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Solo il successore e il nuovo corso della Chiesa ci diranno qualcosa di certo sulla effervescente ambivalenza di questo Papa che ci lascia dopo 12 anni.

Ci diranno soprattutto che senso e che peso ha avuto la discontinuità di un presule giunto, come lui ebbe a dire annunciandosi, «dalla fine del mondo». In questi dodici anni di pontificato divisivo, tanto gli apologeti quanto i detrattori di Bergoglio lo hanno considerato un accidente esterno ed estraneo all’Occidente, capace di incidervi in modo significativo.

Ciò che accade in questi giorni attorno a noi, ciò che si ascolta dalle classi dirigenti e ciò che si respira nelle opinioni pubbliche occidentali devono indurci a rettificare l’idea che la fine del mondo fosse un confine geografico distante anni luce dalla nostra storia, e non piuttosto un confine temporale a cui la storia stessa è approdata.


Vuol dire accettare l’idea che Bergoglio sia stato una straordinaria anticipazione della crisi che pervade l’Occidente e che ne sta cambiando i connotati culturali e civili. Vuol dire riconoscere che è occidentale l’approccio mondialista che spezza l’asse ratzingeriano tra Atene, Roma e Gerusalemme, e archivia le categorie del pensiero greco e del diritto romano, ma soprattutto che demonizza la globalizzazione e la sua alleanza con il mercato e la democrazia.

È occidentale l’iconoclastia delle intermediazioni gerarchiche, in nome di una leadership plebiscitaria e a tratti autoritaria, che ha disarticolato gli equilibri già instabili di una Chiesa in crisi, dividendola in fazioni contrapposte. È occidentale la laicità nella sua opposizione alla sacralità delle forme, indicate come inautentiche, che ha ridotto la verità della fede a una verità pulsionale, per nulla diversa da quella dell’Io, e perciò incapace di rappresentare uno stimolo morale attivo. È occidentale il pacifismo che invoca il coraggio della resa alle ragioni del più forte, ribaltando la logica della pace di Parigi e, ancora prima, la solidarietà degli accordi di Bretton Woods.


Per queste ragioni Bergoglio può considerarsi, con un ossimoro, un campione del declino occidentale, cioè la personalità che più e meglio ha incarnato la scarnificazione della sostanza storica dell’Occidente. La sua stessa seducente immagine della Chiesa come ospedale da campo cela in controluce il divorzio della triade libertà-uguaglianza-fraternità da un’assunzione di responsabilità, a cui la Chiesa di Ratzinger non avrebbe mai rinunciato, ritenendola connaturata al primato occidentale.

Per le stesse ragioni la scomparsa di questo compagno di viaggio così consonante con certe nostrane debolezze scatena una confusa melancolia che fa l’ora più buia. Mentre le bombe di Putin, la iattanza di Trump e la solitudine di Zelensky rabbuiano il domani dell’Europa, piace sperare che l’ultimo appello alla pace, offerto dal Papa fino all’agonia, parli alle passioni tristi dei tempi con la forza simbolica di un sacrificio.

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