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Giorgia Meloni, presidente del Consiglio

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Tocca a Giorgia Meloni indicare una traiettoria di crescita di lungo termine che convinca i mercati con 4 shock da conservatori. Riforme della concorrenza partendo da tassisti e balneari. Smetterla di buttare via soldi facendo dal Mef con Regioni e lobby quello che ha fatto Fitto su Pnrr e coesione. Precedenza al Sud italiano con Gioia Tauro e Porto Empedocle rispetto agli altri Sud del mondo. Calendario di privatizzazioni per il 2024 con società e quote.

SIAMO l’unico Paese europeo che si presenta all’appuntamento del 2024, che farà i conti con due invasori (Putin e Hamas) e due guerre (Ucraina, Medio Oriente) che si incastrano pericolosamente per le loro ricadute su materie prime e mercati, con un cospicuo extradeficit (23,5 miliardi in 3 anni), una mancata discesa del debito in rapporto al Pil che fa dubitare gli investitori perfino della stabilizzazione preannunciata intorno al tetto record del 140%, e un aumento delle emissioni dei titoli pubblici che non potranno non avvenire pagando rendimenti molto elevati (siamo a una spesa di 100 miliardi) e sottraendo, quindi, altre risorse alla crescita italiana da cui tutto dipende.

Abbiamo chiesto qualche giorno fa di tagliare subito l’extradeficit per dare un segnale chiaro ai mercati. L’apertura del ministro Giorgetti alla revisione dei saldi va in questa direzione e noi la incoraggiamo. Serve, però, ancora di più. Serve qualcosa di molto forte e percepibile sul piano della politica economica che segni una svolta thatcheriana del governo Meloni con la premier che la fa e la rivendica rivitalizzando la fiducia del motore produttivo e dei consumatori e dando al Paese i quattro shock di cui ha vitale bisogno e per i quali la stragrande maggioranza degli italiani le saranno grati. Ha in casa un esempio da seguire, frutto peraltro della lungimiranza della sua intuizione politica di riunire tutte le deleghe europee e il Mezzogiorno sotto un unico dicastero.

Il modello Fitto ha fatto i conti con un problema strutturale del Paese, almeno ventennale, che riguarda in genere la capacità di fare investimenti pubblici e, in particolare, quella di utilizzare al meglio e nei tempi preventivati le risorse europee. Fitto ha messo tutti davanti alle loro responsabilità e ha instaurato un rapporto molto forte di collaborazione con la Commissione che ha permesso di incassare l’altro giorno la terza rata del Pnrr e alla fine dell’anno la quarta (35 miliardi in tutto), siamo già oltre il 50% dell’intero Piano, ma soprattutto una revisione dei target che arriva fino alla quinta tranche e un Repower Eu energetico e di sostegni a famiglie e imprese che rendono finalmente credibile ed eseguibile un progetto Paese di sviluppo. Un progetto Paese che rompe il tabù delle nomenclature regionali tanto arroganti quanto inadempienti, salvo rarissime eccezioni, e chiama tutti i soggetti attuatori alla responsabilizzazione dentro una nuova governance con poteri sostitutivi e semplificazioni effettive. Questo significa sporcarsi le mani e fare finalmente le cose in Italia.

Ora tocca direttamente a Giorgia Meloni parlare con chiarezza al Paese e indicare una traiettoria credibile di crescita di lungo termine che convinca mercati e investitori globali che la vulnerabilità italiana non esiste o che è ampiamente superabile perché, debito pubblico a parte, tutti i fondamentali dell’economia sono nettamente migliori di portoghesi, spagnoli e greci che loro apprezzano di più e, soprattutto, perché c’è la volontà politica e la capacità di fare le cose che servono. Noi le chiamiamo shock e sono quattro.

Primo. Questo governo fa sul serio sul ciclo di riforme liberalizzatorie e comincia con tassisti e balneari avendo la piena consapevolezza che essere legati alle miopi rendite di minoranze da 0,2% della popolazione significa alienarsi il consenso del restante 99,8% e imporre un freno che non ci possiamo più permettere alla crescita del turismo internazionale e alla credibilità della stessa Italia nella percezione degli investitori mondiale. Quindi, di riflesso, alla stessa crescita complessiva.

Secondo. Si faccia al ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) la stessa operazione che si è fatta con Pnrr e fondi europei di coesione. Bisogna fare la razionalizzazione della spesa pubblica. Che significa spendere meglio e smetterla di buttare via i soldi cercando di trattare allo stesso modo Regioni, soprattutto, Comuni – solo quelli inadempienti – e profittatori varii. Una parte rilevante delle risorse indispensabili per l’indispensabile riduzione dell’extradeficit non può che venire da qui. Non userei la parola spending review solo perché porta male.

Terzo. Dobbiamo renderci conto che abbiamo sostituito la dipendenza energetica pressoché totale dalla Russia di Putin con un 40% di approvvigionamenti energetici da Libia e Algeria che non sono certo un modello assoluto di stabilità e di democrazia. Gli algerini, peraltro, anche se magari solo per ragioni di consenso interno, si sono comunque affrettati a dare la loro solidarietà a Hamas e non si può escludere a priori che questo incida nei rapporti con Paesi capitalistici come il nostro schierato con Israele. Allora si vada assolutamente avanti con il Piano Mattei e l’idea guida dello sviluppo alla pari portandosi dietro l’Europa, ma prima si sfrutti l’altra grande operazione della Zona economica speciale unica (Zes) del Mezzogiorno italiano e si dia precedenza assoluta alla strategicità dei rigassificatori di Gioia Tauro e di Porto Empedocle che sono di fronte alla polveriera del mondo ma in sicurezza europea e si parta parallelamente con Sulmona Nord per collegare il nuovo centro energetico del mondo (il nostro Sud) alla dorsale produttiva italiana del Nord e alla manifattura tedesca.

Quarto. Sulle privatizzazioni si esca dalle parole del percorso ambizioso, a ostacoli, ma realizzabile, per esibire un calendario di società e quote che riguardi il 2024. O si è capaci di farlo e di attuarlo o è meglio cercare con trasparenza altre coperture perché l’incertezza mina ulteriormente la credibilità.


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