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Mario Draghi durante una riunione della cabina di regia per il Pnrr

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Tra i 45 obiettivi da conseguire nel primo semestre dell’anno per avere la seconda rata di finanziamento europeo di 24,1 miliardi ci sono la revisione del codice degli appalti, la riforma dell’amministrazione fiscale e della carriera degli insegnanti, la legge delega sulla pubblica amministrazione. Capirete da soli che si tratta di obiettivi che mai un governo della seconda Repubblica è riuscito a conseguire in una intera legislatura. Bisogna farlo in sei mesi e bisogna farlo bene. Soprattutto bisogna fare largo uso di strumenti come il partenariato pubblico-privato e il Promotore per riuscire davvero ad aprire i cantieri. È fondamentale utilizzare a livello centrale una struttura come quella di Cassa depositi e prestiti con le teste e le competenze per una volta seriamente rivolte al Mezzogiorno per portare a compimento le procedure di Piano

Per il Piano nazionale di ripresa e di resilienza la sfida vera inizia adesso. I primi sei mesi del 2022 coincidono con la prova del fuoco di un Paese che deve ritrovare la capacità di fare investimenti pubblici e di mobilitare quelli privati. Che deve dimostrare di avere il passo lungo del riformista di struttura che metro dopo metro cambia la traiettoria di marcia della sua economia e, di conseguenza, agisce in profondità nel tessuto sociale e civile della sua comunità. Riduce le diseguaglianze, cambia il contesto ambientale.

Attenzione, però, per farvi capire di che cosa stiamo parlando, è bene chiarire subito che tra i 45 obiettivi da conseguire nel primo semestre dell’anno per avere la seconda rata di finanziamento di 24,1 miliardi ci sono la revisione del codice degli appalti, la riforma della amministrazione fiscale e della carriera degli insegnanti, la legge delega sulla pubblica amministrazione. Capirete da soli che si tratta di obiettivi che mai un governo della seconda Repubblica è riuscito a conseguire in una intera legislatura. Bisogna farlo in sei mesi e bisogna farlo bene. Solo questi interventi di struttura fanno tremare vene e polsi.

Il punto è che conseguire questi risultati per quanto ardui è di sicuro meno difficile di quello di trasformare in stato di avanzamento lavori (in gergo SAL) i progetti di spesa approvati e i bandi di gara assegnati. Con le strutture amministrative di prima e il conflitto permanente tra Stato e Regioni sarebbe stato impossibile. Se è vero, come è vero, che negli ultimi venti anni l’azzeramento sostanziale della crescita del prodotto interno lordo italiano (Pil) si deve in grandissima parte a una macchina pubblica centrale farraginosa e, ancora di più, a una macchina territoriale regionale addirittura paralizzante. Sono le due stazioni che hanno di volta in volta bloccato il treno degli investimenti.

L’incapacità dei Capi delle Regioni non solo di spendere, ma addirittura di programmare e impegnare le ingenti risorse dei fondi di sviluppo e coesione europei è sotto gli occhi di tutti. Misura alla perfezione la larghezza del perimetro della vergogna di cui si sono macchiati per sempre i viceré che guidano le Regioni del Mezzogiorno e, in misura di poco minore, i Capi delle Regioni del Nord che vendono un sogno di efficienza che è lontanissimo dalla realtà. Questa è la pura verità e va detta senza diplomazie. Perché non si scherza con il futuro dei nostri giovani e con la riunificazione delle due Italie.

Siamo arrivati al dunque e non è probabilmente un caso che il Presidente del Consiglio intende affrontare i dossier più delicati con una serie di incontri riservati con i singoli ministri. Sono state fatte scelte molto importanti in termini di poteri di revoca e di governance presso Palazzo Chigi e presso il ministero dell’Economia e delle finanze (Mef).

Tutto questo, però, si deve attuare dentro un quadro legislativo italiano che è quello che è. Si può forzare, si può ridimensionare il potere di interdizione, si può vigilare e intervenire molto meglio contro i passaggi corruttivi, ma non si può annullare tutto. Perché non si può cancellare la storia di una Repubblica e tutte le rivoluzioni hanno sempre fatto i conti con l’impianto legislativo che le ha precedute. Gli storici parlano non a caso di doppio Stato. Puoi cambiare molto, ma non in un giorno.

Poiché in questo caso (Pnrr) abbiamo tempi molto stretti la qualità delle risorse umane a livello ministeriale e di amministrazione centrale e territoriale diventa decisiva. Prima di tutto bisogna che i ministri e i capi delle amministrazioni sappiano di che cosa parlano. Draghi o chi per lui su questo punto debbono essere inflessibili. Poi bisogna intervenire giorno dopo giorno nella governance perché non si risolvono i problemi moltiplicando le governance anche se i controlli e i poteri di sostituzione sono fondamentali. Bisogna partire da un punto base: la sorte del nostro Pnrr è il tempo. Se è così, e lo è, allora bisogna essere consapevoli che per il privato il tempo ha un valore, per il pubblico no. Bisogna, di conseguenza, intervenire non solo sulla governance ma anche sugli strumenti operativi.

Se fai, ad esempio, un bando di gara per dare in concessione la realizzazione e la gestione di una strada, è ovvio che per il privato il tempo è fondamentale perché prima finisce i lavori prima comincia a incassare. Per il pubblico no, non è così, e la probabilità che prevalga il formalismo giuridico fatto di leggi a volte volutamente di difficile comprensione è molto alta. Per questo, a nostro avviso, sarà fondamentale fare largo uso di istituti come il partenariato pubblico-privato e potere contare su soggetti specifici tipo il Promotore su temi specifici come l’alta velocità ferroviaria e progetti di grandi reti. Serve il Promotore che è capace di fare un progetto esecutivo, è capace di sottoportelo e consente quindi di metterlo velocemente in gara. Se il Promotore vincerà la gara, lo farà lui. Altrimenti lo farà chi è meglio di lui. Però l’opera si fa. Non si studia solo a vita.

Coinvolgere i soggetti pubblici che operano secondo le regole del mercato è fondamentale, ma bisogna anche avere la responsabilità politica di non sottrarre a loro sistematicamente risorse per la fase di progettazione con ogni tipo di richiesta partitocratica. Dal bonus di 80 euro al reddito di cittadinanza, c’è sempre qualche esigenza assistenziale-elettorale che la politica deve soddisfare e lo fa agendo sulle casse delle società pubbliche controllate dal Tesoro riducendo la quota di investimenti pubblici. Queste scelte sono l’inizio e la fine della malattia italiana degli ultimi venti anni.

È assolutamente vero che la dimensione del Piano italiano non è nemmeno lontanamente paragonabile con quello tedesco, spagnolo, portoghese, ma è un dato di fatto che in questi tre Paesi i cantieri sono già stati aperti e gli stati di avanzamento dei lavori sono riscontrabili. Noi siamo ancora all’album delle figurine. Abbiamo appiccicato tutti i comitati, tutti gli obiettivi e tutti gli atti di autorizzazione, ma non è partita ancora una gara. Avvalersi di questi istituti pubblici a gestione privatistica e utilizzare a livello centrale una struttura come quella di Cassa depositi e prestiti con le teste e le competenze per una volta seriamente rivolte al Mezzogiorno è altrettanto fondamentale.

Per garantire l’assistenza tecnica di cui soprattutto le piccole amministrazioni comunali del Sud hanno vitale bisogno, ma anche per garantire una coerenza di Piano tra le quattro gambe del tavolo della nuova stagione di investimenti che sono Pnrr, fondo complementare, fondi strutturali e fondi di coesione e sviluppo.

Soprattutto l’ultimo fondo, quello destinato all’80% al Sud, che ha dichiaratamente una valenza aggiuntiva da preservare dalle continue sottrazioni in corso d’opera per soddisfare le più svariate esigenze di bilancio pubblico e per i mille appetiti regionali del Nord, è bene che destini una quota rilevante al capitale umano che è la priorità delle priorità e che come tale dovrà tagliare trasversalmente tutte le missioni assegnate al Fondo. Perché l’Italia non si potrà mai riunificare se non si investirà oggi per domani sulla rigenerazione della amministrazione e sull’economia privata dei territori. Perché gli investimenti pubblici possono sostenere molto la crescita del Pil, ma non all’infinito. Se si vuole che la crescita sia duratura servono gli investimenti privati e una cultura di impresa diffusa. Oserei dire contagiosa. Su questo bisogna scommettere.


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