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Giorgia Meloni e Olaf Scholz

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La Commissione dimezza le previsioni di crescita del governo tedesco e ritocca quelle italiane, ma è insopportabile, oltre che masochista, che proprio sotto la spinta della Germania si intenda raddoppiare la sua malattia strutturale facendo pagare il conto alle economie più resilienti tra cui quella italiana. La Germania vuole regole fiscali non coerenti con il rallentamento globale, sussidia la sua economia malata, impedisce centinaia di miliardi di investimenti europei comuni obbligatori per evitare la recessione. Tacere non è più possibile.

ANCHE ieri ci è toccato di leggere che insieme alla Germania e alla Finlandia, l’Italia è tra i Paesi dell’unione monetaria che rischiano di registrare la ripresa più modesta l’anno prossimo. Cosa che ovviamente riflette il quadro di questa tornata di previsioni, ma che spinge a confondere i piani strutturali con quelli congiunturali e induce pericolosamente a conclusioni errate. Premesso che si tratta di previsioni della Commissione europea e che, dunque, come quelle dei singoli Paesi andranno verificate sul campo, permane questa specialità davvero tutta italiana di farsi del male da sola sminuzzando il racconto dell’economia di anno in anno e continuando a ignorare che dal quarto trimestre del 2019 ad oggi il Pil in Italia è cresciuto in volumi del 3,3% e in Germania dello 0,2% facendo noi meglio di quasi tutte le grandi economie non solo europee. Soprattutto, è il caso di ieri, a noi la Commissione dà una crescita per il 2024 dello 0,9% contro l’1,2% stimato dal governo italiano (dopo un biennio segnato da +12,3%) mentre assegna alla Germania un + 0,8% contro una previsione dei loro documenti di finanza pubblica dell’1,6% pari esattamente al doppio.

Uno scarto del 25%, come è nel caso dell’Italia, tra stime di un governo nazionale e previsioni della Commissione europea rientra nella assoluta fisiologia visto che lo scarto medio è pari a un terzo, ma l’assoluta abnormità che si riscontra rispetto alla comunicazione tedesca questa volta non si limita a insospettire un po’ tutti. Denota oltre ogni misura lecita una persistente volontà governativa della Germania di coprire il tasso strutturale della crisi economica tedesca pluriennale che minaccia pericolosamente l’intera Europa. Tanto è vero che all’ultima riunione dell’Ecofin, come non mancano di riferirci fonti molto autorevoli, proprio sul dato tedesco si sarebbe registrato più di un diverbio a porte chiuse tra il ministro delle Finanze della Germania, il liberale Lindner, e i rappresentanti della Commissione europea e della Banca centrale europea. Che hanno messo in dubbio fortemente queste previsioni rispetto a tutte le segnalazioni provenienti dagli andamenti dell’economia reale.

Oltre a questo tipo di osservazioni, che riguardano la macroeconomia e il confronto tra istituzioni europee, c’è uno squarcio delicatissimo che attiene ai rilievi più volte mossi ai conti tedeschi da loro autorevoli istituzioni interne, ma soprattutto prende sempre più corpo un dissenso europeo diffuso sulla politica tedesca di continuare a sussidiare la sua economia con veri e propri aiuti di stato che minano le regole fondanti del mercato unico europeo. Il grande malato dell’economia europea è la Germania che non ha capito il nuovo mondo, ha perso la bussola tra Sud e Nord e per mantenere un minimo di industria di base deve drogare al ribasso il prezzo dell’energia per le sue acciaierie alterando il mercato europeo con aiuti di Stato e facendo quello che il nostro Paese, come altri, non ha gli spazi fiscali per fare, ma che di sicuro per noi come per gli altri verrebbe censurato. Il grande malato dell’economia europea è la Germania stretta nella doppia morsa della crisi dei suoi rapporti russo-cinesi distrutti dai carri armati di Putin in Ucraina con effetti diretti sulle materie prime energetiche e dell’economia del futuro, nonché sulla sicurezza dei cicli di forniture come delle catene globali della logistica.

Il problema dell’Europa non è di certo l’Italia che colleziona primati nelle esportazioni e rappresenta l’economia al mondo con il massimo di diversificazione di settori produttivi e di prodotto e di investimenti in robotizzazione dei processi industriali. Che ha un avanzo commerciale e una posizione finanziaria netta positiva. È ovviamente vero che l’Italia ha il più grande debito pubblico europeo rispetto al Pil e avrebbe dovuto contrarre meno debiti per finanziare il superbonus, ma non solo ha un’economia resiliente che ha creato molta nuova occupazione, continua anche a tenere sotto controllo la sua finanza pubblica nel passaggio dal governo Draghi al governo Meloni.

Quello che appare ormai a tutti insopportabile, oltre che masochista, è che proprio sotto la spinta della Germania e dei suoi alleati si intenda raddoppiare la malattia tedesca facendo pagare il conto anche alle economie più resilienti come quella italiana volendo a tutti i costi approvare una governance europea con regole fiscali non coerenti con il rallentamento globale in atto, sussidiando la sua economia malata a discapito di quella sana altrui, e impedendo un intervento di centinaia di miliardi di investimenti europei comuni in industria e ricerca che rappresentano l’unica risposta concreta possibile al rischio di recessione dell’intera Europa.

Rischio reale che non si può abolire con la solita grande nebbia dello strabismo informativo nazionale distratto da beghe politico-sindacali di infima categoria. Rischio reale che addirittura alimenta una logica tedesca persistente diretta a privilegiare il controllo dei decimali della spesa e del debito su tutto ciò che è invece urgente fare insieme con gli investimenti per sostenere la crescita. Su punti così decisivi per il nostro futuro non è più possibile tacere.


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