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Una scena di "Prova d'orchestra" di Federico Fellini

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Siamo davanti a un quadro felliniano. Siamo al “teatro dell’assurdo” dove tutti vivono una realtà che non è la realtà senza capire chi sono e che cosa sono. Il Capo dell’Emilia-Romagna Bonaccini vuole i soldi. Sempre. Il Capo della Campania De Luca vuole rinviare tutto. Sempre. Il primo partito del parlamento italiano, i Cinque Stelle, è una scolaretta allargata dell’istituto tecnico senza controllo e fa coppia fissa con la Lega sui temi populisti della lotta al Covid, ma si spacca come una mela in due sull’identikit del nuovo capo dello Stato tra scelte in rosa e “riconvocazione” di Mattarella che sta affrettando anche l’uscita dagli appartamenti del Quirinale. Il Pd è per Draghi al Quirinale ma come ultima scelta o come prima ma a metà. Salvini e Meloni si marcano a distanza ravvicinatissima a ogni ora del giorno. Berlusconi fa i conti dei voti per salire sul Colle più alto. Capi dei partiti e capetti delle Regioni devono capire che con Covid e Quirinale non si fanno “prove d’orchestra” e non si scambiano i sogni con la realtà. Bisogna lavorare tutti insieme per combattere il nemico comune e fare la scelta di sistema migliore affinché non si interrompa la Nuova Ricostruzione morale, economica e sociale dell’Italia

Tutti sono all’angolo della strada per scrutare se passa il carro del vincitore e sono pronti a salire sul primo che passa. Salvo scendere subito appena si accorgono che il carro non è quello che arriverà alla meta. Capi partiti e capi Regioni camminano sulla corda senza cadere giù ma senza un momento di coerenza ripetendo il copione di sempre che è quello che ha costretto il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, a dare tutto in mano ai prefetti per riaprire le scuole in presenza a ottobre. Altrimenti tra i dubbi dei presidi e le richieste dei capi Regioni si era ancora lì a trattare. Non si riesce a fare sistema perché se uno di questi signori va da una parte, gli altri debbono fare vedere di andare dall’altra per dimostrare che esistono. Perché temi serissimi che riguardano la salute e la vita delle persone vengono giocati disinvoltamente sul borsino del Quirinale e le emergenze del nuovo ’29 mondiale a partire dalla minaccia inflazionistica (+3,9% a dicembre su base annua) e dalla risalita dello spread (136,6) allegramente sottovalutate.

Abbiamo con i francesi la migliore performance economica europea conseguita nei giorni terribili della crisi pandemica globale. Abbiamo vissuto dieci mesi d’oro in termini di stabilità politica, esame europeo sul Piano nazionale di ripresa e di resilienza, avvio di riforme di struttura, credibilità internazionale, successi della ricerca e dello sport. Siamo stati con il green pass un modello che ha fatto scuola in Europa nella lotta contro il Covid. Verrebbe da dire che tutto questo è avvenuto nonostante i partiti e nonostante le Regioni che hanno dovuto accettare contenuti nuovi e metodo di lavoro nuovo del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi.

Lo diciamo perché altrimenti non si sarebbe dovuto penare così tanto per arrivare all’obbligo di vaccino per gli over 50, rafforzare il super green pass per il lavoro, mantenere fede all’impegno di riaprire in sicurezza le scuole. Perché altrimenti dovrebbe essere chiaro a tutti che tra scienza e stregoni ha ragione la prima. Che tra informazione rigorosa e senza riguardi per nessuno in tempi di guerra e la compagnia di giro del talk show dei no vax e delle bande estreme della propaganda non c’è partita a favore della prima. Che l’esperienza dell’unità nazionale per la Nuova Ricostruzione è indispensabile e questa, solo questa, deve essere la cifra da adottare per la scelta del successore di Mattarella se si vuole assicurare al Paese in un arco di tempo lungo di sette anni il massimo di garanzia di sistema per l’interno e per l’esterno.

Invece no. Siamo davanti al quadro felliniano di Prova d’Orchestra.

La politica centrale e regionale vive una specie di sogno dove nessuno capisce che parte sta recitando. Siamo al “teatro dell’assurdo” del grande maestro riminese dove tutti vivono una realtà che non è la realtà senza capire chi sono e che cosa sono. Il Capo dell’Emilia-Romagna Bonaccini vuole i soldi. Sempre. Il Capo della Campania De Luca vuole rinviare tutto. Sempre. Il primo partito del parlamento italiano, i Cinque Stelle, è una scolaretta allargata dell’istituto tecnico senza controllo e fa coppia fissa con la Lega sui temi populisti della lotta al Covid, ma si spacca come una mela in due sull’identikit del nuovo capo dello Stato tra scelte in rosa e “riconvocazione” di Mattarella che sta affrettando anche l’uscita dagli appartamenti del Quirinale. Il Pd è sul fronte opposto nella lotta al Covid ed è per Draghi al Quirinale ma come ultima scelta o come prima ma a metà. Salvini e Meloni si marcano a distanza ravvicinatissima a ogni ora del giorno e su qualsivoglia tema. Berlusconi fa i conti dei voti per salire sul Colle più alto.

Tutti questi signori quando parlano e quando si muovono usano a volte toni drammatici, a volte da ultima spiaggia. Siamo ancora ai clowns di Fellini nel circo con le loro illusioni e le loro “realtà” che sembrano drammatiche ma non lo sono. Siamo proprio all’atmosfera felliniana dove tutti rappresentano un archetipo che dovrebbe essere drammatico ma non lo è. Il domatore sfida il leone, ma il leone non lo mangia mai. Il trapezista si butta dall’alto e potrebbe rompersi le ossa, ma non se le rompe mai. È un mondo rutilante di maschere che fanno un grande numero dove ci sono sempre il trapezista, il mangiafuoco, il domatore di leoni e così via, ma che tutti insieme non producono nulla se non lo spettacolo di se stessi. Non è che affrontano un rischio per arrivare alla meta, ma piuttosto affrontano il rischio perché il rischio è lo spettacolo. Questo spettacolo sarà ripetuto all’infinito per la gioia degli spettatori, non per la gioia dei cittadini che chiedono risposte concrete ai loro diffusi bisogni e sono da due anni come tutti i cittadini del mondo dentro l’incubo del Covid.

A tutti i protagonisti del circo italiano dell’irrealtà ricordiamo che il 3,9% di inflazione su base annua a dicembre, dato diffuso ieri dall’Istat, è in gran parte legato a fattori congiunturali ma delinea in prospettiva un tema rilevante legato al fatto che cambia lo scenario dopo una lunga stagione di finanza pubblica a tassi zero proprio negli anni in cui dobbiamo fare scendere l’indebitamento. Ricordiamo a tutti lorsignori che uno spread a 136,6 e rendimenti a dieci anni all’1,24% rischiano di diventare un problema nel medio termine. Tanto è vero che il Tesoro ha emesso un bond trentennale che ha avuto un ottimo risultato con 7 miliardi di collocato a fronte di 55 richiesti. Ma la domanda è: perché facciamo queste operazioni sulla parte lunga della curva? Perché ci immaginiamo che il tasso di interesse salga e salga per di più nel primo anno nel quale la copertura degli acquisti della Bce non assorbirà più tutte le emissioni nette del debito italiano. Ci portiamo avanti.

Questo non significa che avremo tassi molto più alti perché si confrontano con quelli del 5/6% dei titoli a lungo termine collocati negli anni della grande crisi dei debiti sovrani, ma piuttosto che si erode una quota dell’ampio risparmio previsto dalla Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef). Che sono quest’anno 5 miliardi in meno da 70 a 65 e che dovrebbero fare scendere la spesa per gli interessi a 50 miliardi nel 2024. Questo è un pezzo rilevante degli spazi di finanza pubblica che viene eroso in parte dal fatto che i tassi saranno in crescita rispetto alle previsioni di autunno e, per di più, in una fase in cui dopo la manovra torna in auge un nuovo scostamento di bilancio per il caro bollette di cui Cinque stelle e Lega sempre in coppia vogliono fare un’altra bandiera di propaganda. Così come, sempre in coppia, presidi e Regioni esattamente come a ottobre vogliono frenare tout court sulla riapertura della scuola in presenza dopo le vacanze.

I comportamenti di oggi di capi partito e capi Regioni che ricordano molto da vicino quelli di ieri devono tenere conto che tutti questi elementi di criticità nell’ultimo anno di sospensione del patto di stabilità europeo non vanno drammatizzati, ma neppure sottovalutati. Soprattutto la politica e i Capi e i capetti delle Regioni devono capire che con Covid e Quirinale non si fanno “prove d’orchestra” e non si scambiano i sogni con la realtà. Bisogna lavorare tutti insieme per combattere il nemico comune e fare la scelta di sistema migliore per gli assetti di vertice istituzionali e di governo affinché la Nuova Ricostruzione morale, economica e sociale dell’Italia non si interrompa.


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