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In Italia non c’è un nuovo assetto efficiente. Per capirci, in Francia c’è un metodo centralista con un ministero forte che è quello dell’Economia e delle Finanze, la partita inizia e finisce lì. I piccoli Paesi dell’Est come Estonia e Lituania stanno usando molto bene i fondi strutturali. Fanno strade, ponti. Nei Paesi seri certe cose le decide chi ha il dovere di comandare. Da noi l’unica cosa che si è capita riguarda le pretese politiche dei superpotenti Capi delle Regioni del Nord che di fatto aboliscono il Mezzogiorno. Siamo alla maionese delle crisi e alla fibrillazione permanente delle istituzioni

Non ci sarà la crisi di governo ma siamo oltre la crisi. Siamo alla maionese delle crisi e alla fibrillazione permanente delle istituzioni. Ha ragione Renzi quando dice che questi sei nomi di super manager fanno parte di consorterie o ha ragione Conte che li ha scelti uno a uno perché sanno fare le cose e gli altri no? Per rispondere bisognerebbe almeno conoscere i nomi, ma non si conoscono. Come non si conoscono i singoli progetti del Recovery Plan. Si è solo capito che le pretese politiche dei superpotenti Capi delle Regioni del Nord hanno di fatto abolito il Mezzogiorno. È l’unica raccomandazione che ci fa l’Europa insieme alle riforme della giustizia e della qualità degli investimenti anche esse dimenticate, ma chissenefrega!

Chi ha ragione? Ha ragione chi conosce la storia di questo Paese e ne ha fatta anche un po’ e ti dice che se qualcuno pensa di affrettare le pratiche ponendosi contro l’alta burocrazia è semplicemente un cretino perché questa è l’Italia e se non è chiaro fin dall’inizio che sono consulenti che aiutano l’amministrazione viene giù tutto? O ha ragione chi ribatte che il problema è un altro e, cioè, che a Palazzo Chigi non hanno in testa un’idea, che non hanno in mente un modello organizzativo? Ma di che cosa stiamo parlando? Triade di governo, sei Capi missione, trecento assunti, no cento, anzi ottanta, così in astratto si può rimanere quarant’anni ma per fare niente. La dinamica (sconcertante) sotto gli occhi di tutti è questa.

Nei Paesi seri certe cose le decide chi ha il dovere di comandare. Ma l’Italia oggi non è un Paese serio se il direttore di un’associazione (società per azioni) come Micossi si mette in testa di fare il Presidente di Unicredit e se un banchiere internazionale francese (Mustier) che ha venduto tutto ciò che era possibile vendere della stessa banca italiana ne fa un punto di onore di varare subito la sub-holding tedesca per proteggere la parte tedesca dal rischio italiano. Non so se ci rendiamo conto che cosa voglia dire che questo signore sia ancora lì in attesa di trovare per sostituirlo un banchiere capace di avere un disegno industriale vero e di parlare ai mercati.

Come giudichereste un Paese dove il ministro della salute dei Leu, Roberto Speranza, in piena Pandemia si mette a scrivere un libro e dove si racconta che gli stessi Leu mettono il nome di Bernabé su un fogliettino per prenotare al partito una casella tra super manager o super consulenti che dir si voglia? Che Paese è quello che annuncia con tanto di comunicato ai mercati delle istituzioni della Repubblica italiana che i Benetton escono da Autostrade per l’Italia (Aspi) e cedono la quota a Cassa Depositi e Prestiti, ma i Benetton stanno ancora lì e gli stessi che non sono ancora riusciti a farli sloggiare da Aspi ti dicono che aspettano non si capisce bene che cosa per entrare non sotto in Aspi ma nel gradino più alto e, cioè, in Atlantia con il suo patrimonio di reti, appalti e costruzioni gestiti in mezzo mondo?

La verità, incontestabile, è che abbiamo letto una bozza di Recovery Plan dove non ci sono cronoprogrammi. Non ci sono schede progetto. Non ci sono indicazioni di tempistiche, manca qualsiasi idea puntuale.

Dal che si intuisce, di più non è possibile vista la segretezza che avvolge tutto, che si è fatto tutto tranne che una programmazione vera. Il punto non è la raccolta di proposte, è sempre stata così anche ai tempi della segreteria generale della programmazione di Fiaccavento. È sempre stata così anche con i Ruffolo, con i Giolitti, i La Malfa, cercavano tutti di fare dei compact su come questi soldi della programmazione venivamo allocati e poi spesi. Però tutto avveniva perché al decisore politico si affiancava il decisore operativo.

Qui in Italia dopo la stagione dei Pescatore e dei Sinigaglia si è perso molto, non tutto, ma molto sì. Il decentramento regionalista dell’irresponsabilità è stato il motore della dissoluzione decisionale di quel molto perduto. Soprattutto non è nato in Italia un nuovo assetto efficiente. Per capirci, in Francia c’è un metodo centralista con un ministero forte che è quello della Economia e delle Finanze, la partita inizia e finisce qui. I piccoli Paesi dell’Est come Estonia, Lituania e così via, stanno usando molto bene i fondi strutturali. Fanno strade, fanno ponti, e li fanno molto bene. Useranno questa stessa macchina anche per fare cose diverse come per il Recovery Plan. Ci sono poi Paesi come il Portogallo dove le divisioni politiche sono profonde ma con la Pandemia sono sparite e tutti insieme maggioranza e opposizione tengono tutto dentro missioni di servizio con una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio.

Purtroppo, anche questa formula scelta da Conte alla prova dei fatti non è andata bene e non si capisce chi, tra Renzi e Salvini, è più bravo a creare problemi. Per fortuna, causa vinavil poltronifera, i cinque stelle hanno raggiunto l’accordo e, come previsto, voteranno la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). La Lezzi, a nome dei grillini dissidenti, ha trovato le parole giuste: abbiamo raggiunto il punto di caduta. Rovinosa, ma non seria.


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