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Con i soldi americani, inglesi e perfino olandesi, non dell’Europa, si agisce per tutelare il sistema Italia da Gioia Tauro a Trieste, non Rotterdam, che in una prima fase si avvantaggia, ma poi paga l’ingolfamento. Siamo di fronte alla pietra tombale del ruolo strategico del Mediterraneo e, affondando Pnrr e rapporto con l’Africa, si decreta la fine del Piano Mattei. Ecco perché ciò che accade assomiglia a una guerra economica all’Europa che non esiste sul piano politico, industriale e militare e paga il prezzo della miopia degli interessi nazionali. Vale anche per Taranto e l’ex Ilva. Per un Paese come il nostro, sprovvisto di materie prime, il Mar Rosso può essere una questione di vita o di morte.

Facciamo ogni giorno i conti con la de-industrializzazione europea che è il prodotto naturale della grande miopia per cui le decisioni politiche vengono prese a livello nazionale. Il dominio politico delle nazioni, espressione o meno che sia di pulsioni sovraniste o di manie di grandeur francese o di crisi strutturale economica e di leadership tedesca, fa sì che le decisioni politiche nel Vecchio Continente vengano prese a livello nazionale e condannano tutti. Perché questo significa che l’Europa non compare proprio tra i player politici del grande gioco segnato da due guerre regionali diventate ormai globali e intrecciate tra di loro. Questo significa che l’Europa non c’è, non esiste, non fa politica industriale europea come gli americani e i cinesi, non ha peso nelle grandi scelte di geopolitica che condizionano tutto.

Alla fine di questo circolo perverso le economie delle nazioni europee pagano tutte un conto molto pesante e l’Italia, in particolare, nonostante la forte resilienza della sua economia esportatrice, rischia di pagare il conto più salato. È in atto una guerra economica all’Europa che paga il prezzo della mancata decarbonizzazione e riconversione del più grande sito siderurgico europeo che era quello italiano di Taranto. Che nemmeno si presenta con una logica europea all’appuntamento cruciale con l’intelligenza artificiale, le sue ricadute industriali e i confini da determinare, e che vede messo in crisi il sistema portuale meridionale europeo che significa per capirci Gioia Tauro e Trieste con tutte le ricadute in termini di logistica, di prezzi delle materie prime e così via.

Se volessimo per un attimo ragionare anche in chiave più italiana, ripetendo lo stesso errore di francesi, tedeschi, olandesi, per non parlare di quelli dei Paesi dell’Est, potremmo semplificare che abbiamo noi due piccoli poli automobilistici, uno di auto di media grandezza al Sud e uno di eccellenza a Modena, ma che è la Francia a dare le carte e quindi fare la nostra consueta polemica con gli amatiodiati alleati d’Oltralpe.

Potremmo dire la stessa cosa per l’acciaio biasimando scelte di alleanze passate e lo scandaloso comportamento di oggi di ArcelorMittal, ma questa partita va tutta riscritta da ora in poi e ci sono i tempi tecnici per cambiare la situazione avendo ovviamente idee chiare e squadra all’altezza. Nel primo come nel secondo caso commetteremmo comunque lo stesso errore di base.

Che è quello di non capire che la competitività delle nostre grandi imprese è legata a un’idea federale di Europa che cambia tutto, che fa politica industriale insieme, che si muove come soggetto politico forte sugli scacchieri oggi cruciali della difesa e della politica di bilancio comuni e di alleanze internazionali che non sono francesi o tedesche, olandesi o spagnole, ma finalmente europee. Questo è il punto. Altrimenti paghiamo il conto cumulato di una serie di fatti tutti geopolitici sui quali non possiamo fare niente perché l’Europa non c’è. Una guerra interna allo Yemen. Una lotta interna all’Islam. Una lotta interna alle grandi potenze per cui gli americani alla voce Biden vogliono scongiurare la guerra lunga o, se volete, la terza guerra mondiale, e quindi fanno prove di deterrenza con raid di missili e caccia colpendo le basi Houti per colpire l’Iran. Che, a sua volta, esprime al massimo livello la crisi del multilateralismo visto che è consentito proprio all’Iran di avere la presidenza dei diritti umani continuando a uccidere impunemente persone e a massacrare ogni diritto delle donne.

Paghiamo, dunque, anche il conto dell’ombra di Trump che torna ad aleggiare sulla Casa Bianca, la crisi dell’Occidente che ha perso il pivot europeo logorato dalla frammentazione, e una caduta di legittimazione e di capacità di governance delle Nazioni unite senza una Banca mondiale o un Fondo monetario all’altezza del nuovo conflitto di civiltà tra tanti Sud più o meno autocratici e un Nord sempre più ristretto e decaduto. Quello che sta accadendo è che Stati Uniti e Inghilterra, qualcosina arriva dall’Olanda, nulla viene dall’Europa, sono intervenuti militarmente perché si fermi l’azione di guerra iraniana nel Mar Rosso andando a colpire in Yemen le basi Houti da cui si colpiscono le navi in transito dal mar Rosso.

Per capirci con i soldi degli americani, degli inglesi e perfino degli olandesi, non dell’Europa, si sta agendo per tutelare Gioia Tauro e Trieste non Rotterdam e Amburgo, che viceversa in una prima fase si avvantaggerebbero, come in misura molto più limitata i porti atlantici francesi e americani. Alla fine, come sempre, è l’intera Europa a perdere. Il blocco di Suez costringe le navi a fare giri molto più lunghi che comportano una navigazione che passa da 10/12 giorni a 16/18 allungandosi fino a Rotterdam e ai porti atlantici, che vuol dire che cambiano i traffici marittimi, che crescono i costi delle assicurazioni sui noli, che aumentano i prezzi delle materie prime e questo incide sulla realizzazione delle infrastrutture strategiche del nuovo Pnrr, che le navi dei cinesi che non sono considerati nemici continuerebbero a passare per il mar Rosso e quelle delle compagnie italiane e del Sud Europa farebbero il giro lungo. Facciamola breve.

Le prime vittime sono Gioia Tauro, Marsiglia, Malta, Barcellona, ma anche tutto il sistema portuale italiano da Venezia a Trieste che è oggi l’unico grande porto di export del Paese grazie all’infrastruttura ferroviaria che raggiunge i mercati del Nord e sarebbe quello più colpito a favore di Rotterdam. Paradossalmente gli olandesi pagano per fare tornare il mar Rosso alla normalità senza il quale noi siamo morti e loro si avvantaggerebbero. Alla fine, però, c’è un rischio di ingolfamento che peserebbe anche su Rotterdam e Amburgo perché il giro lungo incide sulla capacità di aumento di traffico di una nave visto che impiegherebbe il tempo di un viaggio e mezzo/ due al posto di uno. Per i porti del SudEuropa ai costi e ai danni determinati dal blocco di Suez si aggiungerebbero quelli della entrata in vigore della tassa ambientale europea sul transito delle navi che varrebbe per questo lato del Mediterraneo, non per quello opposto.

Saremmo di fronte alla pietra tombale del ruolo strategico che il mare nostrum dovrebbe avere nel mondo capovolto e, affondando Pnrr e rapporto con l’Africa, si decreterebbe in partenza la fine del Piano Mattei. Ecco perché tutto quello che sta accadendo sul piano geopolitico, assomiglia a una guerra economica all’Europa toccandone Nord e Sud come solo la miopia degli interessi nazionali impedisce di cogliere. È la stessa cosa che vale per Taranto e l’ex Ilva. Dove c’è la possibilità di realizzare un impianto eolico off-shore unico al mondo e fare del sito pugliese il primo produttore di acciaio verde certificato in Europa.

Questo ovviamente esige una visione intersettoriale da parte di chi ci governa, ma soprattutto esige una politica industriale europea comune che si libera delle bardature ideologiche e delle sterili contrapposizioni nazionaliste, ma soprattutto opera in una logica unitaria come sta facendo l’America con l’Inflation Reduction Act e riconosce al Mediterraneo un ruolo strategico per fare ripartire davvero l’Europa. Questo significa portare avanti davvero il Piano Mattei e farne un asse strategico europeo. Non lo fai di certo delocalizzando dalla Cina al Vietnam. Questo significa occuparsi davvero del costo delle materie prime che mettono in crisi un Paese esportatore come l’Italia e mettono a rischio la revisione strategica del Pnrr. Questo significa capire quanto vale la logistica nella nuova globalizzazione. Gli americani e gli inglesi lo hanno capito, l’Europa balbetta anche dal punto di vista militare. Per un Paese come il nostro sprovvisto di materie prime il mar Rosso è una questione di vita o di morte. Prima lo capiamo, meglio è.


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