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Della Vedova, Letta e Calenda

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Se si continua a inseguire un gregge che si sposta di qua e di là senza alcuna razionalità, il centro sinistra ha già perso in partenza non perché i sondaggi lo danno indietro ma perché ha sbagliato proposta politica. Bisogna lavorare sull’idea e sul progetto Paese entrando nei temi e spiegandoli. Con l’esperienza del governo di unità nazionale sono cambiate molte più cose di quelle che ci possiamo immaginare e gli italiani vogliono da chi ci governerà competenza e credibilità. Il contesto della doppia grande crisi sanitaria e economica di origine bellica li spinge non a chiedere prebende ma cambiamenti strutturali, li spinge a pretendere che non si dissipi il credito internazionale perché ormai sanno bene quanto vale per rimuovere vincoli alla crescita interna e migliorare la qualità della loro vita

Enrico Letta è di sicuro uno dei pochi leader politici su piazza con visione internazionale e solidi ancoraggi europeisti. Mi ha sempre colpito che fosse praticamente, oltre a Renzi, l’unico capo di partito tra quelli che hanno sostenuto il governo di unità nazionale a parlare di Draghi come la carta estrema e, ancora di più, a sottolineare che mancava in Italia la percezione di quanta credibilità quest’uomo aveva nel mondo e, di contrappasso, il rischio a cui si esponeva il Paese in caso di fallimento della sua esperienza di governo.

Possiamo e vogliamo anche aggiungere che, a parte alcune esitazioni di ordine tattico nella vicenda complicata del Quirinale e la scelta di assecondare pulsioni interne del suo partito su temi importanti ma non di strettissima attualità, Enrico Letta e il suo Pd di non facile gestione per un tratto costitutivo irrisolto sono stati obiettivamente gli alleati più consapevoli dell’azione di governo di Draghi fatta di pragmatismo, fiducia, credibilità che sono l’altra faccia della vera medaglia conquistata sul campo.

Che è quella di dare risposte concrete ai problemi concreti in tempi ragionevoli. Questo è il vero segreto del miracolo economico italiano attuato in poco più di un anno e mezzo coniugando sostegni al potere d’acquisto delle famiglie e alla competitività delle imprese con un percorso riformatore compiuto che ha avuto battute di arresto politiche ma non si è mai fermato. Non ci è riuscito a fermarlo, se non in minima parte, neppure il ritiro della fiducia da parte dei capi del populismo di destra e di sinistra che è avvenuto peraltro nascondendosi e rinfacciandosi fintamente le responsabilità.

Quel solco tracciato da Draghi è la griglia obbligata del futuro di questo Paese, ovviamente le volontà politiche ci vorranno mettere il segno delle loro sensibilità, e chi più di tutti ne ha la piena consapevolezza è di sicuro Letta. Per questa ragione, pur comprendendo le esigenze determinate dal sistema elettorale italiano (Rosatellum) che contrasta la solitudine e spinge a allargare le coalizioni, è bene che il segretario del Pd si renda presto conto che la sua priorità strategica è vendere un’idea e un progetto Paese, non inseguire la sua sinistra interna e soddisfare gli appetiti loro e dei loro amichetti dentro e fuori che sono incompatibili con quell’idea e con quel progetto obbligati di Paese.

L’accordo con Sinistra italiana e Verdi si inserisce in questa zona grigia che non aiuta la visibilità del Partito democratico e la coerenza della sua leadership. Che si indebolisce a livello internazionale, e questo è puro autolesionismo, ma inevitabilmente rischia di dare la sensazione di essere la leadership di chi va di qua e di là senza sapere bene dove andare. Questo è il pericolo più grande che corre Letta e l’intero centrosinistra che dovrebbero invece rivendicare con forza i risultati di un governo che ha fatto la spending review senza dirlo liberando 52 miliardi di aiuti non facendo nemmeno un piccolo scostamento di bilancio e che ha capitalizzato il patrimonio di fiducia e di credibilità in un semestre d’oro 2022 di crescita (+3,4% quella acquisita) dopo un anno precedente (2021) chiuso a livelli record (+6,6%).

Non si vince tenendo il centro della scena a tutti i costi assecondando promesse e trasformismi, come già avviene alla grande in parti rilevanti dello schieramento opposto, ma piuttosto facendo un discorso serio che è una straordinaria occasione non per inseguire pasdaran o includere soggetti politici a cui Draghi dichiaratamente non va bene, quanto piuttosto per fare tornare a votare chi vuole ragionare, non sventolare bandierine. Se si continua a inseguire un gregge che si sposta di qua e di là senza alcuna razionalità, il centro sinistra ha già perso in partenza non perché i sondaggi lo danno indietro ma perché ha sbagliato proposta politica. Bisogna lavorare sull’idea e sul progetto Paese entrando nei temi e spiegandoli. L’ambientalismo certo che è ai primi posti del programma, ma ci vuole una transizione e il quadro geopolitico non permette di venire a patti con chi nega l’esigenza di una transizione.

Ci vollero cento anni per passare dal cavallo all’automobile con in mezzo la ferrovia e un sacco di altre cose intermedie. Ritenere che tutto si possa risolvere passando da un colore a un altro, vuol dire non sapere come funziona il mondo. Con l’esperienza del governo di unità nazionale sono cambiate molte più cose di quelle che ci possiamo immaginare e gli italiani vogliono da chi ci governerà competenza e credibilità non le solite spending review all’italiana dove c’è sempre qualche associazione che ha bisogno di qualcosa per promuovere il baco da seta o premiare la lumaca più bella del mondo. Il contesto della doppia grande crisi sanitaria e economica di origine bellica li spinge non a chiedere prebende ma cambiamenti strutturali, li spinge a pretendere che non si dissipi il credito internazionale perché ormai sanno bene quanto vale per rimuovere vincoli alla crescita interna e migliorare la qualità della loro vita. Il taglio dell’outlook sull’Italia da stabile a negativo di Moody’s, al di là della sua evidentissima opinabilità, è frutto della caduta immotivata del governo Draghi e dei dubbi che accompagnano la nuova stagione politica post voto sulla capacità di proseguire o meno nella capacità di fare le cose nei tempi stabiliti. Di fare o meno la crescita che serve a ripagare il debito. Questo, non altro, fa la differenza.


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