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Un vertice tra Mario Draghi e i presidenti delle Regioni

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Se non viene riequilibrata la situazione facendo partire subito investimenti pubblici e sostenendo in modo speciale l’impresa meridionale che combatte avendo tutto contro, allora la forbice si allarga ulteriormente. Si deve passare da un settore pubblico vissuto come assistenzialismo alla spinta di un settore pubblico che crea valore aggiunto, che non punta più solo a stipendi che vanno in consumi ma in servizi di valore restituendo alle imprese private del Mezzogiorno il contesto necessario per esprimersi al meglio

In questo Paese Arlecchino dove i venti capi di stato ombra non sono in grado nemmeno di mettersi d’accordo tra di loro per una proposta unitaria sul green pass e continuano a dare lezioni a tutti, c’è per fortuna un governo Draghi che tiene la barra dritta e dà al Mezzogiorno dopo decenni il 50% delle risorse del trasporto pubblico locale e, cioè, quanto prenderanno insieme Nord e Centro. Ovviamente questa scelta non taciterà capipopolo e Accademia meridionalista anche perché lo sceriffo De Luca e suoi consulenti faranno in modo di non spenderli e di gridare contro il governo. Come i tanti che lavorano sott’acqua e non mollano la demagogia per passare al fare. Due sono le questioni dirimenti.

Punto uno. I frenatori di sempre sono all’opera. Un comitato a livello parlamentare che riscontra i problemi di coerenza rispetto alla finalità di transizione ecologica del progetto e può bloccarlo con un voto contrario dei due terzi della commissione parlamentare. Tradotto vuol dire potere di interdizione e, siccome la rappresentanza parlamentare Cinque stelle è certamente la più rilevante e si muove in combutta con quella del Pd, anche le maggioranze così qualificate non sono affatto irraggiungibili. Ha ragione di preoccuparsi il ministro Cingolani perché lui non asseconda i progetti dell’ ecologismo sognante nostrano e sa che i Cinque stelle intransigenti del no ai termovalorizzatori e a tutto si mobiliteranno. Sa che avranno a fianco le anime belle del Pd e sa che è reale il rischio di finire imbrigliato nel solito pantano italiano. Uscire dall’ideologismo e prendere atto che il primo inquinatore è la Cina, il secondo gli Stati Uniti anche se in termini pro capite il rapporto si inverte, non è qualcosa che si può chiedere ai Cinque stelle, ma se nemmeno il Pd fa una scelta netta di presa di distanza allora i problemi sono realistici.

Come fare a ignorare che sulle 25 megalopoli inquinanti ben 23 sono cinesi? Come fare a non rendersi conto che le imprese italiane continuano a spendere il triplo di quelle americane per i costi energetici? È evidente che se si vuole essere più realisti del re nella necessaria transizione ecologica partendo da questi dati di fatto, si sta lavorando per i concorrenti d’oltreoceano. Se la stessa melina autodistruttiva si ripete con gli stessi soggetti politici sempre in parlamento sul riscontro delle procedure amministrative del superbonus, vuol dire che gli spiriti partitici del codice dei non appalti non sono morti e possono fare molto male allo spirito innovatore che anima l’azione del governo Draghi oltre a mettere in serio pericolo l’attuazione nei tempi prestabiliti del Recovery Plan condannando il Paese alla inarrestabilità del suo declino.

Punto secondo. L’economia sta andando molto bene con un rimbalzo del 5/5,5% più alto del 4,5% previsto perché il primo trimestre è andato meglio delle aspettative e il secondo pure, certo bisognerà fare i conti con i nuovi contagi, ma al momento riteniamo che, variante Regioni a parte, il governo saprà gestire la nuova situazione. Avremo un rimbalzo bello grosso nel 2021 e anche nel 2022. Il punto sottovalutato è che il rimbalzo è tutto al Nord manifatturiero e che il Sud manifatturiero può fare anche meglio ma non regge il confronto in termini quantitativi. Se non viene riequilibrata la situazione facendo partire subito investimenti pubblici e sostenendo in modo speciale l’impresa meridionale che combatte avendo tutto contro, allora la forbice si allarga ulteriormente. Se lasciamo fare all’economia l’economia va dove c’è già, gran parte delle piccole e medie imprese che stanno al Sud sono quelle che fanno più fatica a riconvertirsi rispetto ai nuovi bisogni e alle nuove modalità di consumo.

Per un Mezzogiorno che è comunque più industrializzato della stessa Inghilterra e che da solo rappresenterebbe l’ottavo Paese industrializzato al mondo, le opportunità offerte dal Recovery Plan sono l’ultima occasione per evitare il colpo di grazia finale sulla strada del ridimensionamento delle sue attività. Si deve passare da un settore pubblico vissuto come assistenzialismo alla spinta di un settore pubblico che crea valore aggiunto, che non punta più solo a stipendi che vanno in consumi ma in servizi di valore restituendo alle imprese private del Mezzogiorno il contesto necessario per esprimersi al meglio.

Questa è la partita decisiva. Altrimenti il Sud è condannato a diventare solo teatro di crisi industriali grandi, piccole e medie mentre viceversa l’Italia ha bisogno che la ripresa del Sud agganci quella italiana che è a sua volta agganciata alle catene del valore europee e alla ripresa dell’economia internazionale.

Altrimenti avremo il triveneto che corre per poi fermarsi bruscamente e il Sud che diventa tutto una grande Whirlpool. Il Pnrr sanando la ferita della ingiustizia italiana e facendo ripartire la macchina degli investimenti pubblici può essere la carta decisiva per la riunificazione del Paese e il suo ritorno tra le grandi economie che crescono. Altre carte non ce ne sono.


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