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Ursula Von Der Leyen

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Il “boss cinese” ha mire egemoniche in Africa, Sudamerica e Asia. Ha fatto incetta di porti greci in Europa, usa canali impropri per attrarre ricchezza generata dalle sue imprese fuori casa, trasforma prestiti in diritti proprietari ovunque e punta a rendere satellite una Russia esausta dalla guerra. Questo genera frizione con l’Occidente a partire dagli Stati Uniti e mette a rischio i tassi di espansione internazionale. L’India di Modi rivela un sorprendente culto della personalità del premier e un’idea nazionalista preoccupante che si rifà alla destra del secolo scorso. Questi due Paesi da un miliardo e mezzo di persone l’uno si contrastano a viso coperto un finto appoggio neutralista alla Russia di Putin. Germania, Francia e Italia sono consapevoli del doppio problema, ma trattano ognuno per sé e regalano all’America tutto il campo invece di fare ripartire l’Europa da dove si è fermata oltre mezzo secolo fa nella difesa come nella grande diplomazia degli affari.

Il problema internazionale più rilevante e delicato del momento riguarda la frizione con la Cina degli Stati Uniti e di un’Europa solito vaso di coccio. Perché questa frizione è altissima e da essa dipendono molto i tassi di espansione internazionale che sono contemporaneamente appesi alla fine di una guerra che non si capisce più quando avverrà e a un’incertezza di fondo molto forte sull’inflazione che scende per la parte energetica ma resta alta nella sua componente interna extra dei singoli Paesi europei.

Se questa componente interna si tiene lontana dall’obiettivo di rientro nel breve termine è un conto, ma se continua a salire anche nel medio termine porterà altra tensione nell’economia reale. Punto uno. Questa tensione internazionale molto forte tra Cina e Stati Uniti con un’Europa classico vaso di coccio senza una vera policy riguarda le nuove tecnologie e la cattura di informazioni rilevanti nell’anno dei grandi cambiamenti economici. Se la situazione globale diventa meno tesa è un bene, ma la percezione reale ci dice che c’è qualcosa di poco chiaro che riguarda la Cina.

La quale è a sua volta sempre meno disposta a dialogare a fronte di una diffidenza occidentale crescente rispetto alle loro mire egemoniche in Africa, Sudamerica e Asia. Ci sono troppi dubbi in giro sulla trasparenza cinese al punto da ipotizzare un disegno delle imprese cinesi non solo di catturare in Europa e negli Stati Uniti informazioni e tecnologie da potere sfruttare in proprio, ma addirittura di trasferire in Cina con canali poco controllati i redditi che le loro imprese generano nei Paesi europei. In Italia bisogna ovviamente attendere rapporti qualificati dalla guardia di finanza e da strutture deputate, ma c’è un fenomeno di imprese che chiudono prima di pagare le tasse e riaprono poi sotto altro nome con flussi finanziari che vanno verso Bulgaria e Ungheria e poi spariscono.

Questo flusso che non si capisce dove finisce va se non altro posto sotto osservazione. Ci sono in casa nostra catene opache di strutture di commercialisti che hanno in parte riguardato anche i flussi del Superbonus che vanno segnalate e vigilate. Punto due. Siamo davanti a un fenomeno cinese che assume connotati simili a quelli del colonialismo degli Stati Uniti in Europa degli anni venti e trenta. Perché da una parte chiudono al mondo in casa loro e, dall’altra, fuori casa fanno prestiti che diventano diritti proprietari in Africa come in Sudamerica e pure nei confronti della stessa Russia aspettando che perda la sua dimensione internazionale e che, per effetto della guerra, diventi esausta un loro satellite un po’ come è stato in passato per il Regno Unito con l’America. Questo modus operandi cinese si è espresso perfino con l’Europa dove hanno approfittato della grande crisi dei debiti sovrani e si sono presi i porti greci e hanno messo piede ovunque.

Punto terzo. La posizione indiana di nazionalismo fortissimo con un culto della personalità espresso al massimo livello dal premier Modi che si ispira dichiaratamente a modelli di Destra degli anni venti anche nei discorsi formali con i governatori delle banche centrali e degli scienziati merita di essere segnalato in modo preoccupato perché ha connotati più recenti. Questo mito della cultura nazionalista non c’entra niente con il successo oggettivo della visita di Giorgia Meloni che non può che portare bene alle nostre relazioni commerciali e che porta a casa un’interlocuzione internazionale di peso.

Resta il dato di fatto che una visione così fortemente nazionalista dell’India che doveva essere la madre della grande democrazia dall’altra parte del mondo impone qualche riflessione aggiuntiva. È bene rendersi conto se non altro che il “boss cinese” molto più potente, da un lato, e il culto della personalità di Destra di Modi, dall’altro, ci dicono che i due grandi Paesi da un miliardo e mezzo di persone l’uno si contrastano a viso coperto un finto appoggio neutralista alla Russia di Putin. Punto quarto. Tutte le catene del valore sono ancora prodotte un po’ dappertutto e questo problema cinese va a impattare un po’ dappertutto.

Almeno fino a quando questo modello continuerà ad essere quello che include gli scambi tra Paesi occidentali e la Cina o gli alleati cinesi che sono in giro per il mondo e hanno disponibilità di materie prime. Il nazionalismo indiano che si manifesta in modalità mai appalesatesi prima in questa dimensione è un dato oggettivamente rilevante nello scacchiere internazionale segnato dalla incognita della guerra di invasione di Putin in Ucraina. L’Europa è oggettivamente in ritardo, i singoli Paesi no. Francia, Germania, Italia ci pensano eccome al problema cinese e a che cosa significa il nuovo tema indiano sul piano geopolitico, ma ognuno fa da sé in Asia e negli altri Paesi del mondo. Questo a pensarci bene come europei e come italiani è il nostro primo, vero, grande problema.

Rispetto al nuovo punto strategico dell’asse Sud- Nord e del ruolo dell’Italia nel Mediterraneo, bisogna che l’Europa parli un po’ di più in modo ampio e chiaro e l’Italia giochi la sua partita storica. Quando tedeschi e francesi si incontrano per fatti loro è sbagliato ritenere che lo fanno per tenere fuori l’Italia perché la partecipazione stabile di Draghi come ruolo da protagonista a questi incontri appartiene alla statura internazionale della persona, non al riconoscimento del peso del Paese che deve essere consolidato. Noi dobbiamo anche pensare male, ma parlare bene e tenere sempre a mente che il delicatissimo asse francotedesco è l’eredita di due guerre mondiali.

C’è un solo modo per fare davvero i nostri interessi ed è quello di avere una regia diplomatica di fatti, non di parole, che ci consenta di essere nei posti chiave dell’Europa con persone di qualità in grado di esprimere e di esercitare leadership effettive. È quello che succede a livello bancario europeo grazie al ruolo riconosciuto alla Banca d’Italia e al peso che appartiene alla storia espresso da Draghi alla guida della Bce. Altrimenti ci ritroviamo con la vicinanza dei polacchi che sono i meno europei, la scontentezza dei nostri partner storici e paghiamo più di tutti il conto della debolezza europea che non ha un suo manifesto per la guerra. Paghiamo anche noi il conto di non avere fatto una diplomazia come Europa nei confronti dei cinesi e degli indiani e di avere lasciato tutto il campo all’America. Paghiamo oggi anche il conto di esserci fermati sulla difesa europea da oltre mezzo secolo e dobbiamo addirittura ripartire da lì. Almeno cominciamo a farlo.


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