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Carlos Tavares, CEO di Stellantis

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Il capo di Stellantis dice che, senza i sussidi italiani appena annunciati, sono a rischio Mirafiori e Pomigliano d’Arco. È troppo e dà forza a chi sostiene che Stellantis ha già deciso di scommettere molto di più su Paesi esteri come Marocco, Algeria, Serbia, e molto meno sull’Italia. Non si tratta di scendere sul terreno scivoloso del ruolo degli Stati dentro una grande multinazionale, ma di prendere atto che Marchionne scommetteva sulle piattaforme globali, ma investiva in tecnologia negli stabilimenti italiani, soprattutto su quelli meridionali, e che ora non è più così. Questo quadro va ribaltato bandendo propagande e doppi giochi con un’operazione verità industriale.

Non abbiamo mai creduto che Stellantis è nelle mani del governo francese come si dice spesso semplificando e siamo pienamente consapevoli che la partita dell’auto del futuro si gioca a livello globale. Non vogliamo confondere questioni industriali con questioni politiche-governative di rapporti di forza tra Stati che pure continuano a pesare in un’Europa che fa fatica a diventare federale. Conosciamo perfettamente l’azionariato del gruppo, con Exor, PSA e la Cdp francese, BpFrance, per cui lo Stato d’Oltralpe è presente due volte dentro PSA con un 12% e direttamente con il suo braccio finanziario (6,6%), ma il primo azionista è italiano ed è privato (Exor).

Quello che, però, francamente, proprio non va giù è che il giorno in cui il governo italiano annuncia il raddoppio degli incentivi per l’auto elettrica mutuando praticamente in tutto il modello francese, il capo di Stellantis, Carlos Tavares, arrivi a dire che si usa il mandato francese come capro espiatorio e che senza i sussidi italiani per l’elettrico, appena annunciati, sono a rischio Mirafiori e Pomigliano d’Arco. Questo ci sembra davvero troppo perché ha il sapore di un insopportabile ricatto e dà indirettamente forza a chi sostiene che Stellantis, che ha dentro di sé il pezzo storicamente più importante dell’industria italiana, l’auto degli Agnelli che ha segnato le stagioni dell’economia italiana nel bene e nel male, ha già deciso di scommettere molto di più su Paesi esteri come Marocco, Algeria, perfino Serbia, e molto meno sull’Italia.

Non si tratta, a nostro avviso, di scendere sul terreno scivoloso del ruolo degli Stati dentro una grande multinazionale, ma si tratta piuttosto di prendere atto che la stagione di Marchionne che scommetteva sulle piattaforme globali, ma investiva in tecnologia negli stabilimenti italiani, soprattutto su quelli meridionali, è finita o, per lo meno, è profondamente sottovalutata nei programmi di sviluppo del nuovo gruppo automobilistico.

Quello che proprio va evitato è una nuova tornata di contese muscolari per sgombrare il campo dalle ombre di lotte intestine tra i due Paesi alimentate da Africa e Mar Rosso e fare invece emergere le reali contraddizioni industriali che al momento caratterizzano le scelte di investimento. È necessario, a questo punto, obbligatorio proprio perché sono in gioco Pomigliano d’Arco e Mirafiori e, con loro, un pezzo di futuro della nostra industria. Da questa operazione verità nessuno può tirarsi indietro. Non sono ammessi doppi giochi e, speriamo, siano bandite le propagande.


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