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Mario Draghi

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Siamo passati essenzialmente in modo brutale dall’idea che il mondo si era fatto dell’Italia di un Paese finalmente normale all’idea di un Paese che ritorna ai vecchi cliché magari esagerando, di certo in parte a torto ma in parte anche a ragione. Se ci sentono parlare di promesse elettorali da centinaia di miliardi quando dovremo fare la legge di bilancio più difficile degli ultimi dieci anni con un punto di deficit in più di partenza per la minore crescita, la percezione sull’Italia cambia. Ormai la frittata è fatta e dovrebbe anche risponderne un po’ davanti agli elettori chi ha fatto la frittata. Perché non si può fare in poco più di un anno e mezzo tutto quello che serve per raddrizzare un Paese, si può fare un miracolo ed è quello che è stato fatto, ma per raddrizzare davvero un Paese ne servono almeno cinque di anni e un altro annetto sarebbe stato davvero molto importante per blindare i cambiamenti in atto.

La fine del Governo Draghi per miopi calcoli elettorali

Siamo destinati a rallentare. Il resto del mondo rallenta e questa è una cattiva notizia anche per un Paese esportatore come il nostro estremamente duttile. Quello stesso Paese che nel primo semestre dell’anno invece della recessione profonda prevista da tutti ha fatto la principale crescita europea. Purtroppo, noi ci abbiamo messo del nostro in questo rallentamento facendo cadere per miopi calcoli elettorali il governo del miracolo economico italiano che è il governo Draghi.

Altro ce ne stiamo mettendo di nostro e, ahinoi, con questo livello di campagna elettorale ancora di più rischiamo di mettercene per aggravare la situazione. Il cambiamento improvviso del quadro politico ha messo fuori gioco una leadership italiana riconosciuta nel mondo come mai prima. Determina un raffreddamento degli entusiasmi in economia, incide sulle scelte degli investitori globali e, alla lunga, sulla fiducia che è il motore dei consumi e degli investimenti interni.

Il cambio di outlook dopo l’annunciata fine del governo Draghi

Anche il cambio di outlook da stabile a negativo sull’Italia dell’agenzia di rating americana Moody’s riflette una valutazione che riguarda esclusivamente la componente politica. Perché con una crescita record, un deficit che scende, un rapporto debito/Pil che migliora più delle aspettative e l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza che ha centrato tutti gli obiettivi, non c’è spazio ragionevole per un cambio di giudizio sull’Italia che non sia influenzato da altro che non coincida con i rischi di una nuova stagione di incertezza politica. Legata essenzialmente a un ragionamento del mondo finanziario internazionale che giudica molto negativamente l’operato dei partiti populisti italiani.

Perché hanno chiuso l’esperienza del governo di unità nazionale nascondendosi l’uno dietro l’altro. Perché in queste manovre scorgono il tentativo maldestro di riaprire stagioni di spesa facile e deriva anti europea che ritenevano chiuse per sempre. Non vorremmo turbare il festival delle parole al vento di questa pazza campagna elettorale estiva dove ci si confronta quotidianamente a botte di regali agli italiani da decine se non centinaia di miliardi sorvolando sul fatto che abbiamo appena 2700 miliardi di debito pubblico e che si sta esaurendo l’efficacia dell’azione del moltiplicatore interno, generato dalla fiducia che famiglie e imprese riponevano nella leadership europea e nella capacità di gestione della economia di Draghi e dei suoi più diretti collaboratori a partire dal ministro Franco.

La realtà economica degli altri Paesi europei e mondiali

La realtà è che la Germania è in stagnazione da due trimestri e non dà segni di ripresa, la Gran Bretagna non va bene, la Cina non è quella dei tempi migliori, l’America nonostante la cura da cavallo sui tassi per combattere l’inflazione continua per fortuna a buttare soldi in economia. La guerra in Ucraina e le tensioni in estremo oriente aumentano l’incertezza globale e generano spinte inflazionistiche e, soprattutto, di caro energia che fanno molto male a tutta l’economia europea e pesano ovviamente su quella italiana.

Nonostante il governo Draghi sia stato indubitabilmente quello che meglio della Germania e degli altri Paesi europei ha saputo diversificare le sue fonti di approvvigionamento fuori dalla Russia di Putin.

Il Governo Draghi istituzionalmente alla fine ma ancora in carica non si limita agli affari correnti

Vogliamo essere molto chiari. Il governo Draghi tutt’ora in carica non si sta affatto limitando al disbrigo degli affari correnti. Non si sarebbe arrivati a toccare i 52 miliardi di aiuti al potere di acquisto delle famiglie e alla competitività delle imprese senza scostamento di bilancio e non si sarebbe accelerato nell’attuazione di tutti i target europei se il governo Draghi avesse voluto tirare i remi in barca, ma è un dato di fatto che se fosse rimasto in carica con pieni poteri fino a gennaio il credito internazionale che vale tantissimo in giro per mondo ed è legato esclusivamente a questo governo avrebbe rafforzato nella comunità internazionale l’idea di un’Italia che è diventata un Paese normale.

Quanto possa valere questa convinzione in termini di riduzione dei vincoli interni alla crescita è di tutta evidenza. Fa la differenza tra appiattimento e piccola crescita, tra piccola crescita e crescita vera in controtendenza. Lo sanno bene i ceti produttivi più internazionalizzati, ma anche le famiglie italiane e i nostri giovani cominciavano a percepire che l’aria intorno al nostro Paese stava cambiando, ne constatavano i frutti. Qualcosa di questo lavoro prezioso si vedrà ancora nel terzo trimestre tra leggermente positivo e piatto, ma quando si arriverà al quarto trimestre il conto della follia politica italiana si vedrà tutto.

Lo shock del passare da un Paese finalmente normale ad un Paese instabile

Siamo passati essenzialmente in modo brutale dall’idea che il mondo si era fatto dell’Italia di un Paese finalmente normale all’idea di un Paese che ritorna ai vecchi cliché magari esagerando, di certo in parte a torto ma in parte anche a ragione. Se ci sentono parlare di promesse elettorali da centinaia di miliardi quando dovremo fare la legge di bilancio più difficile degli ultimi dieci anni con un punto di deficit in più di partenza per la minore crescita, la percezione sull’Italia cambia. Questo vuol dire che le multinazionali interessate a investire in Italia cambiano direzione perché il futuro del nostro Paese non si costruisce solo con gli investimenti fondamentali del Pnrr, ma anche con gli investimenti che vengono da fuori e che la nuova guida della politica economica italiana era riuscita a catalizzare.

Serve una buona amministrazione che si stava ricostruendo, ma che è cruciale perché deve lavorare tutti i giorni e deve farlo in modo nuovo non più al servizio di questa o quella clientela politica e non, vecchia o nuova che sia. Perché bisogna mettere a frutto quello che si è saputo fare sul gas con un grande gioco di squadra in mezzo mondo a 360 gradi di governo, Eni, Snam facendo subito i rigassificatori a Piombino e ovunque servano, non mollando di un millimetro sugli stoccaggi interni (siamo al 74%, a fine settembre a questo ritmo si è al 90%) proprio come ha fatto il governo Draghi che non ha esitato a mettere 4 miliardi statali quando ha visto che i privati esitavano e il meccanismo poteva entrare in crisi.

Perché economicamente siamo messi meglio della Germania?

Siamo messi molto meglio della Germania perché anche in questo l’esecutivo italiano è stato più bravo di quello tedesco. Queste cose fanno la differenza in termini di geopolitica rispetto alle scelte di centinaia di migliaia di imprese straniere multinazionali. Incidono sul modo in cui scelgono di fare gli investimenti. Se cambia come era cambiata la percezione del Paese, allora centinaia delle loro decisioni di fare nuovi impianti e di dove allocarli riguarderanno l’Italia, altrimenti no. Se c’è una determinata percezione allora si decide di fare ricerca in Italia, di fare investimenti in Italia, se questa percezione si incrina allora tornano a investire in Slovacchia tanto per fare un esempio. La scelta di investire sull’Italia era esattamente quello che stava succedendo.

Chine è causa dovrebbe rispondere agli elettori della fine del Governo Draghi

Ormai la frittata è fatta e dovrebbe anche risponderne un po’ davanti agli elettori chi ha fatto la frittata. Perché non si può fare in poco più di un anno e mezzo tutto quello che serve per raddrizzare un Paese, si può fare un miracolo ed è quello che è stato fatto, ma per raddrizzare davvero un Paese ne servono almeno cinque di anni e un altro annetto sarebbe stato davvero molto importante per blindare i cambiamenti in atto.

Serviva molta compattezza a livello nazionale e a livello europeo per proseguire accelerando sulla strada intrapresa. Qualsiasi nuovo team a livello europeo deve farsi conoscere, deve cominciare a capire i problemi, deve iniziare a trattare. Per questo, bisogna avere molta attenzione nella valutazione del rischio politico perché l’Italia dovrà operare in un contesto difficilissimo. Perché c’è sempre la guerra; perché il prezzo del gas resta dieci volte quello di due anni fa; perché l’inflazione è alta e aumentano i tassi di interesse in tutto il mondo. Sarebbe stata una situazione difficile anche per il governo Draghi che avrebbe avuto molte difficoltà a gestire le difficoltà, il bisticcio di parole è voluto, ma di sicuro è stato fatto e si sta facendo tutto quello che si poteva fare per tener su l’economia senza scorciatoie demagogiche che sono pericolosissime.

Chi verrà dopo Draghi dovrà scontare almeno all’inizio una minore credibilità

Ora se la dovrà vedere un nuovo team e questo vuol dire inevitabilmente bloccare le attività di governo per un po’. Non sappiamo chi farà parte del nuovo team, magari saranno bravissimi, ma è probabile che almeno all’inizio siano meno credibili per il mondo, se non altro dovranno farsi conoscere. Il segnale di Moody’s trasmette un’indicazione chiara: il mondo internazionale sta lì a guardarci ed è pronto a punirci anche eccessivamente. Come ha dimostrato la reazione del ministero dell’Economia e finanze (Mef) che ne ha contestato il verdetto. Però, resta il fatto che siamo davanti a una brutta cosa. Attraverso Moody’s il mondo sta mettendo le mani avanti. Dobbiamo essere noi in grado di dimostrare che sbagliano, non a parole. Tutto questo perché qualcuno ha voluto rompere il giocattolo. Questo qualcuno un prezzo lo deve pagare. Ricordiamocelo nell’urna a settembre.


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