del primato della politica. Diciamocela tutta fino in fondo. Draghi ha fatto quello che poteva fare con la maggioranza che aveva, oggi la Meloni ha una sicurezza parlamentare e un potere personale che fino ad ora nessuno ha avuto e questo consente a lei di fare cose che altri non hanno potuto fare.

Perché è vero che ha anche lei Salvini, ma Salvini ha potuto fare con Berlusconi quello che ha fatto con Draghi, perché sapeva che sarebbe ritornato lì dove stava come è puntualmente avvenuto. Oggi se pensa di ripetersi va a sbattere contro un muro. Perché può fare cadere la Meloni, certo, ma va via anche lui e non torna più. Per sempre. Consigliamo alla Meloni di portare a compimento fino in fondo la rivoluzione del conservatorismo liberale facendo tutto quello che deve fare per le riforme sul piano interno e per attuare compiutamente la svolta mediterranea sul piano esterno. Non esistono alternative a questa doppia strada, ma oggi è percorribile. Non mancano le insidie, ma è percorribile.


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