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Giuseppe Conte alla Camera dei Deputati per il voto finale su Legge di Bilancio

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Continuando così, oggi come nel 1500, l’ex Bel Paese finirà a pezzettini con una sola certezza. Nessun pezzettino rimarrà all’Italia. Per questo i Capi litigiosi della politica italiana e i Capetti delle Regioni afflitti da manie di grandezza fuori della storia, farebbero bene a fare tesoro delle parole di Mattarella e a mettersi ognuno a fare la sua parte per salvare l’Italia non per continuare a litigare e a portare a casa solo qualcosa per sé. Anche perché quel qualcosa molto presto non ci sarà più

Manca una qualche forma di unità civile e morale delle classi dirigenti del Paese. Che invece di spingere tutte nella stessa direzione, al di là delle singole posizioni politiche, e perseguire ognuna nel suo campo una idea coesa di Paese che affronti insieme la Pandemia globale e il nuovo ’29 mondiale mettendo al primo posto il riequilibrio territoriale e la lotta alle diseguaglianze, non la smettono di uscire dal loro seminato fatto di interessi sempre più particolari fino a rendere cedevoli le fondamenta del sistema Paese. Queste classi dirigenti politiche, imprenditoriali, affaristiche, attraverso mille trasformismi, dagli anni Ottanta in poi fanno anche di più. Non solo non fanno mai sistema ma attraverso i potentati regionali che hanno sequestrato la cassa della Repubblica si sono permessi di attraversare due Grandi Crisi internazionali senza mai smettere di alimentare divisioni perché nella confusione delle grida coltivano la certezza di portare a casa il loro bottino.

C’è sempre qualcosa da prendere per qualcuno o da scambiare con qualche altra cosa per qualcun altro. Ognuno di questi gruppi di classe dirigente ha la sua banda di pretoriani che attraversa trasversalmente il mondo della politica, dell’economia, della finanza e dell’informazione soprattutto televisiva con l’obiettivo di approfittare per sé della confusione. Non vogliono la pace, figuriamoci la fratellanza. Perché viceversa hanno come habitat naturale la guerra di cartone permanente. Perché questa voglia di zuffa permette di arraffare tutto l’arraffabile chiudendo gli occhi sul baratro che è intorno a loro.

Se ci fosse quella unità morale e civile invocata da Sergio Mattarella nel suo discorso di fine anno i partiti sarebbero portati naturalmente alla ragione e non avremmo assistito allo spettacolo inverecondo del Parlamento delle mance. Dove si è passati dal rubinetto ecologico al water ecologico. E dove ognuno vuole il suo “water ecologico” senza mai pensare che ci sono cinque milioni di persone che rischiano di perdere il posto di lavoro. Se ci fosse quella unità morale e civile non dovremmo più assistere allo spettacolo ancora più inverecondo di un presidente della Conferenza Stato-Regioni, Stefano Bonaccini, che si riempie la bocca di lotta alla diseguaglianza e sfugge ai doveri etici minimi di chiedere al Governo di fare i fondi di perequazione sociale e infrastrutturale perché vuole tutelare l’abnorme, indebito interesse dei cittadini della sua regione e delle consorelle del Nord a discapito delle regioni meridionali in tutti i settori della spesa pubblica. Dalla sanità alla scuola fino alla mobilità e ai treni veloci.

Se ci fosse quella unità morale e civile non saremmo costretti ad assistere allo spettacolo dei due pokeristi (Renzi e Conte) che hanno perso di vista il piatto. Una freddezza dovuta da parte del premier perché se hai delle fibrillazioni il tentativo evidente è quello di farti perdere la pazienza e di spingere a andare tu a vedere le carte per buttare tutto all’aria. Forse, per questo, Conte intorno al “tavolo da gioco” ha adottato un metodo di lavoro moroteo con una capacità tecnica andreottiana di sminuzzare le questioni. Di fronte a sé ha il gatto (Renzi) che si vuole mangiare il topo (Conte) e che è certo di poterlo fare ballare fino a quando cadrà nella trappola. Renzi è una personalità rilevante della politica che ora non ha nulla da perdere per lui e per la sua parte, ma che se ritrovasse la saggezza necessaria per i momenti che stiamo vivendo la impiegherebbe per rimuovere tutte le questioni applicando su di esse lo spirito da costruttore di un tempo nuovo, non da contraltare politico. Soprattutto se si ha ragione perché la missione non è chiara e il progetto Paese non viene fuori. Invece accade che Italia viva a una lista già lunghissima di progetti ne aggiunge un’altra infinita di decine di progetti nuovi, quasi che avessimo un deficit che possiamo gonfiare all’infinito mentre abbiamo l’esigenza opposta di ridurre il suo peso sul debito pubblico accumulato.

Se ci fosse o riemergesse l’unità morale e civile che ha perfino ritrovato il Portogallo dal primo giorno della Pandemia, si tornerebbe a ragionare non più come emiliano-romagnoli o lombardo-veneti ma come italiani. Non sappiamo che cosa succederà nei prossimi giorni, non lo sa nessuno e tutto è possibile. Sappiamo, però, che all’Italia servirebbe una grande operazione verità sulla sua spesa pubblica sociale e infrastrutturale liberando il Paese dall’influsso nefasto di un luogo nascosto della democrazia italiana che è la Conferenza Stato-Regioni che, di anno in anno, mette in atto la più clamorosa redistribuzione a favore dei ricchi. Qualcosa che ha distrutto la capacità competitiva dell’Italia e ha condannato il Sud e il Nord del Paese al declino, ma per la virulenza egoistica degli interventi posti in essere avrebbe fermato anche colossi come quelli cinese e americano.

Per questo ci permettiamo di chiedere alle classi dirigenti del Nord di uscire dal circolo perverso in cui si sono infilate sotto la spinta del più miope dei federalismi mondiali. Per questo, continuiamo a chiedere a Conte di uscire dall’angolo in cui è stato stretto da inerzie vere del suo Governo e da un tatticismo esasperato di Italia viva che fa tutt’uno con il Parlamento delle mance in termini di contributo alla crisi sistemica e di avvicinamento dell’Italia alla sindrome greca. Finché si è ancora in tempo Conte vada in Parlamento e chieda la fiducia su un progetto Paese che ponga gli investimenti pubblici immateriali e materiali nel Mezzogiorno e nelle aree interne del Nord al centro del Recovery Plan italiano. Dica che sul fondo perduto europeo non si può scherzare con il solito copione degli incentivi ai ricchi e del finanziamento delle incompiute dei ricchi, espressioni di un regionalismo deteriore che non ha più ragione di essere.

Dica chiaro chiaro che la stagione dell’assistenzialismo a favore di chi sta meglio è finita per sempre e che l’esame raramente superato di efficienza delle classi dirigenti meridionali impone di investire su una macchina esecutiva centrale capace di progettare e di fare le cose e di favorire la crescita di una nuova leva di classe dirigente sul territorio che può cambiare strutturalmente le cose. L’alternativa è il ritorno all’Italia del 1.500. Quando un pezzettino se lo prese la Spagna, un altro pezzettino la Francia, un altro gli asburgici. Venezia decadde e, dopo alcuni secoli, senza colpo ferire Napoleone cancellò la Repubblica di Venezia dalla storia. Continuando così, oggi come allora l’ex Bel Paese finirà a pezzettini con una sola certezza. Nessun pezzettino rimarrà all’Italia. Per questo i Capi litigiosi della politica italiana e i Capetti delle Regioni afflitti da manie di grandezza fuori della storia, farebbero bene a fare tesoro delle parole di Mattarella e a mettersi ognuno a fare la sua parte per salvare l’Italia non per continuare a litigare e a portare a casa solo qualcosa per sé. Anche perché quel qualcosa molto presto non ci sarà più.


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