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Mario Draghi

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Si è capito il problema, ma non si è trovata la soluzione. Non è ancora arrivata la soluzione. Si è capito che il mondo è cambiato e che l’Europa se non cambia finisce come un vaso di coccio tra vasi di ferro. Si è capito che l’Europa non ce la fa se non recupera un governo europeo che decide per tutti e guidato da chi rappresenta tutti. Sotto i bombardamenti della guerra di annessione dell’Ucraina dell’autocrate Putin che fa strage di donne e bambini e sotto quelli della sacrosanta guerra finanziaria che l’Occidente libero ha lanciato contro la Russia, l’Europa si ritrova senza un esercito comune, con un bilancio non all’altezza della situazione di guerra ed esposta ai venti pericolosi della spirale inflazionistica legata ai rincari monstre di tutte le materie prime.

Paga il conto della sua dipendenza energetica e agroalimentare. Con alcuni Paesi più esposti degli altri come l’Italia e altri che vengono subito dopo, ma che non potranno evitare la ricaduta di quelle difficoltà anche su di loro. Parliamoci chiaro, senza farla troppo lunga. L’Italia ha avuto un 2021 con una crescita a tassi da miracolo economico e questo ha consentito nell’anno peggiore della storia di ridurre il debito/Pil al 150% rispetto a una previsione del Conte 2 del 160%. Sono dati straordinariamente positivi legati quasi integralmente alla voglia di consumi degli italiani facilitata dalla riapertura in sicurezza della nostra economia prima degli altri Paesi europei.

Questo, secondo i dati dell’Istat, assicura per il 2022, un effetto di trascinamento sul Pil pari al 2,4% che negli ultimi venti anni lo abbiamo visto solo con il binocolo. Il punto è che, dopo il nuovo ’29 mondiale figlio della crisi pandemica globale, siamo entrati in un’economia di guerra e le sacrosante sanzioni economiche dell’Occidente alla Russia hanno come effetto collaterale per noi la decuplicazione del prezzo del gas, il petrolio sopra i 130 dollari, la benzina oltre i 2 euro, e rincari stellari per le tutte le materie prime a partire da grano tenero, mais e girasole. Paghiamo più di tutti la doppia dipendenza, energetica e alimentare, dallo Stato aggressore, la Russia, e dallo Stato aggredito, l’Ucraina.

Ci troviamo in questa situazione perché noi come i tedeschi e come tutti ci eravamo convinti di essere entrati, almeno per l’Europa, in una stagione di pace perpetua. La guerra non si farà più, questo era il mantra, tranne focolai minori. In Germania addirittura si teorizzava che la non spesa militare era il dividendo per i cittadini della uscita dalla guerra fredda. Tutto vero, è andata così, e questi errori sono comuni. È un dato di fatto, però, che la crisi di oggi che rischia di riportare in recessione l’Europa e di fare svanire il rally italiano di una crescita di oltre il 10% in due anni è frutto di una decisione consapevole dell’Europa tutta di fare la sacrosanta guerra finanziaria alla Russia di Putin.

Guerra peraltro che ha funzionato alla grande riportando in pochi giorni all’autarchia l’economia di una forza violenta con manie imperialiste che minaccia la sovranità dei popoli. Deve, però, essere chiaro a tutti che se l’Europa decide giustamente di ribattere ai bombardamenti sul campo con i bombardamenti economici e questi indirettamente si abbattono sul sistema produttivo italiano, tedesco e di molti altri così come sul potere di acquisto delle famiglie europee, allora la riposta deve essere altrettanto veloce e, soprattutto, europea. Sono tutti d’accordo, ma non hanno ancora deciso le modalità dell’intervento. Per noi non è possibile indugiare troppo, comprendiamo le difficoltà del cammino della storia, ma l’Europa ha bisogno di un Recovery energetico, di eurobond di guerra, di stanziamenti comuni per la difesa e le somme in gioco sono di 1,5/2 trilioni di euro o ancora di più. Tutto il resto sono chiacchiere per continuare nell’illusione che si possano evitare decisioni così radicali come quelle imposte dagli eventi.

Paghiamo anche qui un ritardo culturale. Perché prima di Next Generation Eu l’Europa si è mossa come una carovana di Stati che procedevano in ordine sparso e ha rinunciato in modo miope a fare sistema. Non ha avuto il condottiero politico che ne guidasse il locomotore. Non ha avuto il coraggio di pensare in grande e di assumersi la responsabilità della storia. A tratti nella fase finale lo ha fatto un po’ la Merkel, ma il cammino dell’Europa federale è stato appena avviato. Bisogna che sul piano della politica europea si ripeta ora quello che è successo tempo fa con la moneta. Se guardiamo il personale politico europeo ci accorgiamo che non tutti sono sempre all’altezza di una sfida così ambiziosa anche se ora si sforzano di fare maggiore gioco di squadra e non mancano a livello di Commissione figure di spicco come la von der Leyen, il nostro Gentiloni, lo stesso Borrell.

La verità è che tra i leader dei Paesi c’è un Draghi che ha l’enorme vantaggio di essere stato l’unico tra loro ad essere stato un capo europeo. È stato l’unico ad avere avuto una vera e propria investitura per salvare la moneta di tutti gli europei. È stato un uomo dell’Europa a cui si è affidata una missione politica delicata e che la ha assolta in modo esemplare riconosciuto anche da tutte le potenze mondiali. Francamente, solo per inciso, la differenza si vede, eccome, con la Lagarde che ha preso il suo posto alla guida della Banca centrale europea. Draghi aveva un’idea e la perseguiva con coerenza tenendo una rotta monetaria ferma usando intelligenza tattica, mentre oggi la Lagarde trasferisce purtroppo all’esterno l’idea di una divisione interna della istituzione e della difesa quotidiana del suo interesse che è solo quello dell’istituzione, non di tutti i risparmiatori europei. L’altro soggetto forte della nuova Europa è Macron.

Che non è mai stato un leader europeo, ma è un uomo politico che sin dai primi passi da Capo di Stato francese ha centrato tutto sulla sua visione dell’Europa che, per quanto possa apparire strano, non è quella francese. Sarebbe ingiusto dire che Scholz non è all’altezza di una sfida così ambiziosa, bisogna metterlo alla prova e giudicarlo. Per questo è importante che a Versailles si condivida la rotta giusta senza doppi, tripli giochi e si vada avanti. Le cose concrete devono seguire a stretto giro perché il morso dell’economia rischia di travolgere tutto e tutti. Ci vuole pazienza per cambiare la governance europea e bisogna individuare personalità all’altezza della sfida, ma sporcarsi le mani sui campi minati dell’economia e della guerra è oggi obbligatorio. Sarà un caso, ma a insistere per uno sforzo comune europeo all’altezza della storia più degli altri sono Draghi e Macron.


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