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Vincenzo De Luca e Giuseppe Conte

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L’Europa fa debito comune per la prima volta e ci chiede di riunificare le due Italie nella scuola e nella banda larga come nei treni veloci e nei porti. Questa volta i miopi egoismi della Destra lombardo-veneta e della Sinistra Padronale tosco-emiliana non possono prevalere. Se De Luca fa sul serio, se cessa il silenzio complice dei governatori del Sud, e se il presidente del Consiglio assume questa missione politica come quella del governo, possono salvare l’Italia e l’Europa

La messa cantata a Bruxelles per il via libera al Recovery Fund e “l’inguacchio virtuoso” che permette di tenere dentro Polonia, Ungheria e stato di diritto, consegna alla storia la cancelliera Merkel e mette a nudo in modo disarmante le debolezze italiane. L’Europa è pronta, farà per la prima volta debito comune europeo, l’Italia che ne è il primo beneficiario non è pronta. Si divide e litiga sul nulla perché non ha mai detto che cosa vuole fare. Ripete il solito copione degli ultimi venti anni dove piccoli uomini lavorano non per un disegno di sviluppo, ma per accaparrarsi poltrone di potere e prebende assistenziali aumentando le diseguaglianze e condannando Nord e Sud d’Italia alla marginalità. Se fallisce il Recovery Plan italiano, viene giù tutto l’impianto europeo. Perché dipende da noi il successo dell’intera operazione e il recupero della leadership perduta nel Mediterraneo. Siamo noi il gancio al quale è appesa l’Europa. Questo gancio oggi sta cedendo.

Il progetto europeo è legato al progetto italiano nel senso che se non riusciamo noi a spendere bene le risorse e a fare le cose giuste, i sovranisti tornano giocoforza in auge e l’Europa non esiste più. Se la prima volta che fa l’Europa politica e fa debito comune, il Paese che più di ogni altro si propone politicamente di aiutare a crescere non ha successo, fallisce tutto. Fallisce il progetto italiano di sviluppo e fallisce il progetto politico europeo.

Perché il piano Next Generation Eu italiano abbia successo si deve concentrare sul Mezzogiorno perché qui c’è il più alto potenziale di sviluppo. Perché qui da venti anni sono state tagliate brutalmente spesa sociale e spesa infrastrutturale nel silenzio complice di tutti. Perché l’Europa lo ha capito prima dell’Italia, ce lo chiede con le sue perentorie raccomandazioni e lega a questo successo un ruolo geopolitico globale che non potrebbe più avere nel Mediterraneo, in Medio Oriente e in Africa .

Purtroppo, invece di fare tutto ciò, si continua con la solita logica del rammendo oneroso che abbiamo visto con Sace, Alitalia, Autostrade e così via, e con i Capi delle Regioni del Nord che continuano a fare cassa in piena pandemia nei trasporti e a riempire la legge di stabilità e i provvedimenti di ristoro di ogni tipo di marchetta. Vogliamo essere molto chiari. Un Recovery Plan italiano che assegna nove miliardi alla sanità e tre miliardi al turismo va preso e buttato nel cestino. Perché è figlio di quel federalismo della irresponsabilità che ha messo in ginocchio l’Italia e è molto probabile che la gran parte dei progetti siano altre marchettone regionali se financo un amministratore come Zaia non ha rinunciato alla tentazione di impacchettare tutte le incompiute anche ultraquarantennali della sua regione. Facciamola finita.

Siamo contenti che dopo un anno e mezzo che questo giornale chiede ai governatori del Sud di riunirsi in un fronte comune e di porre nelle sedi istituzionali competenti il tema di un federalismo incompiuto che fa cittadini di serie A, B, C e Zeta, finalmente il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, abbia battuto un colpo. Lo fa sul Recovery Plan italiano che “si configura come un altro furto del Nord a spese del Sud” e annunciando che sentirà gli altri Governatori del Sud per “preparare una risposta istituzionale forte”.

L’operazione verità lanciata da questo giornale ha determinato una Commissione di indagine parlamentare presieduta da Carla Ruocco, in quella sede il ministro degli Affari regionali Boccia ha parlato esplicitamente di 61,5 miliardi dovuti al Sud che vanno ogni anno al Nord. Non c’è istituzione contabile, dalla Corte dei Conti alla Ragioneria Generale dello Stato, che non abbia certificato i numeri della operazione verità di questo giornale che sono quelli di una evidentissima disparità nella spesa pubblica pro capite da una regione all’altra, tra Nord e Sud, per sanità, scuola, trasporti e investimenti infrastrutturali in genere.

Non è tollerabile un Mezzogiorno che ha un tasso di disoccupazione integrato con i cassaintegrati a zero ore e con chi non cerca più lavoro e lo vorrebbe pari al 27,6% contro il 9,1% corrispondente del Centro Nord. Non è possibile che ci siano venti milioni di persone con un reddito pro capite che è poco più della metà di quello degli altri quaranta milioni di popolazione. L’Europa non lo ha mandato a dire. Ha scritto chiaro e tondo che bisogna investire in questi territori con spesa sociale produttiva e infrastrutture di sviluppo. Questo, non altro, affiancato da un gigantesco piano di Industria 4.0, può essere il Recovery Plan italiano.

Chi ci governa si deve preoccupare di dotarsi di una macchina operativa che si muova in osmosi con la amministrazione dello Stato e attui la missione politica del piano che è una sola. Riunificare le due Italie nella scuola e nella banda larga come nei treni veloci e nei porti. Questa volta i miopi egoismi della Destra lombardo-veneta a trazione leghista e la Sinistra Padronale tosco-emiliana non possono prevalere. Se cessa il silenzio complice dei governatori del Sud e se il presidente del Consiglio assume questa missione politica come quella del governo, possono salvare l’Italia e l’Europa. Se la parola Mezzogiorno, che è solo l’altra faccia della medaglia olimpionica del Nord, dà incredibilmente fastidio a qualcuno e ne risultano ostacoli insormontabili, allora il Presidente Conte farebbe bene a dimettersi. Uscire di scena per una causa nobile non è la stessa cosa di essere sfrattato per qualche poltrona in più o in meno.

Dal sistema della frammentazione decisionale e del federalismo della irresponsabilità o si esce ora o non si esce mai più. Speriamo proprio che la sortita di De Luca non sia il fuoco di paglia dietro il quale si prepara il solito accordo sottobanco con quei potentati regionali del Nord che hanno abusivamente occupato le istituzioni del Paese e hanno trovato in un luogo nascosto della democrazia (la Conferenza Stato-Regioni) la chiave del loro comando e della loro vergogna. Se De Luca fa sul serio e se, come auspichiamo, indipendentemente dal colore politico gli altri Governatori lo seguiranno, questo giornale sarà al loro fianco.

Sia chiaro: non per sostituire alle clientele regionali del Nord quelle regionali del Sud, ma per attuare un disegno di sviluppo che restituisca alla popolazione meridionale e alle sue imprese un contesto sociale e infrastrutturale che permetta al secondo motore di ripartire. Come tutti sanno se in una barca con due motori uno è fuori uso, prima o poi anche l’altro batterà in testa. In parte è già accaduto visto che gli unici territori europei che non hanno raggiunto i livelli pre-crisi del 2007/2008 sono il Nord e il Sud d’Italia. Se il primo fa meno due e il secondo fa meno dieci vuol dire che le velocità sono effettivamente due, ma che tutto il treno va nella direzione sbagliata e rischia di deragliare. Altro che task force e super commissari. Concentriamoci su ciò che serve e sulle capacità esecutive. In gioco ci sono l’Italia e l’Europa.


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