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Dalla posizione finanziaria netta internazionale positiva per noi e super negativa per loro alla quota di debito pubblico detenuta in mani estere che ci vede collocati infinitamente meglio. Il nostro avanzo commerciale non teme confronti. Il primato della crescita dalla fine del 2019 ad oggi ci pone davanti a tutte le grandi economie. La produttività è migliorata. Abbiamo fatto molto su fiscalità degli investimenti e Pnrr, diciamolo, e acceleriamo sul processo riformista che va completato per cambiare la percezione che gli altri hanno di noi e noi di noi stessi. Il problema della crescita italiana e della sostenibilità del maxidebito è tutto lì.

L’Italia ha una posizione internazionale netta positiva pari a 4,7 punti di Pil, il Portogallo negativa per 83,6 e la Spagna sempre negativa per 60,2. Che cosa è la posizione internazionale netta di un Paese, più nota come NIIP, che sta per Net international investment position? È il risultato finale della somma di tutti i debiti e crediti di un Paese verso l’estero. Ecco, in questo indicatore di assoluto valore, noi siamo gli unici ad essere in positivo come la Germania.

Abbiamo debiti totali verso l’estero superati dai crediti totali ed abbiamo, dunque, un surplus che ci colloca nello stato di un Paese creditore verso l’estero. La quota italiana di debito pubblico collocata all’estero è del 25,9%, quella portoghese del 45,2 e quella spagnola del 39,9. Ancora. Il debito estero italiano in rapporto al Pil si ferma al 37,4%, quello portoghese al 51,5 e quello spagnolo al 44,5. Non è finita. L’Italia ha un avanzo commerciale positivo di 47,7 miliardi di dollari, il Portogallo negativo di 23,1 e la Spagna di 34,5. Sono tutti dati del Fondo Monetario Internazionale. Riuscite a capire perché noi siamo all’ultimo gradino del rating B e possiamo gioire perché Moody’s cambia l’outlook da negativo a stabile e il Portogallo in piena crisi politica riceve una doppia promozione arrivando all’ultimo scalino del rating A e la Spagna viene valutata meglio di noi?

La vulgata accreditata è che Portogallo e Spagna sono due Paesi che hanno fatto meglio dell’Italia con i soldi dell’Unione europea e sul piano delle riforme concordate nonostante l’instabilità politica molto forte. La stessa vulgata insiste nel sostenere che proprio questo riformismo ha aumentato il potenziale di crescita delle loro economie e ancora di più lo migliorerà in futuro.

Ci permettiamo sommessamente di fare notare che rispetto al quarto trimestre del 2019 ad oggi l’Italia è più avanti di tutti in termini di crescita di Pil con un + 3,3% che si confronta con il +2,1% della Spagna, il +1,8% di Francia e Regno Unito, il +0,3% della Germania fanalino di coda assoluto. L’economia tedesca è stata umiliata dalla recessione del 2023 e continua ad esserlo da una tendenza strutturale alla caduta da nessuno auspicata, meno che mai da noi, che però persiste e può, in prospettiva, creare turbolenze economiche e sociali mai viste in un Paese come la Germania.

A questo punto, si impone una operazione verità che riguarda l’Italia e tocca due punti fondamentali. Punto primo. Smettiamola con questa ansia di attesa di punizione divina da parte di questa o quella agenzia di rating tanto morbosa e, quindi, pericolosamente contagiosa, quanto immotivata. Soprattutto cominciamo a venderci come portoghesi e spagnoli quello che abbiamo già fatto che non è affatto poco.

Penso, ad esempio, alla riforma della fiscalità degli investimenti che ha determinato il più alto rapporto tra investimenti in macchinari confrontati con il Pil rispetto allo stesso Giappone, da sempre leader in questo campo.

Cominciamo a dire che gli 80 euro diventati 100 sono riforma fiscale strutturale e il nuovo taglio confermato al cuneo lo diventerà perché si cercano e si trovano le coperture strutturali disboscando la giungla delle agevolazioni o tagliando nella spesa di ministeri e Regioni. Non possiamo continuare noi a dire che a noi va tutto male quando per la prima volta dal 2019 ad oggi abbiamo il primato della crescita europea e un forte aumento della produttività di lavoro, capitale e totale nettamente superiore alla media dell’Eurozona proprio perché il cammino delle riforme dell’amministrazione, della giustizia, degli incentivi fiscali e degli investimenti lo abbiamo finalmente avviato.

Il secondo punto, non meno importante per l’Italia, è quello di fare per davvero tutto quello che si deve fare senza dare ogni volta la sensazione che le riforme si fanno, ma ogni volta al minimo, quasi come una scocciatura di cui non si può fare a meno e di cui non ci si vuole fare carico se non per ciò che è impossibile rinviare ancora. Sulle riforme della concorrenza vanno rimosse le timidezze che pagano i nostri consumatori con un sevizio taxi e di trasporto locale pieno di distorsioni perché non si sono aperti davvero i mercati con regole nuove e trasparenti.

Francamente è molto difficile capire perché tanta timidezza nell’affrontare il tema non più rinviabile delle concessioni dei balneari che sono risorse sottratte indebitamente alla collettività mentre si vuole invece correre dove non corre nessun altro Paese e dove correre significherebbe bloccare decine di miliardi di investimenti che servono alla crescita di questo Paese come il pane per chi non ha nulla da mangiare.

Che cosa ci vuole a sbloccare gli investimenti legati alle concessioni idroelettriche che, esattamente come in Francia e Germania, possono farli e subito solo i grandi player nazionali come è nel nostro caso l’Enel? Ce la facciamo almeno a dire che stiamo facendo la più grande rivoluzione della macchina pubblica degli investimenti da venti anni in qua, che su quarta e quinta rata siamo al rush finale, e che se tutto va bene a marzo saremo i primi nella capacità di spesa dei fondi europei del Pnrr e saremo finalmente usciti dalla palude assistenziale pluriennale in cui ci eravamo infilati da soli per quelli di coesione e sviluppo?

Non facciamo brutta figura nelle previsioni del Fondo Monetario internazionale (FMI) dal 2023 al 2028 neppure in termini di deficit medio di bilancio con 2,8% rispetto al 3,4% spagnolo e con un avanzo primario che si muove parallelamente con un + 0,7 contro il – 1 di Spagna e l’ottimo +2,2 del Portogallo. Lo so, lo so, chi è arrivato fin qui, mi chiederà: ma lei non ha ancora parlato del debito pubblico italiano al 140,1 % del Pil e alla difficoltà di farlo scendere negli anni a venire?

Potrei cavarmela dicendo che a ripetere questa cantilena a reti unificate ci pensano ogni secondo le tv italiane e non sono da meno i giornali, ma in realtà di questo punto chiave mi sono occupato dall’inizio alla fine di questo articolo. Lo ho fatto elencando tutte le performance già realizzate dall’Italia in termini di crescita e di produttività e quelle che ancora più rilevanti si potranno conseguire se solo cominciamo a raccontare la verità e acceleriamo seriamente tutti insieme sul cambiamento che è in atto, ma ha bisogno di essere completato per modificare la percezione che gli altri hanno di noi e noi di noi stessi. Il problema della crescita italiana e della sostenibilità del nostro maxidebito è tutto lì.


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