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Matteo Salvini

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Sappiamo che la Meloni sta con la Nato e che Salvini non ha mai visto Putin. Ma nel centrodestra siamo a un momento di iniziale scontro per chi vuole avere un potere particolare e non importa molto delle cose da fare perché viene prima il potere. Sul fronte opposto il campo largo, da Casini a Fratoianni, si pone il problema delle cose da fare ma le distanze al loro interno sono incolmabili e prevale la confusione. Ci sarà ancora Mario Draghi, ma solo per il disbrigo degli affari correnti. Abbiamo un mese di tempo per cambiare rotta. Perché tutti quelli che aspirano a prendersi il governo più difficile della storia repubblicana si degnino almeno di fare un programma serio. Si impegnino a mettere per iscritto di quanto vogliamo crescere, quanta occupazione saranno capaci di creare, come vogliono tenere i conti pubblici sotto controllo, qual è il rapporto che intendono avere con il resto dell’Europa, come opereranno per fare politiche comuni. Non è facile fare ciò in una campagna elettorale che dura solo un mese, ma hanno l’obbligo di farlo

Sono tutti alla ricerca di slogan per vincere le elezioni. Come governeranno non lo sappiamo. La stravaganza è la voglia di andare al governo di questi tempi che farebbero venire i brividi a chiunque. Emergono temerarietà e voglia di potere sganciate da un minimo di senso di responsabilità collettivo. Che, se non altro, mitigherebbe la televendita dei sogni che è il peggiore vizio italiano perché prescinde dalle priorità del mondo reale, diseduca le coscienze, condiziona negativamente   il dibattito della pubblica opinione.

Si parla di pensioni a mille euro per le nostre mamme che hanno lavorato sempre in casa. Si parla di abbassare le tasse e di flat tax incrementale che nessuno ha capito bene che cosa significa. Questi partiti che fabbricano parole e vendono sogni magari hanno pure ragione se il metro di giudizio è solo quello di strappare voti e se si parte dal presupposto che gli italiani non hanno consapevolezza che stiamo vivendo il nuovo ’29 mondiale dove un conflitto di civiltà tra mondo autocratico e mondo libero ci proietta negli abissi della grande recessione globale, disarma la politica monetaria, chiede ai Paesi leadership di rilievo internazionale capaci di parlare un linguaggio comune e timonieri competenti perché le barche delle economie nazionali sono in navigazione tra flutti tempestosi. Questo vale per tutte le economie, ma vale ancora di più per quelle che hanno accumulato maggiori debiti pubblici e si presentano con maggiori squilibri interni. È il   caso dell’Italia.

Prendiamo il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) che è finanziato con debito comune europeo.  Anche qui come con le tasse se ne parla in modo strumentale in una logica politico-elettorale. In realtà è un complesso di misure che sono per 80 miliardi un regalo se si fanno le cose perbene. Il resto è un prestito molto conveniente a tassi molto bassi a lunghissima scadenza che erano vantaggiosissimi prima e lo sono ancora di più ora per quello che sta accadendo con la politica monetaria che rialza i tassi per contrastare l’inflazione post-bellica, figlia dei ricatti energetici di Putin alle economie europee. Dentro il Pnrr ci sono progetti straordinari di grandi infrastrutture già decisi   che possono riunire le due Italie restituendo al nostro Paese una leadership geopolitica a livello europeo e globale e un pacchetto decisivo di riforme di struttura che sono necessarie per recuperare lo storico divario competitivo e tornare a creare lavoro sano come si è già cominciato a fare. Sono impegni italiani assunti in sede europea a fronte di generosi finanziamenti sui quali si gioca la serietà di un Paese che è la quota più rilevante della sua credibilità internazionale. 

Se uno torna indietro su questo itinerario è un problema. Se cambi le riforme è un problema, ma lo è meno se dimostri di volerle cambiare in meglio. Non è impossibile discutere e intendersi con coloro che sono stati demandati dalla Commissione europea a vigilare sull’attuazione del programma entro certi binari.

Più si vuole assecondare la componente locale che dice “dateci i soldi e poi decidiamo noi” peggio è perché ogni intervento concordato è parte di un progetto che insieme a altri progetti consente di realizzare il Piano concordato. Se a livello locale si mostrano ritardi sul piano esecutivo, si è deciso di avocare tutto al centro e bisogna capire se siamo in grado di farlo con il nuovo quadro politico post elettorale e il vizio italiano dello spoils system delle burocrazie.

Quello che tutti i nostri capi partito devono capire se vogliono almeno un pochino di bene al loro Paese è che la politica monetaria non può più fare miracoli e, di conseguenza, devono rendersi conto che le istituzioni europee e i mercati che in una sovranità condivisa hanno il signoraggio della nostra economia guardano non alla politica ma alle politiche che la politica fa e questo è ciò che conta davvero, non altro. A queste decisive istituzioni per il futuro dei nostri figli Draghi piace di più di tutti quelli che sono oggi in corsa per la guida del governo del Paese. Bisogna convincere la politica italiana a lavorare bene per il suo Paese e alcuni sforzi di maggiore realismo anche da parte della grande favorita, che è la Meloni, si sono visti. Purtroppo, però, il quadro d’insieme della politica italiana come si presenta agli investitori globali in questa campagna elettorale non funziona. Si percepisce che nel centrodestra siamo a un momento di iniziale scontro per chi vuole avere un potere particolare e non si importa molto delle cose da fare perché viene prima il potere e che nel centrosinistra il campo largo, da Casini a Fratoianni, si pone il problema delle cose da fare ma le distanze al loro interno sono incolmabili e le sistemazioni di potere attuate con la chiusura delle liste non hanno ridotto, ma aggravato il problema fondante della coalizione che è il fatto oggettivo che su troppe cose strategiche la pensano tra di loro in modo differente.

C’è in atto il tentativo del nuovo Centro di scomporre questo quadro allarmante di contraddizioni e non sono affatto improbabili dopo il voto nuove scissioni nei partiti delle due coalizioni contrapposte. Nel frattempo non ci resta che sperare che almeno non facciano troppi guai su due piani. Il primo è la finanza pubblica perché qui fare danni è facilissimo e poi i guasti te li porti dietro per parecchio tempo. Il secondo è l’occupazione perché se torni a fare politiche pubbliche che rendono difficile un’altra volta fare impresa allora si tagliano le ali a quelle che possono diventare di successo e ci si ritrova a tenere in piedi i cocci di ciò che è già fallito.

Abbiamo già vissuto questo tipo di scenari e solitamente succede che facendo politiche sbagliate e complicandosi il quadro internazionale e interno arriva poi qualcuno un po’ strano che li manda a casa e noi italiani paghiamo il conto o torniamo a imprecare perché qualcuno paghi il conto al posto nostro. Abbiamo un mese di tempo per cambiare rotta. Perché tutti quelli che aspirano a prendersi il governo più difficile della storia repubblicana si degnino almeno di fare un programma serio. Si impegnino a mettere per iscritto di quanto vogliamo crescere, quanta occupazione saranno capaci di creare, come vogliono tenere i conti pubblici sotto controllo, qual è il rapporto che intendono avere con il resto dell’Europa, come opereranno per fare politiche comuni. Non è facile fare ciò in una campagna elettorale che dura solo un mese, ma hanno l’obbligo di farlo. Al momento di tutto ciò non   abbiamo visto nulla eccetto alcune piccole cose tutte di natura lobbistica o di salvaguardia di corporazioni particolari. Proprio quello che non serve. La sensazione è che di questo passo a settembre cominceremo già a ballare sui mercati. Sappiamo che la Meloni sta con la Nato e che Salvini non ha mai visto Putin. Sul fronte opposto prevale la confusione e a volte si fa lotta politica danneggiando ulteriormente l’Italia. Ci sarà ancora Mario Draghi, ma solo per il disbrigo degli affari correnti.

La Bce segue l’idea che quando scendono i titoli si rinnovano e se ci sono tensioni sul mercato ci si muove in direzione di   riduzione delle tensioni. La prima linea di difesa approntata è che si privilegi per ora l’acquisto di titoli delle aree più in difficoltà, ma non si tratta di cifre straordinarie. Si è capito che si interverrà   contro la speculazione non per finanziare i governi che vogliono fare spesa allegra. Questo è il vero rischio politico italiano che fa molto male alla nostra crescita e al futuro dei nostri figli. Questo la politica italiana lo deve capire cambiando politiche e metodo di governo. Il governo Draghi ha dimostrato che è possibile farlo e in tempi di guerra senza fine è addirittura obbligatorio evitare discontinuità pericolose.


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