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Giuseppe Conte

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La macchina pubblica italiana già incapace di fare fronte alle esigenze ordinarie è stata travolta dalle incombenze straordinarie. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un grave indebolimento del ministero dell’Economia e al crollo delle capacità di dicasteri come Infrastrutture e Trasporti, Ambiente, Beni Culturali e Sviluppo Economico e alla spoliazione del Sud operata dalla conferenza Stato-Regioni

Siamo fuori di 100 miliardi, sì avete capito bene, questa è la cifra. Tra decreto Liquidità, decreto Rilancio e nuovo scostamento, il conto italiano di finanza pubblica della Pandemia ammonta a 100 miliardi e è stato coperto dalla emissione di nuovo debito. A fronte di un impegno e di un indebitamento così rilevanti facciamo i conti ogni giorno con i ritardi nella erogazione della cassa in deroga e con un deflusso ancora estremamente rallentato nella distribuzione effettiva di risarcimenti dovuti e prestiti necessari. La macchina pubblica italiana già incapace di fare fronte in modo efficiente alle esigenze ordinarie è stata travolta dalle incombenze straordinarie. Riteniamo che il Presidente del Consiglio più “dolosamente” sottovalutato della storia repubblicana italiana, Giuseppe Conte, ha il dovere di gestire da Palazzo Chigi con un indirizzo politico chiaro e un metodo totalmente nuovo la cassa europea che la svolta storica della Merkel consente di avere. Può essere il conto/capitale della ricostruzione economica italiana o l’esca dei peggiori appetiti assistenziali mascherati dietro una guerricciola di potere tra burocrazie ministeriali incapaci e politici incompetenti.

Negli ultimi cinque anni abbiamo assistito a un grave indebolimento della regia operativa del ministero dell’Economia e al crollo delle capacità esecutive dei vari Dicasteri che caratterizzano il sistema istituzionale del Paese, cioè Infrastrutture e Trasporti, Ambiente, Beni Culturali e Sviluppo Economico. Siamo di fronte alla dimostrazione evidente di protagonismi politici inconcludenti e di una misurabile inadeguatezza a dare attuazione concreta ad una infrastrutturazione organica del Paese. Nella gestione della fase post emergenza Covid 19 abbiamo, poi, assistito all’apoteosi dei decreti attuativi mai adottati da tutti i ministeri (l’esatto contrario di quello che serve) e a un parolificio imbarazzante della ministra delle Infrastrutture, Paola De Micheli, che è riuscita perfino a insolentire i cittadini di una regione, la Liguria, che lei ha bloccato con disposizioni fuori tempo e fuori misura. Con ministri che non solo non sanno chiedere scusa e correggere gli errori, ma arrivano addirittura a parlare di narrazione per ciò che è sotto gli occhi di tutti, si può solo perdere la faccia per sempre e sprofondare. Così come ne abbiamo davvero abbastanza di questi commentatori da salotto più o meno organici da sempre alla Sinistra Padronale – che sa solo rendere servigi ai Soliti Noti e agli amministratori loro amici – che continuano a mettere in guardia il Presidente Conte dal fare nuove strutture perché si guasterebbe l’equilibrio esistente e non si farebbe più niente.

Per capire quanta ipocrisia vi sia in simili considerazioni basta leggere che cosa scrive lucidamente il ministro Provenzano nell’illustrare la riprogrammazione delle risorse non utilizzate del Fondo di Coesione: “questo lavoro ha consentito di impiegare utilmente risorse per l’emergenza, di accelerare fortemente la spesa al fine di recuperare uno storico ritardo, di riacquistare credibilità in Europa”. Condividiamo lo “storico” anche se vale la pena di sottolineare che il ritardo e la perdita di credibilità sono stati determinati dalla incapacità di spendere all’interno del Programma del Fondo Coesione e Sviluppo 2014 -2020 e, cioè, in anni in cui la Sinistra Padronale del PD, esclusi 11 mesi, è stata ininterrottamente al Governo.

I commentatori dei cosiddetti giornali di qualità questo non lo dicono. Così come sfugge all’intelligenza del dibattito politico che questo equilibrio è la morte dell’Italia perché anche in tale benemerito lavoro di riorganizzazione della spesa, attuato da Provenzano, non c’è spazio per le grandi infrastrutture di sviluppo di cui ha bisogno il Paese ma per progetti di certo migliorati che rispondono però alle esigenze di quel sistema di interessi regionali che è incompatibile con lo sviluppo dell’Italia perché è incompatibile con lo sviluppo nel Mezzogiorno di trasporti, sanità e scuola che riflettano se non altro gli elementari diritti di cittadinanza. Con le disposizioni premiali della Conferenza Stato-Regioni del 2018 la sanità del Mezzogiorno rischia di perdere un altro miliardo non perché è incapace ma perché si continuano a adottare criteri che favoriscono chi ha più autoambulanze di chi ne ha avute ingiustamente meno e si arriva, quindi, a una sublimazione di quel principio nefasto della spesa storica che ha ridotto il livello del reddito pro capite dei cittadini meridionali alla metà di quello dei cittadini del centro nord. Ha un bel dire il ministro Speranza, che è una persona seria, che il Mezzogiorno avrà più risorse per la sua sanità e che il Mes è un’occasione da non sprecare, nei fatti la spoliazione continua e i meccanismi concertativi della Stato-Regioni non sbagliano mai indirizzo.

Portano l’acqua al mulino dei ricchi e la tolgono a quello dei poveri. Se lasciamo comandare queste baracche ministeriali e regionali l’alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria e Palermo-Catania-Messina il Sud può solo sognarla e l’Europa può solo chiederla. Perché al massimo si avranno gli studi di fattibilità della solita presa in giro della ministra più incompetente di questo governo e naturalmente organica agli interessi padronali che è la ministra De Micheli. Per tutte queste valutazioni si rende necessario affidare alla Presidenza del Consiglio, per almeno un biennio, il compito di catalizzatore e di attuatore di quel Programma italiano che dovrà rispondere ai canoni ed alla liturgia procedurale che il Paese, entro ottobre, concorderà con la Unione Europea. Il precedente è quello dell’agenzia di modello americano che fu la Cassa di Pescatore degli anni Cinquanta e che contribuì più di tutti al miracolo economico italiano. Se vogliamo riprovarci si deve partire da qui.


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