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È già iniziato e il Mezzogiorno ne guida il processo in tutti i campi. La geopolitica e la geografia hanno deciso per noi e non c’è più spazio per il solito rosario della depressione e delle paure. Servono più coraggio e meno menagrami. La grande rivoluzione da compiere è quella delle teste. Che vanno girate tutte per sprigionare fiducia senza se e senza ma. I numeri ci danno ragione, anche quelli previsionali che sembrano non tornare valgono zero. La realtà è che non siamo più periferia ma centro del nuovo mondo. Dipende da noi

Sono andato al tempio di Adriano a Roma per la presentazione del rapporto Svimez 2023 sull’economia del Mezzogiorno animato dalle migliori intenzioni. Sono certo che si andrà oltre i numeri e si saprà cogliere la straordinaria opportunità storica e geografica che fa del Sud italiano non più periferia, ma centro del nuovo mondo. Sono certo che si trasferirà un contagioso messaggio di estrema fiducia sul Mezzogiorno italiano che con le sue capitali del futuro, Gioia Tauro e Porto Empedocle, i porti dell’eolico off shore, è l’unico grande hub energetico e manifatturiero dell’Europa intera. O si passa di qui o l’industria europea scompare.

Sentirò di certo vibrare nelle parole degli eredi di Morandi, Pescatore e Saraceno, che furono i protagonisti del miracolo economico italiano e della trasformazione (avvenuta) di un Mezzogiorno contadino di secondo livello in una economia industriale come è stato dal Dopoguerra agli anni Ottanta, la nuova irripetibile occasione dei nostri giorni che vede la manifattura tedesca e quella del Nord produttivo italiano legate alla canna del gas (è letterale) e alla gigantesca dote di fonti rinnovabili del nostro Mezzogiorno. Che è già oggi, peraltro, l’ottava economia manifatturiera europea. Che ha eccellenze in tutti i settori produttivi e primati assoluti consolidatisi negli anni. Che ha vissuto una stagione di attrazione turistica e di sviluppo delle costruzioni private, purtroppo drogato dal più grande regalo venezuelano ai ricchi che è il Superbonus, che hanno segnato in modo combinato con la manifattura il miracolo economico italiano del biennio 2021/2022 che non ha precedenti dal Dopoguerra a oggi.

Stiamo parlando dello stesso Mezzogiorno che nello stesso biennio ha avuto dopo decenni una crescita tale da ridurre per la prima volta il divario con le aree del centro nord. Sono certo, mi ripetevo andando all’appuntamento, che si sarebbe parlato del miracolo del primato dell’intelligenza artificiale dell’Università della Calabria e dell’incubatore di startup tra Lamezia Terme e Caraffa fatto tutto con soldi privati, dei grandi primati dell’agro-industria campana, del servizio idrico, delle reti dell’intelligenza e dell’energia del futuro, delle telecomunicazioni, del farmaceutico, dell’aerospazio, delle apparecchiature elettriche, e di molto molto altro ancora. Purtroppo, di tutto ciò non ho sentito nulla o quasi. Diciamo: qualche rapidissimo passaggio accompagnato dalla solita slide. È vero che anche nella presentazione dei rapporti dei due anni precedenti, benché le tabelle documentavano che il Sud recuperava più del Nord, le parole erano tutte sulla recessione in arrivo e sulle nubi del futuro.

È vero che, con questi precedenti, i miei ragionamenti erano esercizi di pura fantasia, ma non vi preoccupate, si è saputo anche fare qualcosa di più. Questa volta il messaggio è addirittura esplicito: nel 2023 il divario tra Nord e Sud del Paese si allargherà ancora, il Mezzogiorno si sta spopolando e i giovani scappano, forse, ripetiamo forse, il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) eviterà la recessione strappando al Sud una microscopica crescita, ma ovviamente i Comuni del Sud sono in ritardo. Mi fermo qui. Non ho voglia di andare oltre. Ho una certezza che nessuno potrà togliermi dalla testa. I grandi player energetici e ferroviari del Paese hanno una montagna di investimenti che attueranno nei prossimi cinque-dieci anni, a partire da subito, tutti nel Mezzogiorno italiano, e l’ottava manifattura europea potrà diventare almeno la quinta solo con i cavi che accompagnano l’elettrodotto che parte da Tunisi e passa per i territori del Sud e si collega al Nord produttivo europeo.

Partiamo con i migliori laureati in informatica gestionale che tutto il mondo prenota e compra a caro prezzo, ma che noi cominceremo a trattenere nei territori più belli d’Europa e costituiranno il primo nucleo della nuova classe dirigente euromediterranea che sarà la testa del nuovo mondo. Abbiamo i migliori ingegneri e i migliori laureati in agraria che ogni anno escono dall’Università Federico II di Napoli. Investiremo sul capitale umano mettendo insieme le università del nostro Mezzogiorno e quelle del Marocco, della Giordania, e di tutto il Mediterraneo allargato.

Avremo una Napoli capitale del Mediterraneo e porta di ingresso dell’Europa nel nuovo mondo che ha il sindaco, Gaetano Manfredi, e la squadra di competenze tecniche che stanno cambiando le cose, e sempre più lo faranno, ovviamente in silenzio che è l’unico modo per avviare e gestire le grandi trasformazioni. Dobbiamo tutti credere nella nuova governance italiana degli investimenti e chi la ha ideata deve portarla avanti ascoltando tutti e facendo tesoro di tutto. Almeno sul Pnrr e sui fondi di coesione teniamo fuori il rumore e facciamo le cose. Ciò che serve, per capirci, è l’esatto opposto di quello che è avvenuto almeno nell’ultimo ventennio.

Ho scritto, di proposito, questo articolo senza citare un solo numero, il giornale dedica quattro pagine al lavoro importante di documentazione della Svimez, perché il mio obiettivo qui è uno solo: trasferire il messaggio che il futuro è già iniziato e che il Mezzogiorno ne guida il processo in tutti i campi. Che la geopolitica e la geografia hanno deciso per noi e non c’è più spazio per il solito rosario della depressione e delle paure. Servono più coraggio e meno menagrami. La prima grande rivoluzione da compiere è quella delle teste. Che vanno girate per sprigionare fiducia senza se e senza ma.


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