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Il Presidente del Consiglio Mario Draghi

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1) Permettere all’impresa di fare il progetto esecutivo.
2) Sede unica per il momento autorizzativo.
3) Sequenza sistematica degli stadi di avanzamento.
4) Certezza delle fonti di finanziamento
5) Poteri di richiamo dello Stato su stazione appaltante e esecuzione dei lavori. Chiunque si permettesse di ripetere le scenette penose di propaganda sull’ora del coprifuoco anche sul decreto della nuova governance del Recovery Plan si metterebbe fuori dall’interesse nazionale e condannerebbe il Paese al default. Al decreto stanno lavorando Presidenza del Consiglio, Mef e Infrastrutture

Oggi per superare in Italia la fase autorizzativa di un’opera che non vuol dire aprire un cantiere, servono mediamente trenta mesi.

Il modello attuale che è l’emblema della débâcle italiana nella capacità di fare investimenti pubblici, funziona più o meno così. Arriva il progetto delle Ferrovie al Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità sostenibili e da qui va al Consiglio dei lavori pubblici che lo esamina.

Contestualmente la copia del progetto viene trasferita al Ministero dell’Ambiente (per la valutazione di impatto ambientale) e al Ministero dei Beni culturali che deve rilasciare il suo invalicabile parere. Il Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità sostenibili è autorizzato a diramarlo, a sua volta, a tutte le amministrazioni interessate. Scattano sei mesi per ricevere da ognuno di questi ministeri le eventuali osservazioni.

Quando ciascuno ha fatto il suo, c’è finalmente la conferenza dei servizi organizzata dalla struttura tecnica di missione del Ministero delle Infrastrutture. Richiama al tavolo tutti i soggetti interessati: le Regioni, la Provincia, tutti i Comuni coinvolti, tutte le società direttamente impegnate nell’opera e qui, per amore della verità, a dare il meglio in distinguo, lese maestà e molto altro sono le solite Regioni.

Finito questo giro dantesco infernale il plico viene confezionato e rimandato al Dipartimento della politica economica (Dipe) di Palazzo Chigi che lo ri-istruisce da capo a fondo e ne ridiscute con il Ministero dell’Economia e Finanze (Mef) per verificare che le coperture siano adeguate. Se tutto è a posto, il progetto viene inoltrato al Cipe che lo approva, fa una delibera e lo rimanda al Mef. Che a questo punto lo bollina e lo rispedisce alla Presidenza del consiglio che lo prende e lo trasferisce alla Corte dei conti.

I magistrati contabili riverificano di nuovo tutto e registrano il progetto autorizzato sulla Gazzetta Ufficiale. Se vi ricordate nel frattempo qual è l’opera siete potenzialmente vincitori di un premio all’enalottto.

Non ha nessuna rilevanza né per il vincitore né per tutti i soggetti interessati che in quei trenta mesi il Pil generabile da quell’opera si è smarrito e che questa ripetuta, sistemica assenza di attivazione della spesa pubblica produttiva ha avuto come effetto collaterale che negli ultimi anni 120 mila imprese sono fallite e 600 mila persone hanno perso il lavoro nel comparto delle costruzioni.

Sugli 82 miliardi di opere commissariate ad avere almeno un progetto di massima e, tanto meno, esecutivo tali, cioè, da superare la verifica europea imposta dal Recovery Plan, sono in Italia opere per un valore globale di 13,1 miliardi di cui al Mezzogiorno per 4,1 miliardi. Questa è la realtà, il resto sono storie o propaganda.

Questo giornale è in grado di anticipare le parti salienti della bozza del decreto “Disposizioni urgenti in materia di accelerazione degli investimenti pubblici” che è la rivoluzione di cui il Paese ha bisogno quasi più della scelta di questa o quella opera ferroviaria, stradale, idrica, digitale, ecologica da inserire nel Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr).

Qui si fanno o si disfano le speranze di rinascita del Paese. Sono al lavoro Presidenza del Consiglio, Mef e Ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile. Vi proponiamo di seguito i cinque punti salienti.

1) La possibilità di migliorare il decreto legge 76 sulle semplificazioni di Conte che consente di mettere in gara un progetto di massima arrivando fino a permettere all’impresa di fare il progetto esecutivo;

2) La possibilità di aggregare al massimo il momento autorizzativo creando una sede unica dove vengono raccolti tutti i pareri e tutte le autorizzazioni in trenta massimo sessanta giorni. Tutti i soggetti coinvolti nel racconto della débâcle italiana fatto sopra, si accomodano nella commissione unica a Palazzo Chigi compreso il rappresentante dell’Anac, l’Autorità nazionale anti-corruzione, perché tutto il processo autorizzativo deve avvenire con la massima trasparenza e si deve tradurre in una decisione che non vada oltre i 60 giorni;

3) Tutti questi soggetti si impegnano a garantire la sequenza sistematica degli stati di avanzamento dei lavori in modo da rispettare la direttiva europea n. 240 del 2021 che elenca i vincoli per l’accesso ai fondi europei del Recovery Plan

4) La certezza delle fonti di finanziamento chiarendo sin dall’inizio le distinte coperture sia quelle garantite dal Recovery Plan sia quelle garantite in più occasioni dal ministro Franco con il suo piano parallelo che impiegherà le risorse pubbliche con le stesse regole del Pnrr.

5) Procedure di aggiudicazione e di esecuzione degli appalti fortemente snellite con poteri di richiamo dello Stato se la stazione appaltante non rispetta i tempi per affidare le opere e/o se l’impresa non esegue i lavori secondo il calendario preventivato.

Siamo davanti a una sfida epocale. Che è poi l’unica possibile per evitare che il grande malato d’Europa, che è l’Italia, diventi la polveriera del mondo. Per capire l’entità della sfida la Francia ha a disposizione 40 miliardi di Recovery Fund e ne mette a fianco 60 di suo, noi come Italia riceviamo dall’Europa 191 miliardi e ne mettiamo di nostro tra 35 e 40.

Chiunque si permettesse di ripetere le scenette penose di propaganda sull’ora del coprifuoco anche sul decreto della nuova governance del Recovery Plan si metterebbe fuori dall’interesse nazionale e condannerebbe al default il Paese. Visto che tutti si occupano di propaganda politica e pochi del futuro dei nostri giovani abbiamo voluto mettere i puntini sulle i.

Sulla governance a Palazzo Chigi del Recovery Plan si è fatto cadere il governo Conte. Si abbia l’intelligenza di capire che questo decreto in fase di elaborazione esprime la sintesi di uno Stato finalmente decisionale che sceglie insieme in tutte le sue ramificazioni istituzionali e societarie e non delegando poteri e procedure peraltro inadeguate al sottosegretario amico suo.

Cambiare l’Italia e riunificarla nella spesa infrastrutturale e sociale è possibile se i partiti non faranno il solito ostruzionismo e la solita propaganda.

Questa nuova governance è la prima delle riforme di cui questo Paese ha vitale bisogno per attuare il progetto integrato di rinascita del Paese. Non sono ammessi scherzi.


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