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Manca l’esame più delicato che è quello di Moody’s, ma abbiamo fatto i compiti assegnati e un declassamento apparirebbe curioso. Dalla Nadef al testo finale della manovra su pensioni si è tagliato molto di più del previsto. Come non si è esitato a intervenire su ministeri, regioni e comuni o ad aumentare le tasse (affitti brevi) per garantire le coperture. La guerra in Medio Oriente non alimenta shock energetici e banche e imprese sono oggi più solide. Le incognite sulla crescita e la gigantesca spesa per interessi impongono, però, scelte coraggiose per il futuro.

Il focus sull’Italia dei mercati non è sparito, ma è stato accantonato. La guerra in Medio Oriente, per il momento, non si è incastrata con quella in Ucraina e non ha avuto effetti sui nostri titoli sovrani. Si respira piuttosto un clima cautamente positivo avendo superato indenni il giudizio delle prime due agenzie di rating. Anche chi continua a mettere in guardia sul responso più delicato che è quello di Moody’s previsto per venerdì 17 novembre non manca sempre di sottolineare che è vero che siamo all’ultimo gradino con outlook negativo prima dei titoli spazzatura, ma aggiunge anche che nessuno ragionevolmente può prevedere un nuovo declassamento.

Per la semplice ragione che l’agenzia di rating ha detto con chiarezza in tempi non sospetti che l’eventuale declassamento sarebbe stato legato all’arrivo di una nuova crisi energetica, al mancato incasso della terza rata del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e altro ancora, ma nulla proprio nulla di ciò che era temuto o richiesto in modo condizionato non è stato realizzato. È come se accadesse che un professore in aula ti dice che, per superare l’esame devi risolvere gli esercizi 1,2,3,4, e tu lo fai per tutti e quattro gli esercizi, ma poi lui decide di bocciarti comunque. Come dire: sarebbe perlomeno curioso che ciò avvenisse. Bisogna anche aggiungere che dopo la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef) la manovra vera e propria, almeno nella sua stesura finale presentata all’esame del Parlamento, è piaciuta ai mercati un po’ di più.

Ci vedono come persone che stanno più con i piedi per terra. Gli uomini dei mercati sanno fare di conto e vedono molto bene il taglio vero alle pensioni che resta, in rapporto al Pil, la voce di spesa più alta al mondo e, quindi, la vigilata speciale per la sostenibilità del maxidebito dell’economia di un Paese segnata da bassa natalità e rallentamento della crescita. È ormai chiaro a tutti che quota 103 con penalità è più penalizzante della presente quota ipotizzata (104) e che il criterio reintrodotto delle “speranze di vita” come parametro di riferimento per modifiche in corso d’opera segnano congiuntamente un ritorno a tutto campo alla legge Fornero. Vale a dire: l’uscita dal mondo dei sogni, l’ingresso nel mondo della realtà.

Si è osservata anche una reale maggiore attenzione a garantire le coperture nella situazione data sia non rinunciando a imporre nuove tassazioni come quella in aumento sulla cedolare secca per gli affitti brevi sia allargando i tagli della spesa pubblica in modo significativo anche a Regioni e Comuni. Il drastico calo dell’inflazione con un tendenziale che scende fino all’1,8% non annulla il dato core meno rassicurante e riflette il trimestre a zero della crescita del Pil, ma di sicuro indica un forte miglioramento complessivo e, soprattutto, che lo shock esterno è finito o sta finendo.

Per cui per la prima volta la Bce non ha aumentato i tassi e, se sarà sempre più chiara la divaricazione del fenomeno inflazionistico europeo da quello americano, quegli stessi tassi anche se lievemente cominceranno pure a scendere. È ovvio che sullo sfondo e in prospettiva permangono più di un’incognita. La guerra in Medio Oriente non ha prodotto per ora effetti nemmeno sull’economia visto che i prezzi petroliferi hanno tenuto, ma se il conflitto prosegue a lungo da Israele su gas e microchip noi prima direttamente e poi, indirettamente per le ricadute sul commercio globale, ne risentiremmo di sicuro.

La spesa per interessi da 100 miliardi l’anno resta e aumenta man mano che il debito si rifinanzia a tassi sempre più alti. Per cui anche se la Bce dovesse tagliare i tassi, il costo del debito per noi continua ad aumentare perché prima lo collocavamo a tassi molto più bassi. Però, anche qui, è certo che abbiamo un sistema bancario molto più solido della stagione successiva alla crisi dei debiti sovrani e che le nostre imprese pure sono più competitive visto che contribuiscono a produrre un avanzo commerciale significativo e a mantenere una posizione finanziaria netta positiva.

Negli anni del post Covid abbiamo creato più occupazione che negli Stati Uniti, come spiega da par suo Fabrizio Galimberti. Tutto questo i mercati cominciano a capirlo e riteniamo che si può ragionevolmente pensare che la fine dell’anno non riserverà sorprese. Il problema riguarda la crescita del 2024 e, su questo punto, servono oggi per allora scelte coraggiose che riguardano investimenti e riforme e una logica di medio termine fatta di decisioni nette e di una comunicazione trasparente. Che renda comprensibile a tutti la traiettoria perseguita e la sua realizzabilità.


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