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Possiamo continuare a dire che non è successo niente, ma ignoriamo la realtà: questo risultato è frutto della spinta clamorosa dal 2017 a oggi di Industria 4.0 e della filiera di bonus edilizi dal 2021. Si mettano subito in funzione i nuovi Industria 5.0, recuperati da Fitto con il Repower Eu, e si diano alle imprese le certezze dell’abito su misura di cui hanno bisogno. Si acceleri, come si sta facendo, sui 144 miliardi di Pnrr da spendere entro il 2026 di certo prorogati al 2028. Siamo usciti dall’austerità ottusa. Questo asso nella manica è solo italiano. Governo e opposizioni non lo sprechino.

Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa SanPaolo, ha una virtù rara tra gli economisti. Riesce a farsi capire con l’immediatezza dei numeri e la chiarezza dell’esposizione senza mai deviare dal rigore delle analisi. Per capire che qualcosa di più profondo di quello che si immagini è cambiato nell’economia italiana, come chi scrive sostiene da tempo in quasi assoluta solitudine, bisogna semplicemente scorrere le elaborazioni di Intesa SanPaolo sugli investimenti usando una fonte non discutibile qual è Eurostat. Sono contenute in un rapporto titolato “Lo scenario per le imprese italiane: gli investimenti per le sfide di domani”.

I numeri del rapporto più che parlare, urlano: gli investimenti italiani sono cresciuti dal 2016 al 2023 del 35,7% contro un +4,5% della Germania. Per capire fino in fondo di che cosa stiamo raccontando, il forte recupero del ritardo negli ultimi sette anni, basta andare a vedere che cosa è successo dal 2008 al 2023 con un’Italia che cresce del 5,3% rispetto al +14,9% della Germania.
Vogliamo fare finta che non è successo questo +35,7%? Vogliamo dire che non è vero? Chi ce lo impedisce? Nulla, vista la confusione imperante, tranne la verità che ancora qualcosina dovrebbe contare. La quale dice semplicemente che questi dati straordinari sono stati prodotti dalla più importante riforma strutturale degli ultimi anni che riguarda la incentivazione fiscale (Industria 4.0) a sostegno delle imprese che produce effetti rilevanti dal 2017 e risente, dal 2021, anche degli effetti del superbonus producendo il risultato cumulato di fare crescere gli investimenti in macchinari, robotizzazione dei processi produttivi, mezzi di trasporto e innovazione di prodotto, sempre sopra Germania e Francia anche nel biennio 2022/2023.

Un dato, quest’ultimo, molto importante perché arriva dopo avere recuperato tantissimo dal 2016 riuscendo a chiudere i conti con la più brutta pagina dell’economia italiana che non è quella dell’austerità, in certi momenti necessaria, ma dell’austerità ottusa che pure c’è stata e ha fatto molti danni all’economia italiana durante la stagione della crisi dei debiti sovrani dilatata all’infinito.

Ce la facciamo a dire, nonostante il coro delle cassandre in servizio permanente effettivo, che la ripresa italiana potrà continuare a contare su un recupero del potere di acquisto delle famiglie perché l’occupazione tiene e i salari nominali aumentano? Perché, come ha voluto sottolineare il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ricordando proprio ieri l’attualità dell’insegnamento di Luigi Einaudi, le tensioni inflazionistiche sono rientrate più velocemente del previsto e, quindi, la discesa dei tassi di interesse è imminente visto che c’è finalmente il consenso su questa scelta anche dentro il Consiglio della Bce? Vogliamo mettere in discussione anche quello che dice uno del calibro di Panetta che è costitutivamente informato dei fatti?

Il boom italiano è studiato nel mondo e quasi ignorato in casa, sono stati raggiunti i livelli massimi di occupazione da quando si fanno le rilevazioni statistiche e solo nel 2023 si sono ridotte le diseguaglianze di 16/17 punti. Ha ovviamente usufruito di una spesa effettiva da Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) di 21,1 miliardi che è sicuramente rilevante, ma è la metà dei 40,9 previsti. È un dato, anche questo, che ci deve fare riflettere, ma che non può impedirci di sottolineare che da oggi al 2026, e con la certa proroga fino al 2028, di miliardi da spendere grazie al Pnrr l’Italia ne ha altri 144. Sì, avete capito bene, 144 miliardi.
Questa è la sfida capitale che ha davanti a sé il governo Meloni e che l’opposizione ha l’obbligo economico e il dovere morale di contribuire a fare in modo che l’Italia, non il governo della Destra, possa vincerla. Ha un dovere morale addirittura doppio per due ragioni. La prima è che un’occasione simile non la avremo più se non dimostreremo di sapere sfruttare l’opportunità storica che ci è stata data. La seconda è che il ministro Fitto, con un mandato pieno e lungimirante della premier, ha preso il toro per le corna e ha avviato la ricostruzione della macchina pubblica italiana degli investimenti. Si sono messe finalmente insieme tutte le risorse europee sottraendo l’utilizzo dei fondi di coesione e sviluppo alla rapina della spesa corrente clientelare, una specie di voto di scambio, con la quale Regioni e ministeri negano l’infrastruttura di cittadinanza, lo sviluppo e il lavoro di qualità ai territori meridionali.

Abbiamo motivo, quindi, di essere cautamente ottimisti. A patto che lo stesso governo che ha avuto il merito con Repower Eu di riscrivere il Pnrr e ritagliare 21 miliardi a sostegno della crescita, che altrimenti non ci sarebbero stati, si affretti ad emanare, diremmo ad horas, il regolamento per i 6 e passa miliardi di incentivi 5.0 che ha provvidenzialmente inserito dentro il Repower Eu. Il regolamento va fatto all’istante perché l’utilizzo di questa potentissima leva fiscale per un imprenditore è un po’ come quando si deve comprare un abito e manca una settimana ai saldi. Le regole, insomma, vanno chiarite subito perché solo così il meccanismo scatta e produce i suoi effetti.


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