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Il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini

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Approfitti Draghi della sua credibilità e della sua forza di persuasione perché si faccia tutto il contrario di quello che si è fatto negli ultimi venti anni e pretenda dal ministro Giovannini che non lo esponga a brutte figure. Il Mezzogiorno delle istituzioni e delle imprese si mobiliti per cambiare le amministrazioni e dimostrare di sapere progettare e eseguire. Sul Ponte sullo Stretto viceré tremebondi hanno un’abilità: arrivano sempre in ritardo all’appuntamento con la storia. Si esca subito dalle schermaglie Stato-Regioni e si facciano scelte trasparenti

“Non lo so se si può fare”. Questa è la frase-tipo del funzionario pubblico che racconta meglio di ogni altra la crisi italiana. Fate conto che “non lo so se si può fare” un imprenditore può sentire ripeterselo anche dieci volte al giorno se ha dieci lavori da portare avanti. Cento volte se cento sono le pratiche relative agli appalti vinti o per i quali gareggiare.

Se il Prodotto interno lordo italiano (Pil) negli ultimi venti anni è cresciuto di 7,9 punti e quello spagnolo di 43,6 e se gli investimenti italiani sono cresciuti la metà della media europea e quelli pubblici addirittura in misura pari a un decimo, molto dipende da quel “non lo so se si può fare” che è il preludio delle mille stazioni della via crucis del (non) fare segnate molto spesso da opacità e corruttele.

È il preludio di quel labirinto dove con un digitale all’anno zero e complicazioni burocratiche di ogni genere si smarrisce l’economia italiana e si aprono fossati tra le due Italie. È il preludio di un mondo opaco dove le facce di tolla dei viceré che hanno in mano le Regioni meridionali italiane sono state capaci di non programmare e tanto meno impegnare 34 dei 54 miliardi del Fondo di Coesione e Sviluppo 2014/2021 praticamente fino alla scadenza perché non sanno fare i progetti e perché puntano ai “progetti sponda” che sono le marchette degli amici loro e che l’Europa solo con queste “false” procedure potrebbe finanziare. Questi progetti sponda clientelari sono i cugini politici in primo grado della famiglia allargata delle burocrazie centrali, regionali e provinciali del “non lo so se si può fare”.

Se viceversa c’è un’opera di cui è stato studiato tutto, valutato tutto, deliberato e autorizzato tutto come è il Ponte sullo Stretto, un’opera che l’Europa vuole perché altrimenti non ci sarebbe più il corridoio europeo e il cui cantiere secondo le regole italiane può essere miracolosamente aperto domani mattina, allora spunta la più imbarazzante dei ministri dei Trasporti della Repubblica italiana, Paola De Micheli, che resuscita una commissione per studiare i “sottopassi” che è un po’ come occuparsi del sesso degli angeli. Addirittura arriva un nuovo ministro, Enrico Giovannini, pomposamente ribattezzatosi ministro delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili che proroga i lavori del “morto che parla” e gli chiede di perdere tempo a studiare la velocizzazione degli attraversamenti di mare.

Siamo alla farsa se pensiamo che è lo stesso ministro che ha in mano un pezzo significativo di un Recovery italiano fatto come Dio comanda da gente del valore di Draghi, Franco, Cingolani, Colao ai quali lui potrebbe forse svolgere funzioni di segreteria statistica.

Più o meno sempre dalle parti sue, Giovannini e dintorni, avvengono cose strane come quelle che ci racconta da par suo Ercole Incalza: studi di fattibilità spacciati per progetti esecutivi dell’alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria o addirittura una Roma-Pescara dove al momento non c’è nemmeno uno studio. Basta, fermiamoci qui. I numeri che dovete tutti avere bene a mente sono due: il Recovery Plan italiano tra Pnrr e Fondo complementare più gli extra vale 248 miliardi per l’intero Paese da qui al 2026; il Mezzogiorno da solo tra ciò che è già assegnato nel Progetto Italia (Pnrr più Fondo complementare)  e gli altri fondi europei già accordati con quote oscillanti tra il 60 e l’80% a seconda dei capitolati può contare su una dote di 231 miliardi a oggi calcolabili e una parte variabile non ancora determinabile che potrebbe valere per difetto altri 10 miliardi in un arco temporale analogo al Progetto Italia con soli dodici mesi in più in quanto si arriva al 2027.

Perché ho fatto questo esercizio numerico comparativo, vi chiederete? Perché non ne posso proprio più delle facce di tolla che sanno farsi finanziarie solo marchette tradendo il popolo meridionale e dei loro successori che fanno la voce grossa con i numeri inattaccabili sulla ripartizione della spesa pubblica che abbiamo elaborato noi mentre tutti dormivano.

Questi signori vecchi e nuovi con la stessa fame di poltrone e affarucci continuano a prendere in giro il popolo meridionale aizzandolo a combattere contro il primo governo che dopo quarant’anni fa scelte chiare di coerenza meridionalista e di sviluppo basate sugli investimenti e sulla valorizzazione del capitale umano invece che su assistenzialismo e clientele. Non c’è più spazio per la demagogia. La verità è che solo un governo a guida Draghi può avere la forza di cambiare in tempi record, come è necessario, le regole della macchina pubblica degli investimenti che è la prima delle riforme e la pre-condizione dell’attuazione del piano italiano e del ritorno alla crescita.

Approfitti Draghi della sua credibilità e della sua forza di persuasione perché si faccia tutto il contrario di quello che si è fatto negli ultimi venti anni e pretenda dal ministro Giovannini che non lo esponga più a brutte figure. Il Mezzogiorno delle istituzioni e delle imprese si mobiliti per cambiare le amministrazioni e dimostrare di sapere progettare e eseguire. Sul Ponte sullo Stretto viceré tremebondi hanno un’abilità: arrivano sempre in ritardo all’appuntamento con la storia.

Avete visto Musumeci, Presidente della Regione Sicilia, in Stato-Regioni? Sono state avviate per tempo iniziative nelle sedi istituzionali competenti? Per carità, l’unica strada che si conosce è quella della polemica politica. Siccome, però, l’opera serve all’Italia prima che al Mezzogiorno e si può fare da domani, si esca dalle schermaglie della Stato-Regioni. Si facciano scelte trasparenti attingendo magari alle risorse inutilizzate del fondo di coesione e sviluppo o consentendo alle Ferrovie di cercare capitali privati sui mercati internazionali. State certi che li troverebbero.


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