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La premier Giorgia Meloni

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Un punto di minore costo di interessi per un Paese con un debito/Pil al 140% vuol dire 1,4% in meno per 7 anni e 0,3% da qui alla fine dell’anno prossimo. Un tesoretto di 10 miliardi da combinare con messa a terra del Pnrr, riforme di giustizia, concorrenza e lavoro. Non essere più ultimi con i greci rimettendo la dinamica del costo del debito italiano su un sentiero virtuoso. Se si mette la testa su queste cose non sulle cavolate, cade il racconto catastrofista italiano di un Paese perennemente sospeso tra la vita e la morte. Consolidiamo il miracolo economico dei due anni di uscita dal Covid e imbocchiamo un sentiero duraturo di stabilità politica, riforme, investimenti e crescita. A quel punto, il debito italiano e la spesa per interessi restano un peso, ma non sono più la grande incognita che grava come un macigno sul futuro di tutti noi.

ANCHE il dato di dicembre sull’inflazione italiana è molto buono, continua a scendere, mentre a livello europeo c’è stata la scontatissima mini-ripresa tutta congiunturale e tutta ampiamente prevista dalla Lagarde come da Panetta. Quello che va colto è il dato di fondo e le sue implicazioni positive soprattutto per l’Italia. Anche con il rimbalzo di dicembre dato per certo l’inflazione europea rimane sotto il 3% e quella italiana più bassa, ma soprattutto si prefigura una discesa anche più rapida delle previsioni della Bce da qui a qualche mese e, se non a marzo, di sicuro ad aprile cominceranno a scendere i tassi.

Questo confronto non è stato ancora fatto, ma tutte le evidenze empiriche ci dicono che i tassi della Nadef, indicati da questo governo, si avviano nella realtà ad essere ridotti di un punto e questo dà un po’ di margine sugli spazi fiscali soprattutto se si saprà rafforzare l’effetto concreto e di fiducia derivante dalla discesa dei tassi con un processo effettivo di riforme che hanno qualche risorsa in più per essere finanziate e possono produrre un effetto combinato disposto moltiplicatore sulla crescita, smentendo positivamente le previsioni sempre di crescita ma tenute prudenzialmente basse. Un punto di minore costo dei tassi di interesse per un Paese che ha un rapporto debito/Pil al 140% vuol dire un 1,4% in meno per sette anni e uno 0,3% in meno da qui alla fine dell’anno prossimo. Che significa, nel breve termine, un tesoretto di 10 miliardi a disposizione per decidere qualche misura in più sulla spesa che favoriscono l’unica cosa vera che guardano i mercati e, cioè, la capacità che ha un Paese di mantenere un buon livello di crescita anche in un quadro geopolitico complicatissimo che genera un rallentamento globale.

Ovviamente Giorgia Meloni si può garantire un futuro politico facendo politiche che fanno bene all’Italia, questo dato non ci sembra messo a fuoco come merita ed è invece la priorità assoluta. La congiuntura finanziaria con l’inflazione che sta scendendo e torna in due o tre mesi al 2% non deve essere valutato solo per il fatto che può contribuire a migliorare le previsioni sul rapporto debito/Pil e a fare risparmi di spesa ancora più elevati su quello che lo Stato italiano deve pagare a chi compra i nostri titoli soprattutto dall’estero, ma deve spingere a fare subito qualche riforma vera sugli investimenti a partire dalla messa a terra del Pnrr e a partire da Mezzogiorno e incentivi alle imprese, sulla concorrenza che costano niente, e sul mercato del lavoro per aumentare il tasso di partecipazione soprattutto delle donne e dei giovani di talento.

L’obiettivo, sul lato finanziario, non si misurerà tanto sullo spread che causa caduta tassi scende per tutti, ma sul costo del debito e, più precisamente, almeno nel breve termine, dovrà essere quello di avere un costo del debito che non ci mette tra i primi in Europa, è ovviamente impossibile, ma ci consente almeno di non essere più gli ultimi a pari merito con i greci rimettendo la dinamica del costo del debito italiano su un sentiero virtuoso. Siamo arrivati a toccare un livello di rendimento dei nostri titoli di 40/50 punti base sopra quelli della Grecia e mi sembra che non ci sia altro da aggiungere. Se la Presidente del Consiglio riesce a occupare l’80% del suo tempo non più tra chi spara proiettili e chi spara cavolate, potrebbe concentrarsi su cinque punti tanto urgenti quanto decisivi dai quali non può essere distratta da nessuna campagna elettorale. Che devono essere il suo focus permanente e produrre risultati visibili giorno dopo giorno.

Primo. Allargare il cerchio delle persone di cui si fida cercando i migliori ovunque si trovino perché il sogno di un cervello che pilota tutto con quattro persone non funziona come si è visto con la legge sugli extraprofitti bancari che ha portato zero euro nelle casse dello Stato e un rialzo dei tassi italiani con altrettanti oneri per il bilancio pubblico, mentre affidato in mani competenti e fidate avrebbe reso 4 miliardi senza creare malumori e problemi di qualsiasi tipo.

Secondo. Il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) va messo a terra e deve essere misurabile nella parte di spesa attivata. Bisogna vedere quante di quelle risorse arrivano all’economia italiana e la presidenza del Consiglio deve supportare in ogni modo con la testa e tutte le competenze utili lo straordinario sforzo di strategia e di operatività che il ministro Fitto e la sua struttura stanno ponendo in essere in modo coerente. La mossa giusta è stata quella del Repower Eu che mette 20 miliardi sulla crescita con oltre 10 alle imprese immediatamente spendibili e un flusso di almeno 6/7 miliardi di infrastrutture strategiche da concentrare tutti al Sud utilizzando a pieno la capacità di spesa effettiva di grandi player nazionali come Enel, Eni, Ferrovie e così via. Si tratta di seguire il modello spagnolo che ha fatto esattamente quello che ha ostinatamente voluto Fitto, cambiando il Pnrr e facendo la vera manovra a sostegno delle imprese con gli incentivi di transizione 5.0, contratti di filiera e così via, che poi non è nient’altro che quello che stanno facendo gli americani su una scala più alta con l’Inflation Reduction Act (IRA) che avrebbe dovuto fare anche l’Europa agendo unitariamente.

Terzo. Attenzione: questa partita delle riforme si gioca su due fronti per dispiegare fino in fondo i suoi effetti in modo superiore a ogni aspettava. Pretende una vera riforma della giustizia con segnali chiari da subito operativi per ridurre i tempi delle decisioni e non intralciare l’operatività. Pretende che il Pnrr si traduca da subito in spesa effettiva, investimenti effettivi, nuova domanda, nuova occupazione, e deve quindi confrontarsi con un’amministrazione centrale e territoriale che fa acqua da tutte le parti. Qui ci vuole l’attenzione aggiuntiva della premier a fianco e alle spalle di quella di Fitto perché tutte le migliori strutture economiche del Paese devono essere chiamate a raccolta per raggiungere l’obiettivo principe di quest’anno. Che è quello di un 60% di spesa delle risorse avute a fondo perduto o a tassi di favore.

Quarto. Bisogna fare tutte le riforme previste dalla legge annuale di concorrenza. Bisogna farle, ma soprattutto rivendicarle. Non dare sempre la sensazione che si fa quello che si è costretti a fare, ma piuttosto che si fa quello che si vuole fare. Cose grandi e piccole stanno tutte insieme. Dai balneari agli ambulanti, dai taxi al trasporto locale, ma anche ai grandi servizi e altro ancora. La logica deve essere unitaria e coerente, il metodo pragmatico, ma almeno deve apparire chiaro l’itinerario che si vuole percorrere e, soprattutto, che lo si percorre.

Quinto. Bisogna concentrarsi sul mercato del lavoro, utilizziamo una parte della minore spesa per interessi per dare più soldi e spendere di più a sostegno dell’occupazione femminile con incentivi fiscali diretti e nuovo welfare in termini di assistenza e di servizi di asili nido. Dobbiamo avere un tasso di partecipazione al lavoro delle donne nettamente più elevato. È un risultato che possiamo conseguire che segna uno spartiacque tra società in declino e società moderne. Su questo siamo molto osservati e saremo giudicati. Per una donna premier conseguire questo obiettivo è di sicuro molto importante e anche simbolicamente può valere molto per l’Italia e per la sua leadership politica.

Se si fanno tutte queste cose, se si mette la testa su queste cose, non sulle cavolate, se lo si fa con metodo e con le persone giuste, se si fa tutto ciò e si consegue anche solo poco più della metà degli obiettivi prefissati, non avremo di certo fatto il miracolo economico e non saremo l’Irlanda che corre all’8%. Avremo, però, raggiunto un risultato enorme. Perché il mondo intero non ci vedrebbe più come il racconto catastrofista italiano ci descrive e, cioè, come un Paese perennemente sospeso tra la vita e la morte. Consolideremmo il miracolo economico, questo sì reale, dei due anni di uscita dal Covid, siamo stati i primi in Europa e tra i migliori al mondo, e dimostreremmo che questo Paese non è più quello dello zero virgola di crescita, ma che ha imboccato un sentiero duraturo fatto di stabilità politica, riforme, investimenti e crescita. A quel punto, anche il maxidebito italiano e la spesa per interessi resterebbero un peso, ma non sarebbero più la grande incognita che grava come un macigno sul futuro di tutti noi.


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