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È arrivato il momento di riformare il diritto di veto delle Nazioni Unite, così come è arrivato il momento di riformare il diritto di voto in Europa. Bisogna cominciare a ragionare di filiere produttive europee dislocate su più territori regionali a partire da quelli meridionali. Salgono gli spread e si allargano i rendimenti per tutti. Il punto è che prima eravamo i maggiori beneficiari degli acquisti di titoli della Bce ora siamo quelli più penalizzati. Per le piccole banche e le imprese meridionali è una mazzata. Questo è un problema serissimo della nuova Europa federale. Si parla di scudo anti spread della Bce che agisca sui reinvestimenti e, cioè, che alle scadenze dei titoli al posto di riacquistare bund tedeschi compri, per capirci, Btp italiani. Se non si può fare questo o lo si può fare solo a metà, allora la Bce da subito neutralizzi il parametro potenziale che uccide le piccole e medie banche italiane e l’economia meridionale in particolare

Putin non ha detto niente di nuovo. Appare sulla difensiva, il che conferma le difficoltà interne sul piano economico, militare e sui rapporti con la parte più avanzata della sua popolazione di cui questo giornale parla da tempo. Macron ha fatto il suo solito grande discorso teorico, ma dovrebbe essere in grado di rispondere a un paio di domande banalissime: è disposto a mettere il diritto di veto francese nel consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a disposizione dell’Europa? È disposto a mettere l’arma nucleare che solo la Francia ha al servizio di tutta l’Europa?

Se non succede qualcosa di questo tipo sono tutte prediche inutili perché le carte le ha in mano lui e solo lui può giocarle. Lo farebbero gli italiani se fossero al suo posto? Non lo so, però quello che so per certo è che è arrivato il momento di riformare il diritto di veto delle Nazioni Unite, così come è arrivato il momento di riformare il diritto di voto in Europa. Che non si può andare avanti con la nuova edizione della strategia della sedia vuota di De Gaulle degli anni Sessanta. Che quando non era d’accordo su qualcosa non si presentava e si fermava tutto. Oggi abbiamo la “sedia vuota” dei Paesi dell’Est, Ungheria e Slovacchia, che hanno una dipendenza non solo economica ma anche politica dalla Russia e, alla fine, tutto si ferma più o meno allo stesso modo.

È arrivato il momento di un’Europa federale anche a più velocità, anche con nuovi rapporti complessi, perché non ci dimentichiamo mai che nel Congo come in altri Paesi africani c’è ancora il franco coloniale, ma questa Europa federale con un solo esercito, una sola politica estera e, soprattutto, con politiche industriali e energetiche che si muovano finalmente nella direzione sud nord del mondo e che possano avere nell’Italia e nella Francia i suoi motori deve uscire dai chiacchiericci ideologici e deve diventare realtà. È in questo senso cruciale la politica estera di Draghi e del suo governo di unità nazionale che mette insieme l’idea di un’altra Europa e di un rapporto privilegiato con l’atlantismo americano che deve a sua volta anche capire che una cosa è dire l’Ucraina è Europa e un’altra cosa è dire che l’Europa si deve ampliare.

In questa Europa federale il Sud d’Italia può essere davvero l’Eldorado degli investitori, interni e globali, a patto però che l’Europa si renda conto che non ha più grandi primati industriali, o che ne ha troppo pochi. Che c’è solo un super computer francese che però americani e cinesi fanno a pezzetti e così è anche con la crisi dei semiconduttori perché ci mancano i chip di silicio e che, quindi, bisogna cominciare finalmente a ragionare di filiere produttive europee dislocate su più territori regionali a partire da quelli meridionali. Che sono oggi strategici sul piano energetico e su quello geografico e che hanno, per di più, tutti i numeri per esserlo anche sul piano industriale e dei servizi.

A patto, però, che l’Europa della frammentazione di interessi di oggi muoia per davvero. Perché se no succede come per lo spread che sale senza alcun specifico motivo italiano ma produce danni enormi all’Italia. Soprattutto alle piccole imprese del Sud e alle banche meridionali. Ieri siamo arrivati al 3,23% come massimo di rendimento del Btp decennale, ma anche in America sono al 3,20, il Bund è al massimo dal 2014 toccando quota 1,19. Salgono gli spread e si allargano i rendimenti per tutti. Il punto è che come prima eravamo i maggiori beneficiari degli acquisti di titoli della Bce ora siamo quelli più penalizzati dall’annuncio della riduzione degli acquisti a causa del maxi debito italiano. Parliamoci chiaro: le nostre banche, soprattutto quelle piccole, con i titoli pubblici italiani che hanno in pancia, fanno i conti con una riserva negativa a patrimonio da fare paura. Se non si neutralizza questa perdita (solo teorica) ai fini dell’impatto negativo sul patrimonio netto altro che Eldorado degli investimenti nel Mezzogiorno perché vanno a gambe all’aria le banche e le imprese che già quelle stesse banche stanno penalizzando come non mai con scelte miopi.

Questo è un problema serissimo della nuova Europa federale. Si parla di scudo anti spread allo studio della Bce che agisca sui reinvestimenti e, cioè, che alle scadenze dei titoli al posto di riacquistare bund tedeschi compri, per capirci, Btp italiani. Se non si può fare questo o lo si può fare solo a metà o si tentenna, allora la Bce da subito neutralizzi il parametro potenziale che uccide l’economia italiana e meridionale in particolare. Non sono bazzecole anche perché l’economia italiana, nonostante guerra e pandemia, regge botta e non è proprio giusto che paghi sovrapprezzi perché a parole diciamo che l’Europa è una, ma nei fatti non è così.


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