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Giuliano Amato

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I partiti svuotati di etica e democrazia e ormai ridotti a comitati elettorali non capiscono che non possono andare avanti con la logica di chi porta il trofeo della nomina del nuovo Capo dello Stato o lo scalpo da appendere alla cintura e da esibire nei talk a reti unificate dove tutti recitano la loro parte in commedia e giocano sul titolo Italia senza nemmeno accorgersene. I partiti se vogliono sopravvivere la smettano di parlare di proposta del centrodestra o di proposta del centrosinistra. Si assumano la responsabilità di dire chiaro e tondo che le personalità che possono guidare lo Stato italiano in questi mari procellosi che preparano la tempesta perfetta sono due: Mario Draghi e Giuliano Amato. Questa è la scala di valori su cui ci si deve misurare

I PARTITI italiani hanno perso una cultura di riferimento. Hanno pressoché abolito la democrazia interna. Si muovono come dei comitati elettorali di se stessi e dei loro capi. Che sono quelli che distribuiscono i posti, controllano la cassa e decidono chi si candida. In Italia oggi i partiti non esistono più. Almeno come grandi partiti della storia repubblicana di questo Paese – penso alla Dc, al Pc, al Psi, al piccolo-grande partito repubblicano di Ugo La Malfa – e come espressione della sua democrazia elettiva fatta di preferenze e di scelte espresse direttamente dalla comunità dei cittadini-elettori. Abbiamo un disperato bisogno di partiti che facciano i partiti e ci ritroviamo a fare i conti con un circolo di professionisti della politica che parlano tra di loro e credono che il mondo sono loro. Siamo tornati alla società dei soliti noti. I ventimila – non sono nemmeno pochi – che da Roma determinano le relazioni che contano nel Paese a seconda se sei dentro o fuori in questo circolo. 

Che è quello dei partiti ridotti a comitati elettorali, dei capetti delle Regioni e del talk a reti unificate dove tutti recitano la loro parte in commedia e giocano sul titolo Italia senza nemmeno accorgersene. Perché non sanno nemmeno che cosa sia il titolo Italia in quanto il loro giro è assolutamente provinciale. Perché non capiscono quanto vale oggi il capitale di fiducia internazionale costruito in pochi mesi di governo di unità nazionale guidato da Draghi. Perché non riescono nemmeno a porsi il problema di che cosa vuol dire che nel board della Banca centrale europea (Bce) dietro la Lagarde e Panetta ci sia il peso politico di figure come quelle di  Draghi e di Macron e quanto valga che l’ex presidente italiano della Bce abbia la stima del nuovo cancelliere tedesco Scholtz.  

Che la nuova Europa del nuovo patto di stabilità, di una parte dei debiti messi in comune, di un’idea di sviluppo solidale e di molto altro, l’emozione collettiva che ha generato la scomparsa di David Sassoli e la sua bandiera di vita in difesa degli ultimi che è l’Europa forte, passa tutto attraverso il carisma di queste leadership europee. Che queste leadership valgono per i mercati e valgono per gli Stati. Valgono per l’economia tempestosa del nuovo ’29 mondiale con le macerie della guerra sanitaria del Covid e con la minaccia seria dell’inflazione, l’ultimo balzo è di ieri, come per la qualità della vita delle persone e le ragioni della lotta alle diseguaglianze. Sono tutti fattori apparentemente esogeni ma terribilmente domestici perché se sostituisci le leadership politiche ritrovate con il pegno aggiuntivo della instabilità politica ritrovata l’Italia va a gambe all’aria in un battibaleno.  

Questi partiti non capiscono che non possono andare avanti con la logica di chi porta il trofeo della nomina del nuovo Capo dello Stato. Perché quella nomina, grazie alla Costituzione e alla lungimiranza di quei partiti veri che oggi non ci sono più, dura sette anni. Il  problema fondamentale del Quirinale oggi è che c’è bisogno di qualcuno che tenga in piedi il Paese.  Loro invece cercano il trofeo da esibire in tv o lo scalpo da appendere alla cintura.  Loro invece vogliono riprendersi la mangiatoia della scuola e parlano di rimpasto al governo dei tecnici senza neppure rendersi conto che in dodici settimane l’esecutivo italiano deve centrare oltre venti target che fanno tremare vene e polsi se non vuole perdere i soldi del piano europeo.

Non c’è tempo per il gioco delle porte girevoli. Se vogliono sopravvivere i partiti la smettano di parlare di proposta del centrodestra o di proposta del centrosinistra. È un dibattito patetico come quello conseguente dei diritti di precedenza. La smettano per favore di giocare con il titolo Italia e si assumano la responsabilità di dire chiaro e tondo che le personalità che possono assumere la responsabilità di guidare lo Stato italiano in questi mari procellosi che preparano la tempesta perfetta sono due: Mario Draghi e Giuliano Amato. Il nuovo ’29 mondiale fa fatica a entrare nei raduni del circoletto provinciale dei comitati elettorali italiani travestiti da partiti, ma è un ciclone che, sbagliando la scelta della successione di Mattarella, se li porta via tutti nel giro di qualche giorno e, con loro, purtroppo porta via anche noi. Non glielo possiamo permettere.

Prendano piuttosto atto i partiti che, vista la indisponibilità che merita rispetto di Mattarella, alla presidenza della Repubblica oggi possono essere chiamati Draghi o Amato per la statura dei profili che esprimono. Almeno questa è la scala di valori su cui ci si deve misurare. Il primo perché ha salvato l’euro e, di conseguenza, l’Italia e la Spagna. Appartiene alla storia quello che ha fatto e ha una credibilità internazionale che nessun cittadino italiano ha mai avuto e che ne fa oggi il cittadino europeo più stimato del mondo.  Quello che ha fatto in questi undici mesi di governo dell’Italia in casa e fuori dovrebbe spingere i partiti a chiedergli di assumersi la nuova responsabilità se non altro per riconoscenza. Il secondo a giorni nuovo Presidente della Corte Costituzionale di cui oggi è vice perché ha salvato l’Italia dalla prima grande crisi del sistema dei partiti, dalla caduta della lira, e ha gestito con il rispetto di tutti a livello europeo il primo momento di forte difficoltà del Paese.

Entrambi hanno una grande conoscenza della macchina pubblica di governo e amministrativa. Hanno la cultura dell’interesse generale e della lotta alle diseguaglianze, il senso del bene comune e dell’integrità da preservare delle istituzioni. Sanno sussurrare ai potenti e, soprattutto, hanno da loro ascolto. La scelta di Amato risponde anche a esigenze per così dire generazionali qualora i partiti si ostinino non in malafede a ritenere che la carta Draghi debba continuare ad essere giocata a Palazzo Chigi nella pienezza dei poteri perché c’è ancora molto da fare. Sorprende che vogliano questo invece di esercitare l’altezza del magistero della politica cercando loro insieme il successore di Draghi a Palazzo Chigi fornendo la prova della loro esistenza in vita esprimendo una leadership condivisa magari giovane capace di fare il molto che c’è ancora da fare.

Nei tratti espressivi e nella sostanza del discorso di Enrico Letta che ha ricordato ieri David Sassoli a Strasburgo, c’è il segno faticoso di una politica che può provare a ridare dignità ai partiti italiani e può aiutare il nostro Parlamento a recuperare le ragioni profonde di una soluzione di sistema che permetta al Paese di superare il crocevia di fuoco che interseca Quirinale e Palazzo Chigi. Il futuro dell’Italia non può rimanere appeso ai vitalizi dei parlamentari e ai consigli rosso-gialli di Bettini. Ha bisogno della politica dell’interesse generale e di un risveglio etico dei suoi partiti. Ha bisogno di una politica che si misuri con i problemi e trovi le soluzioni necessarie.


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