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Pier Carlo Padoan

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Attraverso investimenti e riforme con un orizzonte temporale lungo contrapponiamo dati certi al caos dei mercati. Diventa chiaro ai finanziatori europei, agli investitori globali e agli operatori di mercato che il Sud italiano non è più portatore di squilibri, ma il motore che guida il nuovo processo euromediterraneo di crescita dove tutti spendono bene le risorse del debito comune e della coesione sociale in una logica di programmazione. Per questo deve vincere il nuovo modello di crescita dell’Europa che con la politica riformista e la capacità di fare dice anche no al neo colonialismo di turchi, russi e cinesi in Africa. Perché l’Italia con il Sud alla testa investe risorse finanziarie, donne e uomini sulla collaborazione alla pari con l’altra sponda del Mediterraneo.

Il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) come modello di crescita per l’Europa espressione di quel Next Generation Eu che è il segno concreto di un cambiamento epocale di approccio europeo alla politica di sviluppo. Non è il presidente di UniCredit, Pier Carlo Padoan, che parla al Festival Euromediterraneo dell’economia organizzato da questo giornale al Maschio Angioino a Napoli, ma l’ex ministro dell’Economia e uomo delle istituzioni che spiega come questo strumento della nuova Europa ci obbliga a ritornare alla programmazione che va al di là dei governi pro tempore della Repubblica italiana.

Siamo davanti a un ciclo predefinito di spesa, di investimenti e di riforme, che esprime dati di certezza che sono punti di riferimento per i mercati. In un quadro persistente di instabilità finanziaria e di rischi geopolitici globali abbiamo davanti a noi la sfida cruciale di uno Stato italiano che diventa elemento di certezza. Che diventa luogo della certezza, non dell’incertezza. Perché domina l’orizzonte temporale lungo. Perché gli interventi delle diverse politiche sono più efficaci se applicati simultaneamente. Perché questi stessi interventi sono più efficaci se collocati in un quadro macroeconomico espansivo ma sostenibile in quanto regalano al Paese che li attua un surplus di credibilità che è premiato dagli investitori globali e moltiplica il tasso di fiducia che alimenta investimenti e consumi interni. Perché questo nuovo debito comune prende la strada dello sviluppo adattandosi alle esigenze specifiche del Paese/regione a cui si applicano le misure.

Si coglie in questo ragionamento lungo di Padoan il senso della storia di oggi. Che è quella di istituzioni europee che provano a  tornare alla normalità dopo crisi multiple con un nuovo patto di stabilità e di crescita, un bilancio europeo, una politica ambientale che è industriale perché l’asse portante non è più quello storico Est-Ovest ma Sud-Nord e porta il Mare Nostrum al centro della scena. Prima la pandemia poi i carri armati russi in Ucraina costringono tutti a fare i conti con una prospettiva diversa che è quella euromediterranea che si vuol tradurre in crescita sostenibile e consapevolezza nuova dei beni pubblici europei. Che passa obbligatoriamente attraverso il Sud d’Italia come centro di trasporto dell’energia rinnovabile che alimenterà la nostra manifattura e quella tedesca e come generatore di una filiera di industria, ricerca e tecnologia che è la manifattura del futuro e che avrà per motivi geografici oggettivi nel nostro Mezzogiorno il punto di forza obbligato di un’Europa che vuole costruire un’economia di pace collaborando alla pari con l’altra sponda del Mediterraneo. Che ha bisogno di questa trasformazione determinata dal Pnrr che deve riguardare in primis la pubblica amministrazione, centrale e locale, perché rappresenta lo strumento indispensabile per la realizzazione del piano per il Mezzogiorno.

Diciamocelo chiaro. La vera partita della nuova Europa si gioca nel nostro Sud che oggi è soggetto dell’incertezza che accompagna l’Italia sull’attuazione del Pnrr per i piccoli Comuni privi di risorse umane adeguate e oggi in ritardo. Per cui si vuole fare passare il leit motiv che Emilia Romagna e Veneto sono capaci di spendere, il Sud no e rischia così di farci perdere i soldi del Pnrr. Proprio questo è il luogo comune che il Mezzogiorno deve sfatare recuperando, come sta facendo, classe dirigente e organizzazione partendo dalla  piena attuazione del modello Fitto che riunifica tutte le deleghe europee e opera per l’allineamento tra scadenze e obiettivi di un piano comune di medio termine.

Passa attraverso queste scelte il recupero dell’Italia come luogo di certezze di fronte al caos dei mercati perché diventa chiaro ai finanziatori europei, agli investitori globali e agli operatori di mercato che il Sud italiano non è più il fanalino di coda che chiede aiuto, ma il motore che guida il nuovo processo di crescita aggiuntiva europea dove tutti sanno spendere bene le risorse del debito comune e della coesione sociale in una logica finalmente di lungo periodo, non di breve.

Anche qui parliamoci chiaro. Il Mediterraneo è tornato il punto strategico per tutta l’Europa, ma è anche l’area della terra dove ci sono le massime pressioni di conflitto. Tocca al Mezzogiorno d’Italia non essere più il luogo dell’incertezza ma  un pezzo attivo della politica di pace, del dialogo religioso e culturale, e della politica industriale sostenibile. Che è l’unica che può provare a costruire la pace perché se l’Europa vuole occupare l’Africa aggiungendo incertezza a incertezza troverà davanti a sé turchi, russi e cinesi.

Per questo deve vincere con il Sud alla testa il nuovo modello di crescita dell’Europa che dice no con i fatti della politica riformista e con le opere dell’intrapresa industriale sostenibile al neo colonialismo autocratico in Africa di turchi, russi e cinesi investendo risorse finanziarie, donne e uomini sulla collaborazione alla pari con l’altra sponda del Mediterraneo. Linea di azione che rientra peraltro nello spirito storico della posizione italiana dal grande Mattei al sindaco della pace di Firenze La Pira fino ai giorni nostri.

Il  vero miracolo di oggi deve essere di farlo da italiani ma come cittadini europei portandoci dietro tutti gli europei  e bandendo guerre tra vecchi e nuovi colonialisti chiudendo anche la lunga infelice storia europea dei protettorati coloniali francesi e inglesi in Africa. Perché se noi e gli altri europei decidessimo di muoverci con questa logica, magari anche in guerra tra di noi, avremmo già perso. Perché su quel terreno lì miserabile di armi e soldi hanno già vinto cinesi, russi e turchi.  Noi non  potremmo fare altro che rimanere alla porta. Loro non ci farebbero entrare e noi non dobbiamo neppure permetterci di pensarlo.


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